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mercoledì 3 aprile 2019

L'AFFITTACAMERE

327_L'AFFITTACAMERE (The notorious landlady). Stati Uniti, 1962. Regia di Richard Quine.

Ecco un mirabile esempio di come certo cinema hollywoodiano dei tempi d’oro fosse calibrato in modo perfetto. Il regista Richard Quine orchestra infatti una commedia virata di giallo con maestria, coadiuvato da uno staff di eccellente livello. Anzi, si potrebbe dire che L’affittacamere dimostri come, nella Hollyowood dell’epoca, il regista, che rimane la personalità decisiva nella riuscita di un film, non sempre fosse così determinante come è abituale ritenere. Richard Quine è un buon autore, sia chiaro, con all’attivo numerosi film divertenti ed interessanti; ma in L’affittacamere può disporre di alcuni assi che forse sono gli elementi più incisivi nel risultato complessivo. Anche se, in questo senso, adesso sembrerebbe opportuno citare il sontuoso cast, la precedenza va data piuttosto allo sceneggiatore: Blake Edwards. L’affittacamere è si una commedia, ma volendo potrebbe anche essere un giallo, tanto è complessa ed elaborata la trama investigativa: Edwards ha la notevole capacità di imbastire un intrigo con una serie di colpi di scena, ben motivati e senza incongruenze nella trama, mantenendo il tenore della storia sempre leggero. Anche dal punto di vista visivo, l’opera riprende la tipica commedia americana, con personaggi che entrano ed escono contemporaneamente negli ambienti, evitando di incontrarsi per il classico pelo, mentre nel finale viene citata la commedia slapstick nella scena della carrozzina o dell’incontro di boxe tra le due donne, con l’orchestra che suona ricordando i tempi del cinema muto. I dialoghi frizzanti tengono sempre elevato il ritmo, permettendo divagazioni che potrebbero essere anche eccessive sul versante sentimentale ma che, dato il brio della vicenda e la battuta ironica sempre in agguato, finiscono per non influire negativamente. 
C’è da pensare che questa perfetta alchimia sia in buona parte merito proprio di Edwards, visto i numerosi suoi lavori in cui questa capacità di mescolare sapientemente gli ingredienti è spesso ribadita. Notevole, anche stavolta, la capacità di scrivere una storia dove l’argomento sessuale è centrale (nella presenza scenica di un’adorabile Kim  Novak) ma girandogli sempre intorno mantenendosi entro i limiti di una innocente commedia per nulla spinta. Comunque, a questa magica armonia il cast contribuisce senza alcun dubbio: Jack Lemmon è straordinario, come suo solito, nella parte dell’innamorato talmente ingenuo da combinare una serie di pasticci; la citata Kim Novak oltre alla curve deve mettere un po’ di ambiguità nel suo personaggio e, visto i trascorsi (La donna che visse due volte di Hitchcock in questo senso può bastare?) se la cava più che egregiamente; chiude il tris d’assi Fred Astaire che, anche se qui non deve ballare, possiede comunque la musicalità per reggere alla grande il ritmo di una simile briosa commedia. Il film è quindi molto divertente soprattutto nel suo tenere vivo l’interesse sui diversi piani, dalla trama gialla alla vicenda sentimentale, il tutto costantemente spruzzato di umorismo ed ironia. Un equilibrio non certo casuale visto che moltissimi componenti dello staff avevano già lavorato con Richard Quine: dal citato Blake Edwards alla sceneggiatura, a George Duning alle musiche o Charlie Nelson al montaggio, fino agli stessi Novak o Lemmon.
L’affittacamente: quando il risultato armonico e naturale è il frutto di un grande lavoro in sede si scrittura e preparazione; anche se poi, il prodotto oliato e rifinito nasconde la propria matrice quasi algebrica. La commedia, pur con la sua aria scanzonata, è forse il genere che meglio traduce l’idea di cinema come industria: ad Hollywood si lavorava sodo. 









Kim Novak











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