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lunedì 1 aprile 2019

DONNE E VELENI

326_DONNE E VELENI (Sleep, my Love). Stati Uniti, 1948. Regia di Douglas Sirk. 

Dopo la fuga dalla Germania nazista, nel 1948 il regista Douglas Sirk è da una decina d’anni negli Stati Uniti e ha già all’attivo una sparuta manciata di film americani. Donne e veleni non è ancora uno dei suoi riconosciuti capolavori, forse perché non ha quella caratterizzazione forte e personale che hanno i suoi fantastici melodrammi; ma non è un film da sottovalutare. Si tratta ufficialmente di un noir, genere che negli anni ’40 era particolarmente in voga; ma Sirk ne dà un’interpretazione assolutamente originale, di grande spessore e contaminata in modo pesante sia da altri generi (il giallo, la commedia e, naturalmente, il melodramma), che dalla sua personale visione delle cose. Innanzitutto si nota come a cardine di un film di genere tipicamente maschile, si trovi una donna, Alison Courtland (l’impeccabile Claudette Colbert): è vero, il fatto in sé non è certo unico visto che c’è addirittura un filone di pellicole che mette al centro della vicenda una figura femminile vittima di intrighi famigliari, frequentato da autori quali Hitchcock (Rebecca, la prima moglie) o Cukor (Angoscia). Ma per Sirk questo è semplicemente il punto di partenza in quella direzione: intanto il personaggio della Colbert è l’assoluto protagonista della storia, e i suoi partner maschili Don Ameche (Richard, il marito) e Robert Cummings (Bruce) sono relegati al ruolo di spalle. E poi è Alison ad essere ricca, mentre il consorte pare si sia elevato di rango sociale sposandola, e in ogni caso, è lei la proprietaria di Sutton Place, la casa dei Courtland. 

Il tema della grande casa borghese americana tornerà in seguito in Sirk (Come le foglie al vento): nella sua imponenza, nel suo essere enorme finisce, quasi per contrappasso, per divenire opprimente e quasi claustrofobica, luogo dove piuttosto che trovare riparo si rischia la vita. Metafora, fin troppo lineare, della cultura borghese americana. Comunque Alison è già il prototipo dell’eroina sirkiana, quella che sarà la protagonista di alcuni dei suoi melodrammi: è quindi la figura femminile nella società americana che colpisce l’europeo Douglas Sirk, la sua emancipazione, la sua centralità nella famiglia, la sua positività. Alison è perfetta, in questo senso: ottimista, solare, ben disposta verso tutta la gente, ma anche verso ‘tutto’ in generale, verso gli animali, i cani, i gatti, come rivela scherzando con Bruce, un po’ ubriaca ma quindi certamente sincera. 

Un personaggio sicuramente positivo: bella, ricca, intelligente, istruita, di buoni propositi. Sirk non indaga se questa fortuna sia meritata o meno; essa è però il motore che scatena la bramosia di chi vuole accaparrarsela, di chi vuole sottrarla ad Alison per goderne a sua volta i benefici. E’, in un certo senso, il lato oscuro del sogno americano, perché la voglia di salire la scala sociale in un contesto competitivo come quello del libero mercato, significa in sostanza prendere qualcosa per sé privandone gli altri. D’altronde, i presupposti dell’America si basano su una defraudazione a danno degli indiani. Nel film questo sentimento, questa versione dark dell’american dream è interpretato da una folgorante e meravigliosa Hazel Brooks nei succinti panni di Daphne, amante di Richard, il marito di Alison, e musa ispiratrice dell’intrigo ai danni della povera protagonista. Daphne vuole tutto ciò che appartiene ad Alison: soldi, casa, marito, posizione sociale; in fondo, in modo magari un po’ forzato, si può anche dire che il suo sia il moto tipicamente americano, vuole semplicemente fare carriera. 

Nel complesso generale, lo sguardo di Sirk sulla società americana è già particolarmente lucido: se c’è l’ammirazione per l’emancipazione femminile, è simultanea la considerazione sullo stato disgregato della famiglia. Il regista non sembra mettere più di tanto in relazione le due cose, come potrebbe essere quasi naturale pensare; anzi, in Donne e veleni non si può certo imputare ad Alison la scarsa armonia coniugale di casa Courtland. E’ un dato di fatto, però, che la famiglia, molecola primaria nella società occidentale, non sembri in grado di sostenere l’emancipazione femminile. Ed è altresì un altro dato di fatto che il lungometraggio, pur disseminato di coppie, non sia certo un inno all’armonia interna alle stesse. 

Gli elementi in questo senso si sprecano, pur in un film che, per via dell’appartenenza al genere, rimane concentrato sulla trama gialla: non si vede l’ombra di un bambino, i coniugi Courtland dormono in camere separate, Daphne fatica a concedere anche un semplice bacio all’amante, mentre sull’altro versante Alison e Bruce, che sembrano intendersela bene, cincischiano invece di andare al sodo e anche i novelli sposi cinesi, pur se apparentemente felici, finiscono per restare sostanzialmente sempre privati dei loro spazi. Forse è proprio qui, nella scomposizione delle coppie e nel tentativo fallace o faticoso di una nuova ricomposizione, situazione riconoscibile largamente in Donne e veleni, che possiamo trovare i primi germi dei formidabili melodrammi di Douglas Sirk, che sul triangolo amoroso fondarono la loro funzionalità. 

La matrice frammentaria era già riconducibile al titolo Sleep, my love, che suonava come una ninna nanna amorosa ma che era in realtà un tentativo di indurre la povera Alison al suicidio mentre era in stato di sonnambulismo; e anche il titolo italiano, seppure in tono minore, accosta due elementi discordanti, almeno nell’accezione sirkiana certamente positiva per i soggetti femminili. Questa dissonanza è comune a tutte le coppie della storia, a partire dai coniugi Courtland che, come si è detto, simbolicamente dormivano in camere separate: la cosa è notata anche dal detective Strake, in una delle rare apparizioni della polizia nel film. Qui è doveroso aprire una parentesi: non è che Sirk ignori che in una storia gialla ci possano o debbano essere coinvolte le forze dell’ordine, infatti nel film vediamo il loro intervento in ben due occasioni. Il fatto è che il regista non è interessato a questo sviluppo e, in quest’ottica, sorprende come per il ruolo del poliziotto del film venga indovinata la scelta di quel Raymond Burr che, al tempo, era stato un gangster in Morirai a mezzanotte (1947, regia di Anthony Mann) e solo in seguito diverrà famoso per i ruoli di detective in tv di Perry Mason e Ironside. Tuttavia, in Donne e veleni il detective Strake è un elemento decisamente privo di interesse ed è, per continuare con l’analisi del lavoro di Sirk sulle coppie, anche l’unico a non essere mai abbinato con nessuno. 

Viceversa, tornando ai coniugi protagonisti, possiamo notare come i due vadano a comporre ben due diversi triangoli sentimentali: con Bruce, intento a flirtare con Alison, tenuto sottocchio da Richard, che teme che questi possa scombinargli i piani, oppure con Daphne, adorata dallo stesso Richard in modo speculare al modo in cui trascura la moglie. Bruce, a sua volta, compone un triangolo con Barby (Rita Johnson) e ancora Alison, evidenziato visivamente nella scena dell’aeroporto, con la prima che lo consegna (incautamente) nelle mani della seconda. Barby è un po’ marginale alla storia, ciononostante, perso Bruce recupera un fantomatico ingegnere peruviano per comporre il suo personale triangolo. Chi è invece assolutamente centrale, sebbene nella metà oscura della vicenda (volendo, si può notare come risieda in uno studio fotografico, dove è presente una camera oscura per lo sviluppo fotografico), è Daphne. 

Come già detto è il cardine negativo del triangolo Alison-Richard-Daphne, ed è al contempo anche il fulcro di altre due composizioni: è il centro di gravità di attrazione per i due cattivi Richard e Charles (George Coulouris), il fotografo, e si insinua  anche nella coppia composta tra quest’ultimo e sua moglie, Grace (Queenie Smith), mettendo in un angolo la povera donnetta. Ci sono poi anche coppie più positive, come quella dei novelli sposi cinesi: è interessante come Sirk mostri la felicità di un ambiente semplice nella festa di matrimonio di questi a confronto con i noiosi party mondani della borghesia americana. Confronto e valutazione condivisa anche da Alison, che non perde occasione per mostrare la sua qualità umana, preferendo la spontaneità della festa degli sposini ai ricevimenti a cui è abituata. 

Ma anche la coppia di cinesi, seppur in apparenza in piena armonia, viene però ostacolata, prima dagli eventi drammatici e poi dalle investigazioni di Bruce che, chiedendo aiuto al ‘fratello’ Jimmie Lin, va a comporre un triangolo un po’ anomalo con i due novelli sposi, pur senza malafede ma comunque con azione ostacolante per la coppia, addirittura in piena luna di miele. Ma il passaggio memorabile in questo senso è ironico e Sirk lo dedica ai domestici di casa Courtland: il maggiordomo chiede a Richard una sera di permesso, dal momento che anche la cameriera ha la serata libera. Sembra logico pensare che i due siano marito e moglie o comunque intendano passare le ore di libertà insieme, anche perché escono da Sutton Place chiacchierando affiancati mentre si incamminano lungo la via. 
Ma quando arrivano in prossimità di un albero, dopo un rapido e sbrigativo saluto, si separano lasciando il tronco della pianta a dividere le loro strade. 
Se l’importanza di Donne e veleni è seminale, perché vi si trovano le tracce del futuro cinema di Douglas Sirk, che fu l’unico, o comunque il migliore, nel comprendere l’importanza della figura femminile nella rapida trasformazione della società americana del dopoguerra, l’opera se la cava egregiamente anche come film d’azione. Notevole in questo senso anche il finale, con la scala della lussuosa dimora che si erge a teatro conclusivo: gli eventi precipitano insieme a quei protagonisti che hanno provato la scalata nella società competitiva, arrivando ad ordire intrighi criminali per riuscirvi. Sirk ha sempre un occhio di riguardo per i suoi personaggi femminili e, se i due cattivi della storia, Richard e Charles si uccidono a vicenda, la sorte di Daphne non è nemmeno indagata. Ma, in effetti, la sua è una figura più che altro simbolica, un autentico idolo da mettere su un altare per essere venerato, come esplicitato dalla scena nella quale rimane seduta su una sorta di trono, in posizione dominante nonostante lo stesso Richard le chieda di scendere. Ma si può chiedere ad un desiderio tanto forte da sconfinare nell’invidia, di essere ragionevole? Non certo in America. 




Claudette Colbert







Rita Johnson




Hazel Brooks



















                    


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