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lunedì 10 luglio 2023

IL TEMPO SI E' FERMATO

1308_IL TEMPO SI E' FERMATO (The Big Clock). Stati Uniti,1948; Regia di John Farrow.

A prima vista, tanto il titolo italiano, Il tempo si è fermato, quanto quello originale, The Big Clock, non sembrano particolarmente centrati sul film del 1948 di John Farrow. Nella storia c’è in ballo un omicidio e i riferimenti al tempo – che, come noto, non si può fermare – o al grande orologio che domina e scandisce la vita del grattacielo dove si svolge perlopiù la faccenda, non sembrano poi così rilevanti. Ma, al contrario, sia l’uscita nel Belpaese che quella americana sono ben introdotte dall’appellativo scelto da autori, produttori e distributori. Il tempo si è fermato è un noir ambientato nel mondo dell’editoria e il grattacelo in questione è la sede della società di Earl Janoth (Charles Laughton). Janoth è il tipico magnate americano, nel quale la grande personalità condita da un’autostima ai massimi livelli, raggiunge un pragmatismo tipicamente yankee: efficiente, determinato, risoluto, con una vera ossessione per gli orari da rispettare. Eccolo il Grande Orologio a cui fa efficacemente riferimento il titolo originale: non tanto quello che domina la torre del grattacielo Janoth e che controlla tutti gli orologi del palazzo, ma l’enorme meccanismo costituito da cose e persone che lavorano soggetti alla rigida e inflessibile autorità del tycoon. Prima che ce se ne dimentichi: Laughton, in questa interpretazione, è, ancora una volta, strepitoso. Il suo omuncolo untuoso e grassottello, che si liscia continuamente i baffi e che dispone sadicamente dei suoi sottoposti oltre a scandire ogni situazione con il ritardo accumulato sin lì o i minuti ancora a disposizione, è una figura memorabile e perfettamente credibile. 

Credibile perché la realtà è zeppa di questi ometti che, una volta raggiunta una posizione di vertice, perdono completamente il senso della realtà; in fondo, si tratta di uno degli effetti collaterali del sogno americano, argomento sempre presente nel cinema di Hollywood. La competizione che anima la nostra società, premia prevalentemente il più determinato, il più ambizioso, il più arrivista o il più fortunato; va bé, qualche volta anche il più bravo. In ogni caso la posizione dominante che deriva da avere successo è assai pericolosa e troppe volte finisce nelle mani di personaggi come Janoth. Con il risultato che la collettività diventi un sistema, un grande ingranaggio, un Big Clock come quello del film di Farrow, di fatto efficace metafora della nostra società. Erroneamente venduta come libera dalla propaganda di regime; d’accordo, nella società di mercato non siamo sottoposti alle angherie del medioevo o di governi totalitari, ma le regole che controllano e guidano il popolo sono funzionali ed efficienti, più che giuste o comprensive, anche da noi. Ma ci pensa la stampa, l’informazione, vero braccio armato del potere, a farcele accettare. Non è un caso che il noir, forse il genere che per primo fece il punto della situazione sulla società contemporanea che si sviluppò dopo la Seconda Guerra Mondiale, nelle sue storie gialle metta in primo piano spesso proprio la stampa. 

Un vero e proprio mito dell’era moderna: autoproclamatasi libera e indipendente, in realtà l’informazione abitualmente insegue il risultato più che la verità, come ogni altra attività di mercato. Il che è anche uno dei suoi vantaggi: per quale motivo spesso, spessissimo, le inchieste giornalistiche arrivano prima delle investigazioni delle forze dell’ordine? Perché per l’informazione uno scoop equivale ad un riscontro economico e questo è un incentivo mica da poco. Eccolo, quindi, il tasto dolente trovato dagli autori del cinema noir, a volte in modo esplicito altre in modo implicito, forse anche inconsapevole: il giornalista non insegue la verità, insegue il profitto, il successo, che deriva dal trovare le notizie prima degli altri. George Stroud (Ray Milland), il protagonista de Il tempo si è fermato, è un giornalista che si occupa di cronaca nera per Janoth, specializzato nel trovare le persone scomparse, che rintraccia puntualmente prima della Polizia. Nel film, non si dà attenzione agli aspetti deontologici della professione, ad esempio se tra le persone da ritrovare non vi fosse qualcuna che avesse avuto la libera volontà di sparire dalla circolazione, mentre l’attenzione è focalizzata sulla efficienza del metodo di ricerca di Stroud. 

Il quale, è evidenziato in più di una circostanza, è l’unico della società di Janoth a non essere troppo ligio nel rispettare gli orari imposti dal boss. Una prima critica all’impostazione verticistica e rigorosamente controllata della tipica società capitalistica è quindi il fatto che l’unico del mazzo che non sia particolarmente puntuale è quello che poi regolarmente batte sul tempo la concorrenza, come detto anche della polizia. Stroud è il protagonista del film – dal momento che Janoth è il cattivo – e, da buon personaggio noir, pur se con un carattere atipico per il genere, finirà nei guai per aver corso dietro alla gonnella di turno, definizione forse poco lusinghiera per quella che è però difficile chiamare dark lady. Miss Pauline York, attraente bionda modella, deve le grazie a Rita Johnson, attrice molto bella ma che non riuscì mai realmente a bucare lo schermo. Anche ne Il tempo si è fermato la Johnson non riesce a dare alla York il carisma seducente di una vera femme fatale; in effetti sarà il comune risentimento verso Janoth a far convergere sulla sua strada il protagonista maschile Stroud. Nella vicenda Pauline York svolge la funzione della dark lady, stando alle parole dei testimoni, pur non essendola visto che a lei spetta il ruolo della vittima dell’omicidio, centro del racconto giallo sul quale ruota il film. Ad alimentare la sua fama di mangiauomini ci pensa anche la gelosia di Georgette (Maureen O’Sullivan), consorte di George; non che la Sullivan, perlomeno per quanto visto nel film, dovesse avere qualcosa da temere in termini di fascino femminile. 

La storia, tutta incentrata sui propri personaggi, alla fine si aggroviglia su sé stessa, e l’ambientazione nel grattacielo Janoth, a quel punto sigillato dall’esterno, è un efficace location per la metafora inscenata da Farrow. La trama entra nel vivo quando Jantoh uccide la sua amante Pauline, in un momento iracondo interpretato in modo sorprendente da Laughton; quando l’uomo rinsavisce, vorrebbe costituirsi alla polizia. Il suo tirapiedi, Steve (George Macready), lo dissuade con motivazioni in apparenza anche plausibili: e il rischio di mandare in malora l’azienda? E che ne sarà di tutte le persone che ci lavorano? In fondo era stato solo un momento di debolezza e non era giusto che dovesse pagare tutta quella gente. Primo fra tutti proprio lui, il suo braccio destro; ma questo Steve non lo dice, ovviamente. Questo passaggio è cruciale, nonostante possa sembrare solo un dettaglio. Janoth voleva costituirsi, segno che il magnate una forma di senso di giustizia ce l’aveva; chi eccelle nella citata competizione della nostra società, impara ad accettare l’idea della sconfitta o a metterla comunque in preventivo. D’altra parte, se la scalata sociale è stata fatta una volta, la si potrà ripetere una seconda; nello smisurato ego delle persone come Janoth è un’idea che può benissimo sussistere anche dopo aver commesso un omicidio. Chi, al contrario, non ha questa fiducia, sono i lecchini e leccapiedi come Steve; persone la cui unica qualità è di apparire valide e utili al boss di turno. Si tratta di umanità ordinaria, yes-men o roba simile, come se ne trova a bizzeffe; gente del genere, quando agguanta l’occasione giusta e fa carriera, non può permettersi di perdere i privilegi indebitamente conquistati, costi quel che costi. Essi sono la maggioranza e incarnano perfettamente la società di cui sono la colonna portante (commento sprezzante, è vero, ma difficilmente confutabile). E quindi, a fronte di un attacco, che sia anche da parte della Giustizia, dell’etica o della morale, questa maggioranza fa quadrato e si erge ad autodifesa del suo interesse. Questo aspetto è, come detto, il più importante nel film perché evidenzia come il Grande Ingranaggio, il Sistema, finisca per divenire autoreferenziale rispetto al suo fondatore, in questo caso Mister Janoth ma è solo a titolo d’esempio. L’autoreferenzialità del Sistema è resa manifesta nel film dalla parte finale, quella in cui tutte le porte sono sbarrate e si cerca all’interno del grattacielo il possibile individuo da colpevolizzare in luogo di Janoth. Polizia e forze dell’ordine sono lasciate fuori dalla questione: va risolto tutto internamente, sebbene la cosa abbia una sua logica anche a livello narrativo. 

La sera del delitto, infatti, in molti avevano visto Paulina in compagnia di un uomo, ovvero Stroud che, come detto, si lascia per un attimo coinvolgere dall’attraente ragazza. Non si tratta di una sbandata vera e propria, che non è dato sapere quanto il protagonista sia infedele o fedele alla moglie; certo, un tipo dalle sembianze ambigue di Ray Milland, non è che ispiri tutta questa fiducia, questo va riconosciuto. In ogni caso, la cosa, almeno schematicamente, risponde al cliché noir per cui il personaggio principale perde la retta via per colpa di una bella donna. Purtroppo per lui la sua scappatella è stata notata da molte persone che ora sono pronte ad identificarlo come possibile autore del successivo omicidio: ironia della sorte, Janoth e Steve incaricano proprio Stroud, maestro nel ricercare persone scomparse, di rintracciare il misterioso individuo, il che alimenta l’impressione di una vicenda ritorta su sé stessa. In una situazione claustrofobica, Stroud deve, infatti, ricercare sé stesso e avrà piuttosto il suo bel daffare nel ritardare le indagini o nello scantonare i vari testimoni accorsi al grattacielo per identificarlo. In uno di questi momenti in cui l’uomo deve eclissarsi, finisce nella torre che comanda il grande orologio e, inavvertitamente, ne blocca per un istante il meccanismo. 

A questo aspetto fa riferimento il titolo italiano Il tempo si è fermato, visto che, all’unisono, tutti gli orologi dell’edificio per un attimo arrestano le loro lancette. Simbolicamente è il momento chiave, anche perché il fatto non ha altre funzioni narrative particolarmente importanti. Ma è da quel momento in poi che il verso delle cose, che sembravano senza scampo per Stroud, muta, e l’uomo riesce a ribaltare la situazione quasi che l’enorme meccanismo che lo stava attanagliando, con quel semplice stop, si fosse inceppato o andato fuori sincronia. O è comunque l’azione non allineata del protagonista, in fondo è lui che urta la leva che blocca l’orologio, ad essere decisiva, come nel caso dell’ascensore nella cui cabina rimane prigioniero Bill (Harry Morgan), la guardia del corpo di Janoth, che era quasi riuscita a sorprenderlo. Stroud blocca la cabina forzando una porta e mette fuori gioco il pericoloso ceffo con un passaggio interessante e propedeutico per il finale. Ma c’è un altro elemento decisivo ed è di natura cinematografica, quasi che il cinema, con la sua anarchia, simbolicamente, sia una forma di salvezza rispetto al rigore soffocante dell’ordine costituito. Nel faccia a faccia decisivo, Mckinley (Lloyd Corrigan) l’attore ubriacone dai mille e disparati ruoli, chiamato per impersonare un ispettore e stanare il vero colpevole, viene malauguratamente smascherato da Steve, che lo riconosce avendolo visto al bar. Il vecchio interprete non si perde d’animo e risponde pan per focaccia al sovrastante di Janoth, ricordando a quel punto un particolare della trama che incastra Steve nei suoi tentativi di sistemare le cose discolpando il suo principale. Il quale, considerato la piega che assumono le cose e a differenza del suo sottoposto, non pensa minimamente a fare fronte comune e lo scarica immediatamente. A quel punto, vistosi perduto, Steve vuota il sacco e il finale può risolvere il giallo sul vero assassino incolpando finalmente il magnate dell’editoria. Il quale, provando a darsela a gambe dopo aver dato il benservito in piombo al suo tirapiedi, cerca di prendere l’ascensore che, ahilùi, è ancora bloccato e non si trova al piano indicato dal display: il fatale volo nel vuoto è, se vogliamo, beffardamente una mancanza di puntualità di uno dei meccanismi del palazzo. Il tempo si è fermato è certamente un bel film, un interessante e atipico noir ma, soprattutto, è uno spaccato fantastico della nostra società.
Il grande meccanismo meglio noto come Sistema.   



Maureen O'Sullivan 




Rita Johnson 



Elsa Lanchester 


Galleria di manifesti 















1 commento:

  1. un po' come avviene ancora oggi, che basta poco a svendere notizie puntando alla pancia dei lettori, per un click o per una copia in più...
    molto belle le locandine... e già ben efficace il titolo originale, per me... ;)

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