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venerdì 5 aprile 2019

GAGARIN. PRIMO NELLO SPAZIO

328_GAGARIN. PRIMO NELLO SPAZIO (Гагарин. Первый в космосе). Russia, 2013. Regia di Pavel Parkhomenko. 

La prima cosa che salta all’occhio, in questo Gagarin. Primo nello spazio è che nel titolo, dopo il nome del personaggio storico protagonista, c’è un punto; e poi c’è la sintetica descrizione dell’impresa che ha compiuto e che lo ha reso famoso. E’ solo un piccolo dettaglio, ma curioso: non capita tanto spesso di vedere un ‘punto’ all’interno di un titolo di un film. In questo caso, sembra anche abbastanza indicativo: come se si volesse sottolineare l’importanza di Gagarin (nel film Yaroslav Zhalnin), il celebre cosmonauta (è questo il temine con cui vengono definiti gli astronauti russi). In questo senso, forse si poteva intitolare il film unicamente con il suo nome, ma si sarebbe svilita l’impresa compiuta dai sovietici, essere i primi a mandare un uomo nello spazio. E allora ecco la scelta, originale e indovinata, di infilare un punto in mezzo al titolo del film, a sancire la categorica importanza individuale del cosmonauta senza però dimenticare la valenza di un’impresa che è evidentemente di portata collettiva. Perché il merito maggiore di Gagarin. Primo nello spazio è forse non solo di essere un interessante biopic, ma anche di dissipare quella cortina di ferro che in parte ancora aleggia, nell’immaginario occidentale, sulle terre dell’ex Unione Sovietica. Che i russi non mangino i bambini è ormai un fatto acclarato, ma vedere i timori, i dubbi, anche e soprattutto di natura umana, tra i membri dell’esercito o del partito sovietico, è confortante. 
Colpiscono, in particolare, le parole del compagno ingegnere a capo della missione spaziale Sergey Kolorev (Mikhail Filippov) quando ammette che si, sarebbe d’accordo nel far saltare in aria la navicella spaziale in caso cadesse in territorio nemico, ma non per evitare che i segreti tecnici vengano scoperti dai nemici/avversari. Andrebbe fatta saltare per la vergogna di veder rivelato che i sovietici facessero volare mezzi tanto improvvisati: il che detto dalla potenza più progredita dal punto di vista aerospaziale del tempo, è un bel bagno di umiltà. Certo, fa un po’ specie per noi occidentali vedere un’Unione Sovietica tutto sommato non così disumanizzata nei rapporti tra le persone, come invece siamo stati in genere abituati a considerare. 
Chissà quanto c’è di realistico in questo Gagarin. Primo nello spazio sotto questo aspetto; magari più dell’idea che è comunemente diffusa al di qua della cortina di ferro. E se parliamo di umanità, ci sta sicuramente la boria di Nikita Khrushchev (Vladimir Chuprikov), o certi atteggiamenti poco limpidi di alcuni militari. Il potere non è mai troppo trasparente. Ma, a proposito di trasparenza, è proprio l’aria, l’atmosfera di molte sequenze ad essere uno dei punti di forza del film. E’ infatti soprattutto la luce, i paesaggi rurali innevati ma comunque quasi sempre assolati, a svelare una terra che in genere siamo abituati a vedere in tinte troppo fosche. 
Pavel Parkhomenko, il regista, ad essere onesti esagera anche un po’, enfatizzando eccessivamente la resa cromatica delle immagini, ma questo è un peccato che si può perdonare, sia perché sta’ comunque raccontando una sorta di celebrazione epica, sia perché aiuta a rendere anche la campagna russa come un luogo famigliare. Gagarin è giustamente celebrato, come individualità spiccata ma dotato al contempo di un forte senso del collettivo, e questo lo rende un personaggio universale e non unicamente sovietico o russo. 

A suo modo emblematica la parabola della sua vita e della sua impresa, che lo porta dalla sperduta campagna della natia Russia centrale fino all’orbita spaziale per poi ritornare atterrando in un altra zona rurale del paese, di fronte agli occhi straniti di una povera contadina e della sua bambina. La donna, spaventata vedendolo nella tuta da cosmonauta, si affretta a richiamare la figlia, per scappare a casa, ma Gagarin, da perfetto eroe universale, riesce a farsi riconoscere per quello che è, uno del popolo. Una storia bella e interessante per il suo aspetto storico peculiare, quello della conquista dello spazio; ma non dissimile, nella sostanza, da molte altre che abbiamo già visto al cinema. In questo senso quello del regista Parkhomenko è un lavoro un po’ di routine, ma che conferma quanto Gagarin aveva potuto constatare per primo e in prima persona: al mondo siamo tutti sotto lo stesso cielo, e perciò non deve stupirci se le storie e i loro eroi, si assomiglino un po’ tutti, a qualunque latitudine.  


Olga Ivanova





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