328_GAGARIN. PRIMO NELLO SPAZIO (Гагарин. Первый в космосе). Russia, 2013. Regia di Pavel Parkhomenko.
La prima cosa che salta all’occhio, in questo Gagarin. Primo nello spazio è che nel
titolo, dopo il nome del personaggio storico protagonista, c’è un punto; e poi
c’è la sintetica descrizione dell’impresa che ha compiuto e
che lo ha reso famoso. E’ solo un piccolo dettaglio, ma curioso: non capita
tanto spesso di vedere un ‘punto’ all’interno di un titolo di un film. In
questo caso, sembra anche abbastanza indicativo: come se si volesse
sottolineare l’importanza di Gagarin (nel film Yaroslav Zhalnin), il
celebre cosmonauta (è questo il
temine con cui vengono definiti gli astronauti russi). In questo senso, forse
si poteva intitolare il film unicamente con il suo nome, ma si sarebbe svilita
l’impresa compiuta dai sovietici, essere i primi a mandare un uomo nello
spazio. E allora ecco la scelta, originale e indovinata, di infilare un punto
in mezzo al titolo del film, a sancire la categorica importanza individuale del
cosmonauta senza però dimenticare la valenza di un’impresa che è evidentemente
di portata collettiva. Perché il merito maggiore di Gagarin. Primo nello spazio è forse non solo di essere un
interessante biopic, ma anche di
dissipare quella cortina di ferro che in parte ancora aleggia, nell’immaginario
occidentale, sulle terre dell’ex Unione Sovietica. Che i russi non mangino i
bambini è ormai un fatto acclarato, ma vedere i timori, i dubbi, anche e
soprattutto di natura umana, tra i membri dell’esercito o del partito
sovietico, è confortante.
Colpiscono, in particolare, le parole del compagno
ingegnere a capo della missione spaziale Sergey Kolorev (Mikhail Filippov)
quando ammette che si, sarebbe d’accordo nel far saltare in aria la navicella
spaziale in caso cadesse in territorio nemico, ma non per evitare che i segreti
tecnici vengano scoperti dai nemici/avversari. Andrebbe fatta saltare per la
vergogna di veder rivelato che i sovietici facessero volare mezzi tanto
improvvisati: il che detto dalla potenza più progredita dal punto di vista
aerospaziale del tempo, è un bel bagno di umiltà. Certo, fa un po’ specie per
noi occidentali vedere un’Unione Sovietica tutto sommato non così disumanizzata nei rapporti tra le
persone, come invece siamo stati in genere abituati a considerare.
Chissà
quanto c’è di realistico in questo Gagarin.
Primo nello spazio sotto questo aspetto; magari più dell’idea che è
comunemente diffusa al di qua della cortina
di ferro. E se parliamo di umanità, ci sta sicuramente la boria di Nikita
Khrushchev (Vladimir Chuprikov), o certi atteggiamenti poco limpidi di alcuni
militari. Il potere non è mai troppo trasparente. Ma, a proposito di
trasparenza, è proprio l’aria, l’atmosfera di molte sequenze ad essere uno dei
punti di forza del film. E’ infatti soprattutto la luce, i paesaggi rurali
innevati ma comunque quasi sempre assolati, a svelare una terra che in genere
siamo abituati a vedere in tinte troppo fosche.
Pavel Parkhomenko, il
regista, ad essere onesti esagera anche un po’, enfatizzando eccessivamente la
resa cromatica delle immagini, ma questo è un peccato che si può perdonare, sia
perché sta’ comunque raccontando una sorta di celebrazione epica, sia perché
aiuta a rendere anche la campagna russa come un luogo famigliare. Gagarin è
giustamente celebrato, come individualità spiccata ma dotato al contempo di un
forte senso del collettivo, e questo lo rende un personaggio universale e
non unicamente sovietico o russo.
A suo modo emblematica la parabola della sua
vita e della sua impresa, che lo porta dalla sperduta campagna della natia
Russia centrale fino all’orbita spaziale per poi ritornare atterrando in un
altra zona rurale del paese, di fronte agli occhi straniti di una povera
contadina e della sua bambina. La donna, spaventata vedendolo nella tuta da
cosmonauta, si affretta a richiamare la figlia, per scappare a casa, ma
Gagarin, da perfetto eroe universale, riesce a farsi riconoscere per quello che
è, uno del popolo. Una storia bella e interessante per il suo aspetto storico
peculiare, quello della conquista dello
spazio; ma non dissimile, nella sostanza, da molte altre che abbiamo già
visto al cinema. In questo senso quello del regista Parkhomenko è un lavoro un
po’ di routine, ma che conferma quanto Gagarin aveva potuto constatare per
primo e in prima persona: al mondo siamo tutti sotto lo stesso cielo, e perciò
non deve stupirci se le storie e i loro eroi, si assomiglino un po’ tutti, a
qualunque latitudine.
Olga Ivanova
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