1318_URLATORI ALLA SBARRA . Italia, 1960; Regia di Lucio Fulci.
L’anno successivo a I ragazzi del Juke-Box, Lucio Fulci rincara la dose di irriverenza polemica con Urlatori alla sbarra dove dà pienamente voce alla protesta del movimento musicale giovanile italiano. La formula scelta da Fulci riprende e rilancia il discorso del primo musicarello del cinema italiano, il suo citato precedente in materia: i contenuti narrativi, già scarsi ne I ragazzi del Juke-Box, sono ulteriormente rarefatti e si lascia ancora più spazio alle canzoni. Sono ben ventuno i pezzi che sorreggono il film che, diversamente, non avrebbe praticamente alcun sostegno. La sferzante satira di Fulci, aiutato in sede di scrittura da Pietro Vivarelli, Vittorio Vighi e Giovanni Addessi, è sguinzagliata a briglia sciolta e prende di mira i benpensanti italiani, soprattutto una certa frangia politica avvezza a predicare bene e razzolare male, badando in prima istanza ai propri interessi e al quieto vivere. Della protesta giovanile è, in qualche modo, apprezzata la spontaneità, sebbene sia evidenziato come venga abilmente pilotata dal mercato, nello specifico un’azienda produttrice di Blue Jeans interessata unicamente al profitto. La cosa è resa esplicita dal timore manifestato per la presenza di jeans prodotti nel Caucaso alla Festa dell’Unità di Gallarate, che potrebbe minacciarne il monopolio. E la scena nel finale, con Giommarelli (Mario Carotenuto) bacchettato dai senatori del suo partito che sfoggiano i jeans, è un ulteriore amara previsione degli autori: la classe dirigente della società, quando coglierà l’opportunità di ricavarci un profitto, smetterà di ostacolare i contestatori e ne assumerà usi e costumi.
La presenza di Carotenuto, nella parte del dirigente bacchettone, unita a quella di Elke Sommer in quelli di sua figlia che si batte sull’altra sponda, è un palese rimando a I ragazzi del Juke-box – la Sommer ha il nome del personaggio perfino identico, Julia – quasi a rimarcare che la trama è volutamente trascurata. Tra le canzoni, la parte del leone, soprattutto rivedendo il film oggi, spetta a Adriano Celentano: il molleggiato spara a raffica Il tuo bacio è come un Rock, Rock Matto, Nikita Rock, Impazzivo per te e Blue Jeans Rock, suonate con vigore e notevole presenza scenica. Molto bene anche un’irriconoscibile Mina, capelli corti e look molto sixty: Vorrei saper perché, Nessuno, Whisky e la celeberrima Tintarella di luna, mentre Chet Baker condisce la sua ironica partecipazione con la splendida Arrivederci. I Brutos in mezzo ad un gregge di pecore tengono fede al proprio nome con una spassosa interpretazione di Io e Brivido blu e anche Gianni Meccia la mette sul ridere con la sua Soldati delicati. A Joe Sentieri, che tra le altre canta Milioni di scintille, viene dato grande spazio dal punto di vista musicale, ma sembra oggi più datato così come Brunetta e la sua Precipito. Non deve sorprendere che suoni più attuale, almeno in chiave ironica, Carina di Corrado Lojacono, un pezzo di grande successo degli anni Cinquanta, che nel film è probabilmente inserita, al contrario, come residuato di musica d’altri tempi. Ma è il rischio che si prende quando ci si schiera per partito preso, sposando una teoria in toto. Un rischio che Fulci, che dirige il suo film gettandocisi a capofitto e correndo come un matto, si prende per intero. Ma che, tutto sommato, paga.
Elke Sommer
Mina
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