5 BAMBOLE PER LA LUNA D'AGOSTO
340_5 BAMBOLE PER LA LUNA D'AGOSTO . Italia, 1970. Regia di Mario Bava
Sospeso tra la non accreditata fonte di ispirazione (il
romanzo di Agatha Christie Dieci piccoli
indiani) e il cinema di genere
italiano (il giallo, ovvero il
thriller all’italiana), Cinque bambole
per la luna d’agosto di Mario Bava è in apparenza un filmetto di 78 minuti
girato per puro divertimento dall’autore sanremese che per lo stesso scopo deve
essere inteso dallo spettatore. In realtà, probabilmente, proprio il disimpegno, anche un po’ ostentato,
permette al regista di lasciarci sullo schermo un mirabile esempio, quasi un
‘saggio’, della bravura tecnica, sua e dei suoi collaboratori, e della capacità
espressiva del cinema italiano di
cassetta di quel formidabile periodo. A Bava non sembra interessare per
nulla la storia della Christie, e la trama gialla è solo un enorme MacGuffin di
hitchockiana memoria, (ben più della
formula della resina presente nella storia narrata), ovvero un mero pretesto
per mettere in scena il suo film. E anche l’aspetto truce, la verve splatter
tipica del thriller all’italiana, non ha tutta questa importanza: la sublime
scena iniziale, che culmina con la finta morte di Marie (Edwige Fenech,
magnifica, manco a dirlo), è una divertente chiave di lettura in tal senso, e
l’uso del selz per pulire il sangue finto dal corpo della donna è un ulteriore
tocco di classe del regista. Il tema della finzione, e quindi del gioco,
ritorna poi nell’accenno agli scacchi ed è reso concretamente dall’aspetto molto
giovanile della pur seducente sedicenne Isabel (Justine Gall, che è uno dei
tanti nomi d’arte di Elisabetta Galleani), che gira in tondo alla villa
giocando a nascondino nell’ombra e alla fine ottiene anche il premio per la vincita.
Ma questi, che dovrebbero
essere i pilastri della storia, in realtà sono unicamente, e lo sono in modo
scoperto, nude strutture di sostegno per poter mettere in scena una mirabolante
giostra specchio della società italiana (anche se dai nomi il film sembra
ambientato all’estero) del dopo boom economico. La musica di Piero Umiliani, i
colori forti della fotografia, gli arredi postmoderni, i quadri astratti, i
vestiti sgargianti e sempre diversi delle ragazze, la villa a strapiombo sulla
scogliera (frutto di un artifizio fotografico) questi sono alcuni degli ingredienti
di contorno al piatto che Bava intende servire. Al centro del quale ci sono, da
una parte la bellezza delle bambole
della storia che si rispecchia nella cupidigia degli uomini, e l’assenza di
valori come amicizia, solidarietà, amore, lealtà, dall’altra.
Nel cocktail
visivo creato da Bava si fatica a comprendere cosa stia succedendo anche e
soprattutto perché i rapporti tra i personaggi non sono chiari, in nessun
senso: si cerca di capire chi sia il marito di chi o chi l’amante di chi ma, ad
esempio, Trudy (Ira von Fürstenberg) oltre che moglie del professor Farrel
(William Berger) è al contempo lesbica, e questa variabile in ottica di
possibili accoppiamenti, aiuta a creare confusione nella testa dello
spettatore.
Insomma, sembra proprio che il regista giochi a non darci
informazioni chiare in merito, dopo averci già storditi dall’uso sornione della
macchina da presa, che alterna panoramiche forsennate senza senso messe a
contrasto con altri passaggi, come quello del registratore, ben evidenziati e spiegati da una messa in scena registica
razionale. La chiave della storia è nella struttura a spirale, concentrica
dell’ambientazione: prigionieri su di
un’isola, senza contatti con l’esterno, nella villa sulla scogliera, che sembra
una grande giostra, i personaggi vagano senza ordine o, a turno, ruotano
intorno all’edificio stesso.
L’idea di circolarità è rinforzata da altri
elementi d’arredo, come il letto matrimoniale rotondo che è in grado di girare,
la scala a chiocciola, le lampade, le bobine del suddetto registratore, fino alla
posa in cui rimangono narcotizzati intorno al tavolino Trudy, Jack (Howard
Ross) e George (Teodoro Corrà). Ma il cuore di questo labirinto concentrico è
la cella frigorifera, tappa conclusiva per quasi tutti i presenti nella villa
del loro girovagare. I corpi ostentati con orgoglio da tutti i personaggi della
storia, e non solo quelli femminili, finiscono così ben ordinati, incellofanati
e appesi insieme ai quarti di bue. Ma, per una volta, Bava sembra dirci che non
si tratta della solita carne da macello prodotta dal thriller all’italiana,
quanto piuttosto il frutto della filosofia nazionale imperante.
Edwige Fenech
Justine Gall aka Elisabetta Galleani
Ira von Furstenberg
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