911_I FRATELLI SISTERS (The Sisters Brothers); Stati Uniti, Francia, Romania, Spagna, Belgio, 2018; Regia di Jacques Audiard.
L’approccio al genere western del francese
Jacques Audiard è, sin dal titolo, controverso: I fratelli Sisters gioca infatti sul fatto che Eli (John C. Reilly)
e Charlie (Joaquin Phoenix) non sono certo due sorelle come invece recita il loro cognome.
Oltretutto, ad ulteriore conferma di quanto sia fuorviante il loro nome, i
Sisters non sono neanche femminucce ma autentici ammazzasette che di lavoro
fanno grosso modo i sicari per conto del Commodoro (dicono che sia Rutger
Hauer). Che è un altro personaggio dal nome ambiguo: anche se porta un titolo
ufficiale, e in qualche modo istituzionale, è evidentemente un criminale; e dei
peggiori, visto che è il mandante di azioni delittuose. Ma questi potrebbero
essere solo dettagli marginali: se non fosse che tutto il lungometraggio è
costellato di situazioni che vanno contro le apparenze. Dal fatto che, tra i fratelli, ad
assumere il ruolo di capo è Charlie, che è il minore, al suo essere
l’elemento più rozzo e volgare quando, in apparenza, Phoenix è certamente più
bello e aggraziato di Reilly. Eli, in effetti, conferma la natura controversa
del racconto, rivelando una vaga nobiltà d’animo o perlomeno la presenza di una
forma di sensibilità, come evidenziato nelle scene del foulard, da solo e con
la prostituta. Il che indubbiamente stride con la sua spietata efficienza con
la pistola quando deve liquidare gli avversari. Le riprese in Europa non sono
certo una novità, per il genere, si pensi agli spaghetti western; comunque, in questo caso, Audiard non si sforza
più di tanto di mascherare il suo falso (l’uso di una location diversa da quella
raccontata). Anzi, nel film assistiamo al posizionamento di alcune facciate di
edifici che sembrano proprio l’allestimento di un set cinematografico.
La
violenza, che nel western classico era in qualche modo discreta e negli
sviluppi successivi del genere diveniva iperrealistica, qui è mostrata ma è
incomprensibile: nella prima sparatoria di fatto non si capisce nulla. La
stessa fotografia usata è, per assurdo, forse un filo troppo realistica, per un genere che è sempre stato una sorta di metafora
della società americana e quindi, di conseguenza diretta, di tutta quanta
quella occidentale. Ma, del resto, il western ha raccontato la conquista del
west e, andare ad occidente è passato dall’essere qualcosa di pessimistico
(nell’inglese britannico to go west era sinonimo metaforico di tramontare) al simbolo
di progresso, civilizzazione. Anche i Sisters ci vanno, a ovest, e arrivano
addirittura all’oceano: a quel punto devono giocoforza tornare indietro e il
loro percorso a ritroso non sarà per niente secondario nell’economia del film.
E’ infatti nel ritorno alla casa familiare e al ricongiungimento con l’anziana
madre, un poco brusco nell’accoglienza, per la verità, che si cristallizzano le
loro speranze di redenzione. Ritornare alle origini, quindi; che in un western
è, proprio come già si intuiva dal controverso titolo, paradossale. In questi
termini, I fratelli Sisters sembra una specie di smentita del genere; l’ennesima, dopo il controwestern o, in un certo senso, il citato western all’italiana. Ma Audiard non si limita a negare la parabola
insita nel genere americano per eccellenza.
Certo, i personaggi, che nel
western erano spesso solo buoni o cattivi, qui sono tutti segnati, sporcati, macchiati, anzi feriti e anche
duramente. C’è un liquido, nel film, altamente corrosivo, che intacca qualunque
cosa e, per fare un altro esempio, il cavallo di Eli viene ferito e sfigurato;
curiosamente, in seguito muore ma lo fa in modo del tutto avulso al modo in
cui, per convenzione, muoiono i cavalli nel far west. Ma sono ovviamente i due
protagonisti ad avere i passaggi più significativi in tal senso. Charlie nella
storia perderà una mano, quella con cui impugna la pistola: per ritornare dalla
madre, deve perdere la sua attitudine alla violenza; ad Eli una ragna nidifica
nel ventre, (passando dalla bocca!) e quando l’uomo vomiterà l’impossibile,
simbolicamente si libererà della propria matrice maligna completando un
miglioramento (l’uso dello spazzolino, indice di civiltà primaria e basilare)
già in nuce fin dall’inizio.
Il tema dell’igiene dentale introduce gli altri
due coprotagonisti dell’opera: John Morris (Jake Gillenhall) e Hermann Kermit
Warm (Riz Ahmed). Il primo è una sorta di collega dei Sisters, più che altro un
detective che deve stanare le vittime e mettere i fratelli sulle loro tracce.
Il secondo è un chimico che possiede una formula in grado di rivelare la
presenza dell’oro nei ruscelli, agevolando di molto la ricerca aurifera molto
in voga ai tempi. Morris, un po’ svanito come l’attore che gli presta il volto,
si lascia infatuare dagli ideali di Warm, circa l’uso dell’oro per la
fondazione di una città modello, libera e democratica, e decide di tradire il
Commodoro. Al loro arrivo, anche i Sisters finiscono per acconsentire a questo
obiettivo: Eli sembra anche convinto; a Charlie probabilmente interessa la
velocità con cui ci si può arricchire usando la formula.
E che una soluzione
chimica si riveli l’elemento decisivo della storia è, in un western, come
abbiamo capito, quantomeno insolito. Ma, quello che la storia rivela, è che la
società, di cui il western dovrebbe celebrare la nascita e il primo sviluppo, è
nata male: il padre dei Sisters era un violento (come del resto i due) oltre
che un ubriacone (come Charlie). Una famiglia in cui i figli imparavano il male e non il bene: il contrario di come dovrebbe essere (il tema
dominante del film). Ma il peccato originale era un altro: Charlie aveva ucciso il padre; e qui
i percorsi rovesciati si moltiplicano. Padri che picchiano i figli e figli che
uccidono i padri ma, tra i due figli, a prendersi l’improbo onore era il minore dei due, lasciando una sorta di rimorso
atipico al figlio maggiore che si sentirà per la vita in colpa per non essere
stato lui a uccidere il padre.
Un senso di colpa immorale (contrario alla morale) che basterebbe da solo come motivo di
interesse nella storia raccontata. Tuttavia non è tanto il fatto che la società
occidentale porti già in sé, fin dalle origini famigliari, i germi del male, il
punto nevralgico de I fratelli Sisters. Oltretutto non sarebbe certo una novità. No,
quello che ci dice Audiard è che, nonostante la madre li accolga in malo modo,
è solo nel ritorno alla famiglia, alle proprie origini, ad un ricominciare da
capo, che si può trovare la propria salvezza. Lasciandoci alle spalle la
violenza (la mano di Charlie) indispensabile nella corsa all’ovest. Perché
anche le citate suadenti idee democratiche di Warm si fondano sulla necessità di
denaro e questo le mina subito dal principio.
Nel film la cosa è resa in modo
quanto mai esplicito dal tema ecologico, accuratamente evitato dal regista
quando abitualmente è uno degli argomenti sociali più agevolmente utilizzati
dal genere. Lo steccato, il filo spinato, il cavallo di ferro con il
fumo nero che ne accompagna la corsa, sono tutte concrete metafore di quanto
inquinante sia stata, nel west, l’avanzata dell’uomo bianco. Audiard evita di
farne parola nei dialoghi dell’illuminato chimico: ma la scena coi pesci morti
lungo il fiume vale più di qualunque discorso. Quei pesci morti sono persino più
importanti dei morti ammazzati dei Sisters: i fratelli, nella loro carriera,
avranno ammazzato qualche decina di uomini. L’uso della soluzione chimica di
Warm in modo sistematico avrebbe avvelenato tutto l’ambiente naturale causando
sicuramente danni di proporzioni assai maggiori. Certo, le belle parole del
chimico lo avrebbero spacciato per un effetto collaterale verso la costruzione
di una comunità basata sulla giustizia sociale: vi ricorda qualcosa di già
visto e, ahimè, vissuto, non è vero?
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