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lunedì 29 aprile 2019

5 BAMBOLE PER LA LUNA D'AGOSTO

340_5 BAMBOLE PER LA LUNA D'AGOSTO . Italia, 1970. Regia di Mario Bava

Sospeso tra la non accreditata fonte di ispirazione (il romanzo di Agatha Christie Dieci piccoli indiani) e il cinema di genere italiano (il giallo, ovvero il thriller all’italiana), Cinque bambole per la luna d’agosto di Mario Bava è in apparenza un filmetto di 78 minuti girato per puro divertimento dall’autore sanremese che per lo stesso scopo deve essere inteso dallo spettatore. In realtà, probabilmente, proprio il disimpegno, anche un po’ ostentato, permette al regista di lasciarci sullo schermo un mirabile esempio, quasi un ‘saggio’, della bravura tecnica, sua e dei suoi collaboratori, e della capacità espressiva del cinema italiano di cassetta di quel formidabile periodo. A Bava non sembra interessare per nulla la storia della Christie, e la trama gialla è solo un enorme MacGuffin di hitchockiana memoria, (ben più della formula della resina presente nella storia narrata), ovvero un mero pretesto per mettere in scena il suo film. E anche l’aspetto truce, la verve splatter tipica del thriller all’italiana, non ha tutta questa importanza: la sublime scena iniziale, che culmina con la finta morte di Marie (Edwige Fenech, magnifica, manco a dirlo), è una divertente chiave di lettura in tal senso, e l’uso del selz per pulire il sangue finto dal corpo della donna è un ulteriore tocco di classe del regista. Il tema della finzione, e quindi del gioco, ritorna poi nell’accenno agli scacchi ed è reso concretamente dall’aspetto molto giovanile della pur seducente sedicenne Isabel (Justine Gall, che è uno dei tanti nomi d’arte di Elisabetta Galleani), che gira in tondo alla villa giocando a nascondino nell’ombra e alla fine ottiene anche il premio per la vincita
Ma questi, che dovrebbero essere i pilastri della storia, in realtà sono unicamente, e lo sono in modo scoperto, nude strutture di sostegno per poter mettere in scena una mirabolante giostra specchio della società italiana (anche se dai nomi il film sembra ambientato all’estero) del dopo boom economico. La musica di Piero Umiliani, i colori forti della fotografia, gli arredi postmoderni, i quadri astratti, i vestiti sgargianti e sempre diversi delle ragazze, la villa a strapiombo sulla scogliera (frutto di un artifizio fotografico) questi sono alcuni degli ingredienti di contorno al piatto che Bava intende servire. Al centro del quale ci sono, da una parte la bellezza delle bambole della storia che si rispecchia nella cupidigia degli uomini, e l’assenza di valori come amicizia, solidarietà, amore, lealtà, dall’altra. 

Nel cocktail visivo creato da Bava si fatica a comprendere cosa stia succedendo anche e soprattutto perché i rapporti tra i personaggi non sono chiari, in nessun senso: si cerca di capire chi sia il marito di chi o chi l’amante di chi ma, ad esempio, Trudy (Ira von Fürstenberg) oltre che moglie del professor Farrel (William Berger) è al contempo lesbica, e questa variabile in ottica di possibili accoppiamenti, aiuta a creare confusione nella testa dello spettatore. 
Insomma, sembra proprio che il regista giochi a non darci informazioni chiare in merito, dopo averci già storditi dall’uso sornione della macchina da presa, che alterna panoramiche forsennate senza senso messe a contrasto con altri passaggi, come quello del registratore, ben evidenziati e spiegati da una messa in scena registica razionale. La chiave della storia è nella struttura a spirale, concentrica dell’ambientazione: prigionieri su di un’isola, senza contatti con l’esterno, nella villa sulla scogliera, che sembra una grande giostra, i personaggi vagano senza ordine o, a turno, ruotano intorno all’edificio stesso. 

L’idea di circolarità è rinforzata da altri elementi d’arredo, come il letto matrimoniale rotondo che è in grado di girare, la scala a chiocciola, le lampade, le bobine del suddetto registratore, fino alla posa in cui rimangono narcotizzati intorno al tavolino Trudy, Jack (Howard Ross) e George (Teodoro Corrà). Ma il cuore di questo labirinto concentrico è la cella frigorifera, tappa conclusiva per quasi tutti i presenti nella villa del loro girovagare. I corpi ostentati con orgoglio da tutti i personaggi della storia, e non solo quelli femminili, finiscono così ben ordinati, incellofanati e appesi insieme ai quarti di bue. Ma, per una volta, Bava sembra dirci che non si tratta della solita carne da macello prodotta dal thriller all’italiana, quanto piuttosto il frutto della filosofia nazionale imperante.     







Edwige Fenech






Justine Gall aka Elisabetta Galleani


Ira von Furstenberg



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