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martedì 12 ottobre 2021

DIE MANNER DER EMDEN

909_DIE MANNER DEM EMDEN ; Germania, 2012; Regia di  Berengar Pfahl.

Nel periodo tra le due guerre mondiali la vicenda della Emden, una nave da guerra tedesca, era divenuta una sorta di caso cinematografico. La SMS Emden, questo il nome dell’incrociatore in questione, era stato affondato presso le Isole Cocos dopo aver compiuto una serie di azioni di guerra che l’avevano resa celebre. La natura di queste operazioni era controversa: raccontate come atti di pirateria dagli alleati dell’Intesa, erano invece plaudite con ardore dai tedeschi. Tuttavia su una cosa c’era generale consenso: la Emden era una nave di gentiluomini che si attenevano alle disposizioni di legge vigenti in caso di guerra sul mare cercando, ove possibile, di mettere in salvo gli equipaggi delle imbarcazioni che andavano ad affondare. Dopo aver collezionato questi successi militari, come detto, alle Isole Cocos era arrivato il fatale incontro con l’australiana HMAS Sidney, più potente e meglio armata, che aveva posto fine alla gloriosa carriera della Emden. Questo episodio, per via delle sue caratteristiche, era sembrato l’ideale ai produttori cinematografici tedeschi ai tempi della Repubblica di Weimar: il paese era sotto il controllo delle potenze che avevano vinto la guerra e bisognava evitare qualsiasi deriva nazionalista. D’altro canto il popolo tedesco aveva necessità di metabolizzare il trauma della Prima Guerra Mondiale, una sconfitta ma soprattutto quasi tre milioni di morti. La storia della Emden, il suo venire affondata con onore da un nemico di forza superiore, soddisfaceva un po’ tutti i requisiti: compattava i tedeschi ma lo faceva raccontando di una sconfitta che certo in Germania non era cosa abituale. 

Nel corso degli anni erano uscite varie versioni del film, accentuando o limitando la traccia di pura finzione che accompagnava gli eventi storici e, in modo un po’ sorprendente, la stessa cosa era successa in Australia. Insomma, senza contare i precedenti cortometraggi del tempo di guerra, tra il 1926 e il 1934 erano uscite cinque versioni che si basavano fondamentalmente sul capostipite, Unsere Emden di Louis Ralph, e comunque mettevano al centro del racconto il mitico incrociatore. In effetti la vicenda storica connessa era più lunga e articolata mentre i film in questione si erano sempre concentrati sulle imprese della Emden arrivando al culmine e terminando con il suo affondamento. Infatti, una parte dell’equipaggio prima dell’arrivo della Sidney era scesa sull’isola dove era installata la stazione radio da sabotare e si era quindi salvata mettendosi poi in fuga. 

Su questo manipolo di uomini si concentra Die Manner dem Emden di Berengar Pfahl, come già ben evidenziato dal titolo del film (gli uomini dell’Emden). Nel 2012 si avvicinava il centenario della Grande Guerra e un episodio leggendario come quello in questione era l’ideale per celebrale la ricorrenza un po’ fuori dai soliti teatri delle trincee che caratterizzarono il primo conflitto mondiale. L’operazione di Pfahl da un punto di vista cinematografico è interessante: la vicenda del suo film entra infatti nel vivo dopo l’affondamento e, quindi, più che un remake sembra un sequel dei vecchi film sulla Emden. Tuttavia, con l’iniziale festa di matrimonio in quel di Tsingtao, colonia tedesca in Cina, l’opera riprende l’incipit di Kreuzer Emden anche se, in Die Manner dem Emden la traccia sentimentale sarà molto più approfondita al punto da potersi definire il vero asse portante del racconto. Il banchetto nuziale citato sta celebrando le nozze tra un tedesco e un’inglese e questo aspetto, questa vicinanza tra i due popoli che di lì a poco diverranno acerrimi nemici, è sottolineata anche in un altro tema in cui il film di Pfahl riprende Kreuzer Emden, quello delle canzoni d’epoca che accompagnano il lungometraggio. Tra i diversi motivi presenti soprattutto nella primissima fase del racconto (quella che si rifà maggiormente ai precedenti film) spicca l’inno dell’Impero Tedesco, ignorato invece dai vecchi lungometraggi, forse perché era evidente che la melodia fosse la stessa di God Save the King, la canzone nazionale britannica. 

Tra i brani cantati non manca, ovviamente, Die watch am Rhen, sorta di inno morale del tempo della patria tedesca, ma è curioso notare come il racconto di Pfahl sottolinei questo apparentamento anglo-germanico poco prima dell’inizio delle ostilità. Tornando alla traccia sentimentale, la storia tra i due protagonisti, il tenente Overbeck (un convincente Ken Duken) e la giovane aristocratica Maria (una bellissima Felicitas Woll) ha un percorso separato sin da subito ma non per questo perde efficacia, anzi. Dopo una prima fase in cui l’ufficiale è impegnato con le imprese della Emden e la ragazza è in trepidante attesa di notizie a Tsingtao, l’affondamento della nave e la caduta della colonia tedesca costringono i nostri protagonisti a travagliati e accidentati percorsi per tornare in Germania. Naturalmente l’attenzione maggiore è concentrata sul tenente Overbeck e i sopravvissuti della Emden anche se la ragazza, che viaggia con la propria famiglia e un facoltoso spasimante, il nobile von Manstein (Matthias Schloo), avrà le sue belle avventure in un mondo dominato dalle potenze dell’Intesa. Tuttavia, come prevedibile, ben più avvincente sarà il viaggio dei marinai della Emden, capeggiati dal valoroso Primo Tenente von Mücke (Sebastian Blomberg) che, per la verità, ogni tanto sembra lasciarsi prendere un po’ dal fanatismo. Dapprima i nostri sequestrano una vecchia bagnarola a vela (la goletta Ayesha), con cui se la squagliano dalle Isole Cocos, poi prendono possesso di una nave che viene dipinta in modo da essere scambiata per un’imbarcazione italiana e quindi neutrale. Sulla rotta verso l’Europa, una volta arrivati nella penisola araba, i nostri devono raggiungere la ferrovia e lo faranno non prima di una serie di scontri con le tribù di beduini locali. 

Considerato che il film dura tre ore e il viaggio 13.000 chilometri (da cui uno dei titoli alternativi dell’opera, 13.000 Kilometer) i marinai riusciranno ad arrivare a Berlino ma attraversando momenti davvero drammatici per la sete, la fame, le malattie, la stanchezza, gli scontri a fuoco, insomma, un viaggio bellico avventuroso a cui non manca nulla. La mano in regia di Pfahl è di mestiere e il film non smette mai di essere avvincente. A sostenere l’attenzione dello spettatore, come accennato, non c’è però solo il versante adrenalinico: l’idea di separare le strade dei protagonisti della storia d’amore è infatti funzionale, perché in questo modo le due vicende possono efficacemente viaggiare in parallelo. 

A quella distanza, le schermaglie amorose tra Maria e von Manstein non disturbano la drammaticità della situazione in cui versano il tenente Overbeck e i suoi compagni di viaggio e servono invece da contrappunto alla pista bellica. La traccia sentimentale è alimentata dalle insidie di von Manstein a Maria, che peraltro è ancora innamorata del suo tenente sebbene il sentimento della giovane cominci a vacillare, a fronte delle continue tragiche notizie sulla sorte dell’Emden e del suo equipaggio. Inoltre, la famiglia di ragazza, che non vedeva di buon occhio l’unione di Maria con un ufficiale di modeste origini, sponsorizza apertamente von Manstein, giovanotto brillante, facoltoso e pieno di risorse che, proprio grazie a queste, riesce, in un modo o nell’altro, a far rientrare il gruppo in Germania. 

A tutto questo si aggiunge la costante opera infida da una parte della sorella di Maria, Guglielmina (Antje Charlotte Sieglin), invidiosa della bellezza e dei successi sentimentali di questa. In tema di manovre sottobanco, ben di peggio combina il tenente von Schulau (Jan H. Stahlberg) che imbastisce sotterfugi su entrambi i fronti, ostacolando la relazione tra Overback e Maria e sobillando alla rivolta i marinai della Emden. Qualche altro timore, sulla tenuta dell’amore tra i nostri due protagonisti, arriva anche su questa sponda narrativa, quando i marinai incontrano Salima Bey (Sibel Kekilli), davanti alle cui grazie il tenente Overbeck palesa qualche turbamento. Tornando a Maria, senza più notizie del suo tenente, dato per morto e poi per disperso, incalzata dalle galanterie e dagli agi offerti da von Manstein, la giovane cede e accetta di sposarlo. E, a questo punto, a giochi ormai quasi fatti, ritorna clamorosamente sulla scena il tenente Overbeck, di rientro dal suo eroico viaggio. Una storia tanto travagliata non può non prevedere il lieto fine: quest’ultimo strappo è dovuto al carattere indomito di Maria che si svincola impunemente dagli impegni presi con von Manstein. La felicità è da ottenere con un ultimo sforzo, un viaggio a bordo di una barchetta con cui raggiungere la Svezia: ma, dopo quello che han passato, ai due sembra poco più che uno scherzo. E, con questo lieto fine, forse anche la Emden, richiamata in causa così tante volte dal cinema, potrà finalmente riposare in pace. Ma, in caso diverso, saremmo spettatori in prima fila.


 Felicitas Woll







Sibel Kekilli



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