327_L'AFFITTACAMERE (The notorious landlady). Stati Uniti, 1962. Regia di Richard Quine.
Ecco un mirabile esempio di come certo cinema hollywoodiano
dei tempi d’oro fosse calibrato in modo perfetto. Il regista Richard Quine
orchestra infatti una commedia virata di giallo con maestria, coadiuvato da uno staff
di eccellente livello. Anzi, si potrebbe dire che L’affittacamere dimostri come, nella Hollyowood dell’epoca, il
regista, che rimane la personalità decisiva nella riuscita di un film, non
sempre fosse così determinante come è abituale ritenere. Richard Quine è un
buon autore, sia chiaro, con all’attivo numerosi film divertenti ed
interessanti; ma in L’affittacamere
può disporre di alcuni assi che forse
sono gli elementi più incisivi nel risultato complessivo. Anche se, in questo
senso, adesso sembrerebbe opportuno citare il sontuoso cast, la precedenza va
data piuttosto allo sceneggiatore: Blake Edwards. L’affittacamere è si una commedia,
ma volendo potrebbe anche essere un giallo,
tanto è complessa ed elaborata la trama investigativa: Edwards ha la notevole
capacità di imbastire un intrigo con una serie di colpi di scena, ben motivati
e senza incongruenze nella trama, mantenendo il tenore della storia sempre
leggero. Anche dal punto di vista visivo, l’opera riprende la tipica commedia americana, con personaggi che
entrano ed escono contemporaneamente negli ambienti, evitando di incontrarsi
per il classico pelo, mentre nel
finale viene citata la commedia slapstick
nella scena della carrozzina o dell’incontro
di boxe tra le due donne, con l’orchestra che suona ricordando i tempi del cinema muto. I dialoghi frizzanti
tengono sempre elevato il ritmo, permettendo divagazioni che potrebbero essere
anche eccessive sul versante sentimentale ma che, dato il brio della vicenda e
la battuta ironica sempre in agguato, finiscono per non influire negativamente.
C’è da pensare che questa perfetta alchimia sia in buona parte merito proprio
di Edwards, visto i numerosi suoi lavori in cui questa capacità di mescolare
sapientemente gli ingredienti è spesso ribadita. Notevole, anche stavolta, la
capacità di scrivere una storia dove l’argomento sessuale è centrale (nella
presenza scenica di un’adorabile Kim
Novak) ma girandogli sempre intorno mantenendosi entro i limiti di una
innocente commedia per nulla spinta. Comunque, a questa magica armonia il cast
contribuisce senza alcun dubbio: Jack Lemmon è straordinario, come suo solito,
nella parte dell’innamorato talmente ingenuo da combinare una serie di
pasticci; la citata Kim Novak oltre alla curve deve mettere un po’ di ambiguità
nel suo personaggio e, visto i trascorsi (La
donna che visse due volte di Hitchcock in questo senso può bastare?) se la
cava più che egregiamente; chiude il tris d’assi Fred Astaire che, anche se qui
non deve ballare, possiede comunque la musicalità per reggere alla grande il
ritmo di una simile briosa commedia. Il film è quindi molto divertente
soprattutto nel suo tenere vivo l’interesse sui diversi piani, dalla trama
gialla alla vicenda sentimentale, il tutto costantemente spruzzato di umorismo
ed ironia. Un equilibrio non certo casuale visto che moltissimi componenti
dello staff avevano già lavorato con Richard Quine: dal citato Blake Edwards alla sceneggiatura, a George Duning alle musiche o Charlie Nelson al montaggio,
fino agli stessi Novak o Lemmon.
L’affittacamente:
quando il risultato armonico e naturale è il frutto di un grande lavoro in sede
si scrittura e preparazione; anche se poi, il prodotto oliato e rifinito nasconde la propria matrice quasi
algebrica. La commedia, pur con la sua aria scanzonata, è forse il genere che
meglio traduce l’idea di cinema come industria:
ad Hollywood si lavorava sodo.
Kim Novak
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