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domenica 3 ottobre 2021

MASCHERE E PUGNALI

901_MASCHERE E PUGNALI (Cloak and dagger); Stati Uniti, 1946; Regia di Fritz Lang.

Nemmeno il fan più accanito di Fritz Lang può appellarsi al fatto che, stando alle parole dello stesso regista, a Maschere e pugnali manchi completamente l’intero rullo con il finale originale. Lang aveva girato questo lungo passaggio, con scene complesse come i lanci dal paracadute degli agenti del OSS, lo spionaggio americano, ambientandolo nella base segreta in Germania dove si lavorava alla bomba atomica. L’ultimo scambio di battute tra il protagonista, il professor Alvah Jasper (Gary Cooper) e un anonimo soldato, in cui l’agente segreto si augurava che la bomba atomica venisse tenuta segreta al mondo, era il punto chiave, stando alle parole di Lang, dell’intero lungometraggio. Ma, allora, com’è che è alla Warner decisero di amputarlo in modo così drastico? Come accennato, in ogni caso, ben difficilmente questo passaggio potrà issare Maschere e pugnali a rango di capolavoro, come un po’ tutti, se non proprio si aspettano quantomeno sperano, quando si mettono a guardare un film di Fritz Lang. Che, peraltro, Cloak and dagger, questo il titolo originale, è un signor film, niente da ridire: una solida storia di spionaggio durante la Seconda Guerra Mondiale. Lang, che era austriaco ma era stato uno dei massimi esponenti del cinema tedesco, era dovuto emigrare in America come altri suoi colleghi provenienti dall’area germanica dell’Europa. Evidentemente questo fardello, questo essere espressione culturale di quella nazione che, attraverso il nazismo, incarnava all’epoca il male assoluto, doveva pesarle parecchio. 

E questo lo si percepisce dall’insistenza del regista sul tema, i suoi film esplicitamente antinazisti, nei quali viene però un po’ a mancare quell’ambiguità di fondo che caratterizzava il suo cinema. Se si può essere in qualche modo solidali persino con il mostro di Dusseldorf interpretato da Peter Lorre (in M – Il mostro di Dusseldorf, 1931), difficile esserlo con gli spietati e anonimi nazisti di Maschere e pugnali. Se nell’indagare col suo cinema sulla società americana Lang era già stato, come suo solito, particolarmente acuto, cogliendone gli aspetti più interessanti e contraddittori, in un’ottica più internazionale aveva perciò uno sguardo più benevolo nei confronti della superpotenza che lo ospitava. In questo senso Maschere e pugnali, nella versione poi licenziata dalla produzione, è percorso da una storia romantica che si chiude con una speranza intrisa di ottimismo. 

Nella promessa di tornare, fatta da Alvah alla bella Gina (Lilli Palmer), c’è l’implicito aggancio alla speranza nella finzione che si era già concretizzata nella realtà con la sconfitta dei nazisti. Allo stesso modo, si potrebbe insomma pensare, anche la storia d’amore tra i due avrà un lieto fine; un curioso happy end a scadenza ritardata che era comunque presente nella versione originale del film ma senza essere enfatizzato in questa maniera, visto che solo ora diveniva la chiusa del racconto. Quindi non secondo la sceneggiatura di Albert Maltz e Ring Lardner Jr, due che finirono nei Dieci di Hollywood anche per il passaggio conclusivo poi tagliato che era appunto il punto decisivo su cui focalizzarsi e che era non a caso posto in chiusura del film. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto tenere segreta la bomba atomica; questo era il ruolo che gli autori (gli sceneggiatori, certo, ma anche Lang in regia) in questione si ‘auspicavano’ per quello che si spacciava essere il paese paladino della libertà. Nella realtà, più che nascondere la potenza dell’ordigno atomico, gli Stati Uniti lo avevano palesemente mostrato a tutto il mondo, con le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki rendendo in sostanza amaramente sarcastico il commento di Alvah al soldato. 


L’anno successivo all’uscita del film, nell’ottobre del 1947, il Comitato per le attività antiamericane convocò tra gli altri i citati sceneggiatori di Maschere e pugnali e, dopo la condanna, i due finirono sulla famosa lista nera di Hollywood. Tuttavia, nonostante il finale tagliato dal film di Lang sia annoverato come esempio della loro attività comunista, non sembra poi così importante, almeno a posteriori (ovviamente, sentendone unicamente parlare, visto che è andato distrutto). Insomma, nonostante il finale passi per una severa critica all’utilizzo delle bombe atomiche, la cosa è già riscontrabile prima, nel lungometraggio, nella reazione che Alvah ha quando, cercando di convincerlo ad aderire all’OSS, gli prospettano l’eventualità che i nazisti trovino la formula al fine di utilizzare l’arma atomica. Comunque, stando a quanto è rimasto sullo schermo, lo sguardo di Lang nei confronti dell’America in ambito bellico non sembra nascondere alcuna vena polemica; e, se ci fosse, è sommersa dal risentimento di quello che era stato il miglior regista tedesco verso le sciagurate scelte politiche del proprio paese. Ma che rientra nel cliché narrativo dell’epoca che voleva i tedeschi (in quanto nazisti) nella parte dei cattivi e quindi, Maschere e pugnali risulta un robusto film di spionaggio, solido e scorrevole, nel quale il cineasta lascia comunque qualche sua tipica zampata d’autore


La furibonda lotta corpo a corpo tra Alvah e l’agente nemico nell’androne di un palazzo, con il prezioso intervento di Gina, è forse il più memorabile. Lang è sempre Lang, del resto, però qualcosa non gira completamente per il verso giusto e forse una di queste cose è proprio la resa del personaggio interpretato da Lilli Palmer. La Palmer aveva, probabilmente, alcune caratteristiche della tipica donna di Lang: bella in modo originale ed elegante nel portamento ma, nel confronto con uno stangone da uno e novanta come Coop, lei che era alta circa un metro e sessanta faticava già anche solo ad occupare opportunamente lo schermo. 

Il copione poi la poneva di fronte ad una parte contradditoria, di donna che non vuole impegnarsi e invece finisce ovviamente per innamorarsi ma, in mezzo ad una storia di spionaggio, non ebbe probabilmente il tempo per approfondire il proprio personaggio in quel senso. O forse, più semplicemente, alla pur brava Lilli mancava il fascino carismatico della diva che avevano, al contrario, Gloria Grahame o Joan Bennet. Del resto lo stesso Lang disse che non fu per nulla soddisfatto dell’attrice anche se, a posteriori, si rese conto di quanto invece fosse stata brava; eppure sullo schermo, nonostante l’impegno e le capacità non le mancarono, non le riuscì di infiammare la storia. E anche il cinema di Lang, senza una presenza femminile che ne incarni gli aspetti più affascinanti, può incappare in un risultato che, seppur sempre apprezzabile, non è paragonabile ai suoi capolavori.  







Lilli Palmer







2 commenti:

  1. immagino sia questo che si intende quando si parla di "maccartismo", un termine che ho letto e sentito più volte, fa persino un po' paura per come suona... ma finora non ne avevo ancora trovato un esempio pratico come questo...

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  2. Beh, probabilmente non è che ci tengano più di tanto a farne pubblicità. Fu un fenomeno che a vederlo oggi, a posteriori, rende un po' l'idea di come l'autodefinizione che si davano gli USA, "il paese della libertà", fosse uno slogan buono come un altro ma con fondamento assai discutibile. Senza polemica eh!

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