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domenica 7 aprile 2019

MISSION TO MARS

329_MISSION TO MARS . Stati Uniti, 2000. Regia di Brian De Palma.

Sorprendente escursione nella fantascienza da parte di un regista, il maestro Brian De Palma, che sembrava non averla nelle sue corde, Mission to Mars è, prima di tutto, un film divertente e divertito. De Palma ci introduce nella sua fantascienza con un incipit programmatico: ad aprire il suo tipico piano sequenza, significativamente su un momento di puro svago come una grigliata tra amici, c’è un roboante lancio di un missile… giocattolo. La scena è curiosa perché l’audio sembra quello di un vero lancio da Cape Canaveral mentre poi vediamo il missile aprirsi e lasciare cadere le stelle filanti: scherzi alla Brian De Palma, che vuole quindi chiarire, fin dal principio, che il suo è un mero divertissement. Sintonizzato lo spettatore sul giusto registro, il regista nato a Newark parte deciso con la sua storia e, dopo aver imbastito i necessari legami tra i vari personaggi, si arriva finalmente nello spazio. Il protagonista designato ad essere il primo uomo su Marte è Luke Grahame (Don Cheadle), ma nel team c’è anche la coppia Woody (Tim Robbins) e Terri (Connie Nilsen), e poi Phil (Jerry O’Connell) e, soprattutto, Jim (Gary Senise) in principio maggior candidato al ruolo di primo esploratore del pianeta rosso. Purtroppo la morte della moglie aveva eccessivamente turbato Jim, che è stato così messo in secondo piano, in un compito di supporto pur all’interno della missione. La prima parte del film è dedicata maggiormente a questi equilibri interni all’equipaggio, con Woody e Terri che, ad esempio, condurranno una sorta di esperimento sulla vita di coppia nello spazio. 

Ma l’intenzione di De Palma è un’altra, e ben presto ci si rende conto che Mission to Mars è una sorta di frullato di tutta, o quasi, la fantascienza, a partire proprio dal film più importante, 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che il regista non teme affatto di tirare in ballo senza alcun timore riverenziale e anche con una buona dose di sfacciataggine. E, a questo punto, forse grazie anche a quell’incipit quasi demenziale, col missile posticcio accompagnato dal sonoro di un vero lancio, l’operazione di De Palma risulta funzionale e niente affatto blasfema: i rimandi al genere servono come sponde per il regista di origine italiana per portare avanti la sua storia. Così si procede tra un riferimento a Spielberg e uno a Flash Gordon, senza dimenticare una serie di analogie con Apollo 13, il film di Ron Howard, che serve come referente non fantascientifico, ma sui viaggi spaziali. 

E poi altro ancora ma, in definitiva, il tutto è innestato su un plot narrativo che ricorda la storia a fumetti Venti di Marte della serie Jeff Hawke di Sidney Jordan, con il condimento di una costante suspense a far da collante: il risultato è garantito. Visivamente di grandissimo effetto nelle scene nell’astronave e soprattutto nello spazio, Mission to Mars è credibile, come ambientazioni, anche quando si sposta sul pianeta rosso. A quel punto cambia un po’ la deriva delle atmosfere, con la faccia marziana e le scene del racconto della colonizzazione terrestre che, giocoforza, devono attingere ad un tipo di immaginario meno asettico, alla Incontri ravvicinati del terzo tipo o alla fantascienza virata di fantasy, ma per De Palma tutto è lecito. 
Compreso la folgorante entrata nella gigantesca testa marziana, con lo schermo inondato di un bianco purissimo che ci riporta per un attimo alle atmosfere kubrickiane. La morale della favola, ovvero i marziani siamo noi, riprende un po’ la fantascienza anni ’50, quella sottilmente politicizzata dei racconti alla Fredrik Brown (valga per tutti lo spiazzante La sentinella del 1954) e forse De Palma pensa che sia d’attualità negli Stati Uniti dell’anno 2000, che si apprestavano al terzo millennio senza rivali, da razza padrona. Ma, per il finale, da pelle d’oca, con Jim che lascia tutto alle spalle per andare incontro a qualcosa di sconosciuto, il regista saggiamente attinge al più grande di tutti: Richard Matheson, forse l’autore più influente del dopoguerra nella cultura di massa. 

Guardando l’astronave di Jim sfrecciare nell’infinito, non può non venire in mente il minuscolo Scott Carey che, nel romanzo Tre millimetri al giorno del 1956 (poi anche film Radiazione BX: distruzione uomo di Jack Arnold, capolavoro, manco a dirlo), andava incontro all’ignoto, lanciando la sua sfida. Commuoversi di fronte ad un’avventura ancora da vivere: il vero spirito della fantascienza, quando il futuro è il combustibile del presente.  
    
    




Connie Nielsen






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