338_LA COSA DA UN ALTRO MONDO (The Thing from another world). Stati Uniti, 1951. Regia di Christian Niby e Howard Hawks.
La questione sulla paternità del film La cosa da un altro mondo non è più molto dibattuta, in quanto più
o meno tutti vi riconoscono lo stile e i temi cari ad Howard Hawks, che
ufficialmente ne era il produttore. Alla regia, stando ai credits dell’epoca,
era invece Christian Niby, che per Hawks aveva già lavorato al montaggio di ben
tre capolavori (Acquel del sud, 1944;
Il grande sonno, 1946; Il fiume rosso, 1948) diretti in prima
persona dal maestro americano. Kenneth Tobey, che in La cosa da un altro mondo è il protagonista (il capitano Hendry),
dichiarò che il film fu diretto di fatto da Hawks, onnipresente sul set, a
fronte di una palese inadeguatezza di Niby. Dal canto suo, il povero Niby in
un’intervista ancora nel 1982, cercava di rivendicare i suoi meriti; peccato
che la sua pur lunga carriera come regista, più che altro in ambito televisivo,
non porti nemmeno un altro lavoro almeno ad un livello simile a The Thing from another World a testimonianza
delle sue capacità. Riconducibile alla poetica di Howard Hawks è l’attacco del
film, con i dialoghi sparati a raffica come in una vera commedia americana:
quando divampa l’azione, successivamente, questo aspetto si attenua, ma
inizialmente è quasi difficile seguire il flusso dei discorsi che si
intrecciano e si sovrappongono. C’è anche una storia sentimentale, tra il
citato capitano e la segretaria della base, Nina (Margaret Sheridan) e anche
queste schermaglie da film leggero,
nel corso della storia, vengono messe da parte, visto che l’uomo è impegnato in
prima persona nella lotta contro l’alieno. Ma naturalmente il tema più
tipicamente hawksiano è quello dove
uno spazio aperto, in questo caso le distese di ghiaccio del Polo Nord, incombe
minaccioso assediando i nostri eroi chiusi in uno spazio circoscritto.
Se
l’assenza di alberi e il paesaggio spoglio, dovrebbero favorire l’avvistamento
del pericolo, Hawks (in prima persona o influenzando Niby) utilizza le ombre o
il fuoricampo per nascondere continuamente il pericolo che, non avendo però un
luogo prevedibile dove celarsi (dietro un albero, sopra un canyon, ecc.)
diviene ancora più angosciante. Non avendo nascondigli ma non essendo comunque
visibile, la minaccia può essere ovunque e raddoppia quindi lo stato di
tensione in cui getta personaggi assediati e spettatori. La figura scenica
della Cosa richiama certamente i
mostri dei film Universal (in particolare la creatura di Frankenstein), con la
quale condivide una deriva scientifica: se nel film di James Whale (e nel romanzo
di Mary Shelley prima) il mostro era il risultato di un incauto azzardo
scientifico, in La cosa da un altro mondo
c’è uno scienziato che vorrebbe rischiare il tutto per tutto pur di
salvaguardare il prodigio extraterrestre.
Ma il film di Niby e Hawks introduce
anche delle novità, nel genere: l’aspetto scientifico è più attendibile, più
realistico, si pensi al laboratori del citato Frankenstein o addirittura alle leggende alla base di Dracula di Tod Browing. Siamo in pieno
dopoguerra, e la tecnologia, che ha fatto balzi da gigante durante il conflitto
bellico, si riversa ora nella società civile. Per cui se alla base dei film
horror precedenti c’erano presupposti fantascientifici (il citato esempio della
creatura del film di Whale o, sempre dello stesso autore, L’Uomo
Invisibile, che scopre per caso il siero
dell’invisibilità) quando non folcloristici o tradizionali (Dracula, la Mummia ),
qui, se rimane difficile credere all’alieno, l’approccio dello studioso della
base è perfettamente scientifico e credibile (oltre che preoccupante). Quello
di Niby & Hawks è una sorta di ponte che traghetta il cinema fantastico
dall’horror tra le due guerre
mondiali alla fantascienza inquietante
degli anni cinquanta (giusto per fare due titoli: Il mostro della Laguna Nera, 1954 e Tarantola, 1955 del
maestro di questo filone, Jack Arnold).
Dopo la Seconda Guerra
Mondiale, la scienza ha fatto enormi progressi (la base addirittura al Polo
Nord del film), e apparentemente siamo in un clima di benessere e pace (il tenore
da commedia dell’inizio). Ma, in realtà, si cominciano ad avvertire le prime
avvisaglie dell’imminente Guerra Fredda:
il termine era già in uso dal 1946 (utilizzato per primo pare da George
Orwell), e chissà che questo non abbia influenzato gli autori di questo La cosa da un altro mondo per
l’ambientazione polare. Perché l’incarnazione del nemico in un essere
(antropomorfo) proveniente da un ‘altro mondo’ reggeva sia il racconto di science fiction ma anche la metafora del
pericolo d’oltre cortina. La cortina di ferro, chiusa verso il mondo
occidentale, oltre la quale si estendevano i paesi del Patto di Varsavia, rappresentava qualcosa di sconosciuto, alieno e
pericoloso. Di questa diffusa e sottile paura, in un contesto che era al
contrario di prosperità per il boom economico, si nutriranno i citati film di
fantascienza horrorifica degli anni ’50. Hawks, certamente più di Niby, da formidabile autore qual è, coglie in anticipo queste tensioni, e le traduce in un film seminale per
il genere ma anche perfettamente calato nella sua poetica.
Margaret Sheridan
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