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domenica 31 ottobre 2021

HALLOWEEN - LA NOTTE DELLE STREGHE

919_HALLOWEEN - LA NOTTE DELLE STREGHE (Halloween); Stati Uniti, 1978; Regia di John Carpenter.

E’ sempre cosa saggia fidarsi fino ad un certo punto delle dichiarazioni dei registri a proposito dei propri film, per svariati motivi tra cui anche la semplice modestia; ma, nel caso di John Carpenter e di Halloween – La notte delle streghe abbiamo più di qualche elemento che ci dice che le dichiarazioni dell’autore siano corrispondenti al vero. Ad un’intervista con Giulia D’Agnolo e Roberto Turigliatto (Conversazione con John Carpenter, dal volume John Carpenter, 1999 Lindau) Carpenter ammette candidamente che Halloween – La notte delle streghe assunse presto, presso il pubblico più attento e gli addetti ai lavori, significati di cui neppure lui era a conoscenza. Non aveva manco idea di cosa stesse parlando, stando alle parole dello stesso cineasta americano, quella gente quando gli chiedeva approfondimenti convinta che lui avesse tutte le risposte. E qui si potrebbe legittimamente pensare che il buon John cercasse di schernirsi per una sorta di pudore autoriale, forma artistica della modestia, ma dallo stesso libro arrivano anche le parole di Debra Hill (“Cosa credi che ci sia in quella nebbia?” altra intervista di capitale importanza contenuta nel notevole tomo). La preziosa collaboratrice (co-soggetto, co-sceneggiatura, produzione) a proposito di Halloween – La notte delle streghe dichiara lapidaria: “Eravamo ragazzi. Per noi era come un home movie.” E poi, cosa ben più concreta delle semplici parole, c’è anche il film in questione. Il fatto è che l’horror del periodo, dalla fine degli anni settanta del XX secolo e per tutti gli ottanta, assunse spesso una connotazione politica impegnata, di cui Carpenter stesso divenne un dichiarato portabandiera (basti vedere il suo Essi vivono, 1988). 

Per cui, in genere a posteriori, in Halloween – La notte delle streghe sono stati trovati, quando non del tutto affibbiati in modo un po’ posticcio, significati che, appunto, erano sfuggiti persino agli autori. Il che potrebbe anche succedere, sia chiaro, visto che spesso l’artista è un catalizzatore di sensazioni, impressioni, che poi concretizza più o meno consapevolmente nella sua arte. Carpenter, però, è un autore molto cerebrale, scientifico, e Halloween – La notte delle streghe è un distillato della sua consapevole scienza artistica. Innanzitutto, perché uno degli aspetti più importanti nella riuscita del film è prettamente tecnico e legato alle capacità specifiche dell’autore, alla sua conoscenza delle lenti degli obiettivi da usare per questo o quell’effetto, all’uso della Panaglide, una innovativa steadycam, alla sua superiore concezione del montaggio e della composizione dell’immagine. Carpenter utilizza le sue superbe competenze, perfino la sua capacità di compositore musicale con un motivo che resterà negli annali del cinema horror e terrorizza fin dai titoli di testa, per inquadrare in modo adeguato il suo film. Dopo l’agghiacciante incipit, che vede all’opera il bambino di sei anni Michael Myers (qui interpretato da Will Sandin) far fuori la sorella maggiore nel 1963, la vicenda vera e propria è ambientata nella stessa fittizia cittadina di Haddonfield, un tranquillo paesino dell’Illinois, ma ai tempi contemporanei dell’uscita del film nelle sale, quindici anni dopo la tragedia mostrata. 

La trama è arcinota e nemmeno troppo originale: Myers, fino all’ora rinchiuso in un istituto per cure psichiatriche, fugge per tornare al paese natale in quella stessa notte di Hallowen in cui aveva compiuto il misfatto. Il lungometraggio dura quasi un’ora e mezza: in questo lungo lasso di tempo, Myers uccide cinque persone (contando anche la sorella nella sequenza introduttiva) tra cui un uomo, un giovane e le due ragazze amiche della protagonista Laurie (Jamie Lee Curtis, fantastica). Questo per dire che, per un film che ha fatto epoca e segnato per sempre il genere slasher, e di cui è considerato uno dei capostipiti, non è che ci sia poi tutto questo movimento. Eppure ogni singola inquadratura di Halloween – La notte delle streghe trasuda tensione emotiva grazie al costante e puntuale lavoro della regia. 

Cominciando, come detto, dai titoli di testa: scritte semplici affiancate da una Jack-O’-lantern, la lanterna ricavata dalla zucca simbolo stesso di Halloween, che, accompagnata dal terrificante motivo della colonna sonora scritto dallo stesso Carpenter, si avvicina progressivamente, condensando la sensazione di incombente minaccia. A completare le coordinate narrative, il citato incipit in cui assistiamo, in soggettiva, al primo delitto di Michael: la scena è ben girata ma raggiunge l’apice assoluto quando la ripresa esce dalla soggettiva per rivelare che l’omicida è un bambino di sei anni. L’attonito atteggiamento dei suoi genitori nel vederlo con un coltellaccio grondante di sangue, sopraggiungendo solo allora e non potendo sapere cosa ha combinato il figlioletto, incarna perfettamente la sensazione dello spettatore che si trova totalmente (come direbbe una delle ragazze uccise nel film) spiazzato da un simile colpo di scena. A questo punto, comincia il lavoro di Carpenter sull’ambientazione angosciante in quel di Haddonfield, inframezzato, giusto per alimentare la tensione anche da un punto di vista narrativo, dalla fuga di Myers (Nick Castle) dall’istituto o dai dialoghi in cui il dottor Sam Loomis (Donald Pleasense) cerca di convincere lo sceriffo del paese (Charles Chypres) sulla pericolosità della situazione. Ma sono elementi marginali. 


La tensione crescente in Halloween – La notte delle streghe è data da semplici inquadrature che vedono la cittadina costantemente deserta sullo sfondo dei movimenti delle tre ragazze o dei bambinetti della cittadina. Nella situazione creatasi, i puerili scherzi dei ragazzi per l’arrivo della notte delle streghe della tradizione americana contribuiscono efficacemente a creare disagio. Due giovani ragazze conversano camminando in una cittadina deserta, gli enormi spazi vuoti, la strada ampia, i giardini delle case senza che si veda mai nessuno e poi gli ambienti celati dietro una siepe ed ecco un’auto, una singola auto parcheggiata lungo la via… e ancora, gli alberi dalle forme inquietanti, con rami che somigliano a braccia pronte a ghermirti, insomma, Carpenter costruisce qui il suo film dell’orrore. Proprio gli alberi del film possono essere una curiosa chiave di lettura dell’opera: Debra Hill, sempre nell’intervista citata, racconta di come la storia sia stata ambientata volutamente nel Midwest nonostante lo scarso budget a disposizione per girare il film costrinse la troupe a rimanere in California. A sentire le parole di Debra il problema principale fu tener fuori le palme dalle inquadrature ma, in compenso, Carpenter utilizzò in modo sontuoso le piante che poté lasciare sullo schermo per alimentare la tensione grazie alle forme dei rami. 


Uno stratagemma, quello degli alberi che incutono timore con la loro incombenza, che è roba da bambini, si pensi al bosco delle fiabe o anche ai film di animazione della Disney. Ma è proprio qui il punto: oggi, il concetto stesso di Halloween può far paura ma proprio grazie alla saga cominciata col film di Carpenter. Perché nel 1978 era esattamente roba per bambini, tant’è che i ragazzini giravano in piccoli gruppetti, senza adulti che li accompagnassero, per la celebre prassi del dolcetto o scherzetto (trick or treat, in inglese). E la decisione di ambientare il film nell’Illinois, nel pacifico Midwest, andava proprio in questa direzione: Los Angeles e la California erano, negli anni settanta, già un posto turbolento (in proposito la Hill cita gli hippy, quelli della contestazione al sistema, e Manson) mentre gli autori volevano un ambiente tranquillo per la loro vicenda. Insomma, Carpenter crea uno spazio vuoto per dirci che, nonostante ci possa anche non essere alcuna premessa che lo faccia presagire, il Male incombe comunque. 

Spesso si è letto che l’assassino uccida le ragazze che fanno sesso mentre a salvarsi è Laurie, l’unica casta del gruppo, e la cosa è stata interpretata come una condanna alla deriva che dopo la rivoluzione sessantottina aveva intaccato i principi morali in materia. Analogamente si potrebbe osservare come Laurie è l’unica delle tre ragazze a fare coscienziosamente il proprio compito di baby sitter; Annie (Nancy Kyes) non esista ad abbandonare la ragazzina affidatale pur di andare a spassarsela e Lynda (P. J. Soles) non si fa problemi ad occupare col suo ragazzo il letto altrui, entrando di soppiatto in casa di estranei per farci i propri comodi. Ma sono gli unici elementi che abbiamo: Myers uccide cinque persone, quattro delle quali coinvolte in attività sessuali (per la verità Annie è sola in macchina, ma possiamo concedere che si punisca l’intenzione). 

Una buona statistica, ma nemmeno così solida in quest’ottica. Perché, forse, si potrebbe intendere la licenziosità del comportamento dei giovani di Haddonfield come specchio della tranquillità e del benessere della comunità. Una comunità nella quale i ragazzi potevano spassarsela mentre davano un occhio distratto ai bambini, intenti a godersi la serata guardando la Tv, con gli adulti fuori casa a divertirsi a loro volta. Quella che Carpenter tratteggia, in sostanza, è la comunità perfetta, dove non esistono minacce e tutti quanti possono vivere serenamente. Del resto c’è in questo senso anche l’osservazione di Laurie, quando sospetta che lo sceriffo padre di Annie non possa non aver avvertito l’odore dello spinello che lei e l’amica stanno fumando; eppure il tutore della legge non dice nulla. In quella scena, tra l’altro, è in atto un furto, in quel preciso momento sta suonando la campana dell’allarme di un negozio, e lui si ferma beatamente a parlare con la figlia che passa di lì in auto; questo per dare il quadro della situazione raccontata dal film. Anche quei minimi problemi che c’erano non destavano alcuna preoccupazione: il modo migliore per dire che non c’erano problemi. Forse, come lo stesso genere slasher prenderà poi d’abitudine, le vittime davvero pagano la condotta discinta ma, in Halloween – La notte delle streghe sembrano essere semplici coincidenze. 

La stessa maggior moralità, mettiamola così, di Laurie serve per far immedesimare lo spettatore, visto che i personaggi più complessi assolvono meglio a questo compito. Nessuno tende naturalmente ad identificarsi in una ragazza frivola e questa potrebbe essere la semplice risposta alla differente natura di quella che si salva rispetto alle amiche che vengono invece uccise dal mostro. Quello che si percepisce, anche dalle vaghe spiegazioni fornite dal dottor Loomis, è che non c’è una motivazione o una causa scatenante per la follia omicida che muove Myers: il Male non ha bisogno di pretesti. Questo aspetto è il vero punto cruciale dell’opera di Carpenter ed è un fatto forse insospettabile, soprattutto perché l’autore è stato in seguito preso come modello per una certa critica rivoluzionaria che, come accennato, ne ha fatto addirittura uno dei suoi portabandiera. L’intellighenzia che furoreggiò dalla rivoluzione sessantottina in poi anche nella critica cinematografica, riteneva che il male avesse sempre una ragione sociale, cercando così, se accettiamo l’ipotesi della buona fede di queste opinioni, di perorare la causa delle classi meno abbienti. Naturalmente era un punto di vista, non certo totalmente infondato, che aveva le sue radici molto più indietro nel tempo ma arrivò ad una sorta di aberrazione con la contestazione al sistema borghese. Specchio di questo modo a quel tempo già dominante di pensare è, tornando al film di Carpenter, l’infermiera che dialoga con il dottor Loomis e che lo invita a chiamare Myers con il rispettoso appellativo di paziente, mentre testimonia l’emancipazione femminile dell’epoca fumando ostentatamente una sigaretta. 

Accettare l’idea di male in senso astratto e assoluto in sé, voleva dire, per quell’élite culturale, depotenziare la critica ad un Sistema che prevedeva la disuguaglianza sociale. Un intento politicamente nobile ma che deresponsabilizzava pericolosamente l’individuo, e che aveva un che di paternalistico che artisti come Carpenter faticavano ad accettare. Per capire quanto fosse radicato questo modo di concepire il problema si può prendere, ad esempio, la valutazione che il critico Paolo Mereghetti storicamente ha dato a L’esorcista, film epocale del 1973. Pur essendo un evidente capolavoro, quella di William Friedkin è un’opera non inquadrabile nel classico schema dove il male derivi dai problemi sociali e quindi venne bollato in genere come reazionario (al contrario di altre opere, come La notte dei Morti Viventi, 1968 di George A. Romero, caposaldo dell’horror rivoluzionario). 

Il Dizionario dei Film del citato Mereghetti ha valutato almeno fino al 2011 (!!) con due misere stellette il film di Friedkin definendolo “sopravvalutato”; solo recentemente ha rivisto il suo giudizio con un più consono quattro stelle. Questo per dire quanto fosse inopportuna l’idea, all’epoca ma anche molto successivamente, che il male non potesse essere ascritto ad una qualche ragione che lo ingabbiasse, lo inquadrasse e lo mettesse di conseguenza in modo conformistico al di fuori del nostro campo di azione. In fondo, se il male era solo il frutto di cattiva educazione, della miseria sociale, della povertà, bastava essere al di fuori da quel perimetro per sentirsi già salvi. Per questo Carpenter ambienta Halloween – La notte delle streghe in quella sorta di my own private Illinois che è a prima vista Haddonfield. Non hanno colpe i genitori che lasciano soli i loro figli più piccoli nelle mani degli esuberanti adolescenti che, giustamente e anch’essi senza alcun rimprovero da subire, cercavano solo di divertirsi in quella che, in sostanza, era appunto una notte di festa. Il male esiste e il problema non è chi pensa a divertirsi ma, piuttosto, chi si ostina opportunisticamente a negarlo.




Jamie Lee Curtis




P.J. Soles


Nancy Kyes

2 commenti:

  1. sì, anch'io sono dell'idea che il male non lo si possa circoscrivere... sempre spiacevole constatare come spesso basti una scena ambigua per saltare alle conclusioni e farne un modello da seguire...

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  2. Beh, spesso si vede quello che si vuole vedere.

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