Translate

domenica 30 luglio 2023

BARBIE

1320_BARBIE . Stati Uniti, Regno Unito 2023; Regia di Greta Gerwig.

Una piccola speranza era legittima. Barbie, il film di Greta Gerwig con Margot Robbie, poteva essere l’occasione per prendersi una pausa dall’opprimente politically correct che sovrasta ora ogni ambito. Che è sano e salutare quando viene applicato dove serve, cioè nei parlamenti, nelle sedi legislative o nei tribunali: è sacrosanto che le leggi non debbano favorire o sfavorire alcuno. Ma nell’arte, al cinema, in letteratura, nella musica et similia, è la morte della creatività; e nella vita reale è ormai divenuto fardello ossessionante. In fondo, sembrava quella l’idea di quegli spettatori che si sono recati nelle sale cinematografiche rispettando il dress code che imponeva qualche indumento rosa o fucsia, come avevano anticipato i vip e le starlette nelle premiere sparse per il globo. Insomma, ma sì, forse la Barbie è davvero un simbolo conformista, capitalista e perfino fascista – come sostiene Sasha (Ariana Greenblatt) la ragazzina problematica nel film. Ma, diamine, quando nel 1959 la Mattel mise in vendita la prima Barbie, la bambolina era mora; solo in seguito è apparsa quella bionda che, se ha sbaragliato il campo, non è certo perché è stata imposta da chicchessia ma semplicemente per la scelta dei clienti. E’ un problema se la Barbie bionda, quella stereotipata, stando al film della Gerwig, è la bambola preferita nel mondo, almeno quello occidentale? Pare di sì. Almeno per la regista e la splendida attrice, qui anche nelle vesti di produttrice e quindi maggiormente coinvolta nel progetto rispetto ad una semplice interprete. Nel canovaccio, la Gerwig e il fido Noah Baumbach – marito nonché cosceneggiatore – spingono forte sulla rivendicazione femminista e sulla contestazione del patriarcato, contrapposto, nel film, a Barbieland. 

Una teoria buona per chi ci vuole credere, perché che la Barbie forse non è quel demonio che per anni ci hanno davvero paventato, ma da lì a credere che possa diventare paladina di una qualche ideologia sembra un filo azzardato. Tuttavia tanto la regia che Margot Robbie nella sua prestazione attoriale sembrano davvero convinte e tanto basta, almeno per quel che riguarda il film. Costatato che l’occasione per uscire dalla cappa dell’ossessionante quotidiana ipocrisia è quindi non solo sfumata ma ci si è finiti immersi mani e piedi, rimangono alcune pieghe che gli sforzi degli autori non sono riusciti a spianare. Ad esempio: Barbieland, con tutti quegli incarichi distribuiti con calcolato opportunismo – dalla Presidentessa donna e di colore in giù – in fin della fiera riesce ad essere un posto migliore della realtà mostrata nel film? In effetti, la risposta è già nella storia, visto che Barbie alla fine sceglie il mondo reale. Che poi tanto reale non è, ovviamente, visto che siamo all’interno di un film di purissima finzione. Ma, se all’ottimo Ryan Gosling, per interpretare Ken, è stata imposta una forma fisica impeccabile, le imperfezioni esibite con insistenza, vedi le inquadrature da tergo, della comunque meravigliosa Margot Robbie sono volute? 

Cioè, da un lato passa senz’altro il ribaltamento dei ruoli, per una volta sia il maschio a dover essere perfetto da un punto di vista fisico. Ma, il dubbio che sorge è: ma davvero la Robbie ha voluto dimostrare che, a 33 anni, può ancora interpretare l’icona di bellezza per antonomasia facendoci accettare anche i suoi lievi difetti? Un’idea che trova conferma nella diffusione delle voci che l’attrice abbia voluto che sullo schermo apparisse sempre lei, anche nelle famigerate scene dei piedi arcuati che, pare, siano state piuttosto impegnative da girare. Quasi che un ideale di bellezza, quale che può essere appunto inteso dalla bambola della Mattel, rappresenti un problema e occorra necessariamente ricondurlo alla realtà. Anche per una sventola come la Robbie. Ma, del resto, la questione la chiarisce ulteriormente la scena finale che risolve il problema dei problemi: il sesso. Insormontabile, evidentemente, concepire il fatto che tanto Barbie che Ken, non abbiano i genitali; per la verità non devono avere rapporti, per cui la cosa risponde anche a una sua logica. La sospensione creata dalla Mattel, al tempo, era la cosa forse migliore del giocattolo: la Barbie veicolava concetti sessuali – la bellezza, il fisico da pin up, l’attenzione alla moda, ecc. – ma ovviamente si fermava prima di affondare il colpo. Volutamente. In quello spazio sospeso stava il potenziale educativo, pensa un po’, del giocattolo. Un po’ come i simboli che, nella loro stilizzazione, indicano certamente una via da seguire, ma poi la strada te la devi anche e soprattutto scoprire da te. Allo stesso modo la bellezza stereotipata di Barbie era un’idea a cui ispirarsi, non certo un modello a cui aderire pedestremente. Proprio l’impossibilità di raggiungere tale perfezione, era la chiave per comprendere che si trattava di un concetto più che di una forma pratica da perseguire. La stessa Mattel ha nel tempo rinnegato questa sua impostazione, cercando di parare le critiche pretestuose ma agguerrite, finendo per divenire tra i più clamorosi portabandiera dell’opposto di tutto ciò, vale a dire il famigerato politicamente corretto, reso manifesto proprio in Barbieland. Purtroppo, quelli degli autori sono sforzi non solo vani, ma forse anche deleteri. Seguendo la loro stessa logica, il rischio è che, per le ragazzine la cui salute sembra così a cuore di autori e produttori, sia più arduo il confronto con Margot Robbie nei panni di Barbie che quello con una bambolina palesemente finta. Al di là di questo, Barbie, il film, rimane soprattutto un’ammissione esplicita di incapacità della nostra società: non siamo più in grado di gestire l’idea di simbolo. Bye Bye. 



Margot Robbie 





Galleria di manifesti 





Nessun commento:

Posta un commento