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martedì 19 ottobre 2021

MALEFICENT

913_MALEFICENT ; Stati Uniti, 2014; Regia di Robert Stromberg.

In linea teorica, il terreno su cui, dalla metà degli anni Dieci del ventunesimo secolo, ha cominciato a muoversi con insistenza la Disney, sembra piuttosto scivoloso. Con Alice in Wonderland (2010, regia di Tom Burton) si è infatti ripresa la strategia di riproporre in live action i classici film di animazione Disney, esperienza che negli anni 90 era già stata sporadicamente percorsa. Dopo La carica dei 102- Un nuovo colpo di coda (di Kevin Lima) del 2000, per una decina d’anni questa pratica era stata abbandonata, forse ritenendo la Computer Grafica non ancora all’altezza delle aspettative. Nel 2010 il genio di Burton aveva ravvivato la fiamma di questo particolare approccio e con Maleficent di Robert Stromberg, quattro anni dopo, un nuovo capitolo si era aggiunto. Si diceva di un certo scetticismo per questo tipo di produzioni che, in effetti, qualche perplessità la fanno legittimamente sorgere, almeno in prima istanza. Le storie raccontate dai classici sono piuttosto semplici, da un punto di vista narrativo, perché devono essere prevalentemente uno stimolo per l’immaginazione, ancora effervescente ma da educare, dei giovanissimi spettatori a cui sono rivolte. Per questo motivo sono perfettamente funzionali le immagini stilizzate delle animazioni, che ci riportano ai disegni infantili, visto che parlano lo stesso linguaggio dei bambini. La versione in carne e ossa, aiutata dall’odierna super performante CGI, può rappresentare realisticamente quanto in precedenza doveva necessariamente immaginarsi il giovane spettatore, smorzando, di conseguenza, la funzione stimolante che il cinema per ragazzi aveva sempre avuto. 

Questo è il terreno scivoloso di cui si accennava in avvio: poi, in questi iniziali nuovi approcci al filone live action, prima Burton con la sua Alice nel vero paese di Carroll e poi Angelina Jolie con la sua fantastica Malefica riusciranno ad aggirare questi ostacoli, che rimangono comunque in parte incombenti su questo tipo di produzioni. Tuttavia, fatte queste doverose premesse, che coscienza impone quando si tratta di realizzazioni in qualche modo destinate ai minori, va detto che Maleficent, grazie soprattutto ad una Angelina Jolie davvero strepitosa, è un signor film. In sostanza quello di Stromberg, qui all’esordio in regia, è un remake (dal vero, come detto) de La Bella addormentata nel bosco (capolavoro del 1959 ineguagliato per maestosità grafica), visto però dalla prospettiva del villain, vale a dire appunto la strega cattiva Malefica. La prima parte di Maleficent, che di fatto sembra un prequel del capostipite d’animazione, è un capolavoro e si conclude con l’apice di tutta quanta l’operazione: la visita di Malefica al castello, ovvero quello che nel film del 1959 era il suo ingresso in scena. In questo passaggio la Jolie è assolutamente perfetta e, quasi trascendendo la sua interpretazione in live action, sembra essa stessa un personaggio d’animazione che rivaleggia senza timore per irresistibile fascino bidimensionale con la sua omonima originale ma anche con Crudelia De Mon e Jessica Rabbit. 


Per la verità, c’era stato anche il rischio, in questa prima fase del racconto, che il voler dare una motivazione al cattivo ne svilisse la forza interiore; che divenisse, insomma, un cattivo politicamente corretto. Angelina spazza via questa eventualità sprigionando un vivido sadismo, contenuto ma non soppresso grazie alla giusta alchimia dello straripante charme dell’attrice. Si veda, come esempi espliciti in questo senso, il modo in cui la strega chiama bestiolina la piccola Aurora (nel film, prima Vivienne Jolie-Pitt e poi Elle Fanning) o un po’ tutto il rapporto con il corvo Fosco (Sam Riley). La sceneggiatura di Linda Woolverton su questo piano offre anch’essa il suo contributo perché, se è vero che Malefica prima è una cattiva con una motivazione alle spalle e poi diventa addirittura buona, è vero anche che un vero malvagio a tutto tondo il film ce lo offre nei panni di re Stefano (Sharlto Copley). 

Il padre di Aurora è particolarmente spregevole perché le motivazioni del suo essere abietto sono quelle che conosciamo bene nel nostro mondo: arrivismo e avidità. La declinazione naturalistica presente nell’opera sembra più che altro un omaggio al genere fantasy, in cui Maleficent sembra volersi ascrivere con forza. Certo, appare evidente che il mondo delle fate e degli elfi, quello naturale, sia positivo e in contrapposizione a quello della civiltà umana, un tema che la Disney ha sempre cavalcato e divenuto in questi anni largamente condiviso. A tal punto che non serve nemmeno svilupparlo più di tanto, visto che ormai sono concetti universalmente accettati; e nel film, in fondo, non hanno un ruolo poi così determinante. 

Il punto chiave del racconto arriva, giustamente, solo in chiusura, nel finale che, onestamente, riscatta e rivaluta una seconda parte non brutta o noiosa ma forse un po’ troppo elaborata da un punto di vista narrativo. Del resto c’era da far quadrare la trama, con i nuovi presupposti che richiedevano i propri sviluppi ma occorreva anche gestire il canovaccio del classico del 1959, di cui in fondo si stava trattando il remake. Alla Disney sanno il fatto loro, in questo senso, e la sceneggiatura poi fila che è un piacere, a dirla tutta; eppure la folgorante bellezza dell’incipit che scatena la malvagità di Malefica, un banale tradimento per sete di potere, al cospetto della seconda parte più costruita, risplende nella sua forza evocativa. Tuttavia il finale, con un colpo di scena che sul momento non può non sorprendere, ci ripaga anche su un piano, diciamo così, educativo. Il vero amore non è un dono, che può capitare in dote dal primo che passa, sia anche di nobile stirpe come il principe Filippo (Brenton Thwaites). Il vero amore è una conquista e solo se dimostreremo anche solo l’ombra della tempra di Malefica, potremo avere una speranza. E’ dura, ma con un simile esempio sarà comunque bello crederci.  



Angelina Jolie





Elle Fanning




2 commenti:

  1. non tutti i remake vengono per nuocere, insomma 😄
    in realtà lo penso davvero, in questi giorni mi sto godendo "Walker", il remake della serie di Chuck Norris, lo danno ogni domenica su Italia 1... Sicuramente il fatto di non essere mai stato un fan della serie classica mi aiuta ad accettare questa nuova versione che in realtà, a differenza di Maleficent, non ha quasi niente in comune con l'originale 😮
    I cartoni dovrebbero alimentare l'immaginazione, verissimo... Vale anche per i fumetti del resto, pure lì il realismo estremo ha preso piede... Ma vuoi mettere un Donatelli o un Bignotti? 🙂

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  2. Io sono favorevole ai remake. Il fatto è che, al contrario di quello che si può pensare, per fare un rifacimento devi essere più bravo perchè hai degli elementi già conosciuti dallo spettatore.
    Per quel che riguarda i disegnatori di fumetti, Rubini, ad esempio, riesce a incarnare molto bene lo spirito evocativo dell'epoca in chiave moderna.

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