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sabato 29 luglio 2023

SFIDA NELLA CITTA' MORTA

1320_SFIDA NELLA CITTA' MORTE (The Law and Jake Wade). Stati Uniti1958; Regia di John Sturges. 

Suo terzo western in tre anni, Sfida nella città morta conferma la solida mano del regista John Sturges e la sua competenza in questo specifico tipo di pellicole. Il regista che passerà alla storia per aver chiuso la Golden Age del genere – nel 1960, con I Magnifici Sette – semina già in questi suoi ultimi film degli anni Cinquanta i primi elementi che incrinano le certezze del periodo classico. Infatti, pur mettendo in gioco praticamente tutti i tipici elementi del genere, gli sceriffi, i banditi, i cavalleggeri, i pellerossa, la bella ragazza in pericolo, la città di frontiera, la ghost town – quella del titolo italiano – i canyon e le Montagne Rocciose, il film non è affatto un prodotto tipico del tempo. In concreto perché la maggioranza dei temi in questione ha un ruolo marginale, visto che Sturges si concentra unicamente sulle figure del bandito e dello sceriffo, in un doppio confronto: salta subito all’occhio quello tra i protagonisti della vicenda, Jake Wade (Robert Taylor), lo sceriffo, e Clint (Richard Widark), il bandito. Ma c’è un altro confronto, stavolta tutto interiore a Jake Wade, visto che prima di fare lo sceriffo l’uomo era stato un fuorilegge, complice appunto di Clint. E il titolo originale, The Law and Jake Wade allude forse a questo: che rapporto ha il nostro eroe, con la legge? Qualche dubbio sulla sua integrità viene, alla ragazza – la sua ragazza – Peggy (Patricia Owens) visto che il nostro non si fida nemmeno di lei pur avendola già promessa in sposa, scegliendo di non rivelarle i segreti del suo passato. 

Anche perché lo stesso Jake ha il timore di averla combinata grossa, durante una rapina, nei suoi trascorsi da bandito. Ma non per questo pensa di fare ammenda; no, basta andare in nuova città e farsi una nuova vita. Addirittura si pone come tutore della legge, per altro ben considerato e rispettato. Eppure, per rendere il favore ad un vecchio compagno di malefatte – Clint, appunto – il nostro stimato sceriffo non esita ad infrangere la legge per far evadere l’ex compare: come se gli affari privati fossero più importanti di quella legge che, come tutore, dovrebbe invece aver premura di rispettare sopra ogni cosa. Nello snocciolarsi della trama, la sua posizione viene poi ammorbidita: il bambino di cui pensava di aver causato la morte, durante la citata rapina, pare fosse già morto al momento della sua comparsa sulla scena, per mano di qualche altro della banda, evidentemente. Il che, se toglie un bel peso dalla coscienza a Jake, non sgombra del tutto le perplessità; e nel momento del duello finale, quando lancia la pistola lontano invece di consegnarla sportivamente al rivale, lo sceriffo rivela ancora – e ammette – la sua natura poco pulita. Del resto, è almeno dagli anni Quaranta che abbiamo capito che nei western i cattivi sono quelli che hanno il cappello nero – black hat era il nome con cui venivano definiti – e Wade, addirittura, è sempre interamente vestito di scuro. Per la verità, in materia di simbolismi, in linea con la sua apparente risalita morale all’interno del racconto, ad un certo punto il nostro sfodera un cavallo bianco; ma è un appaloosa e quindi è un bianco sporco. Un po’ come l’anima del suo proprietario e, trattandosi comunque ancora di un western classico – si vedano la musica e soprattutto gli scenari – in chiave simbolica anche dell’intera America. Insomma, giocando con i titoli, sia quello originale che quello nostrano, potremmo dire che tra la legge e Jake Wade non è che ci sia tutta questa sintonia; e di morto, nel film, oltre alla città dello scontro finale, c’è anche un bel po’ di senso di Giustizia. Il western, invece, se non è morto è perlomeno moribondo. Almeno quello classico.  








Patricia Owens 




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