336_ROMA VIOLENTA .Italia, 1975. Regia di Franco Martinelli (Marino Girolami)
Primo episodio
della cosiddetta ‘trilogia del
commissario’, Roma violenta è un poliziottesco diretto da Marino Girolami
sotto lo pseudonimo di Franco Martinelli. Il commissario in questione è Betti,
interpretato con una certa efficienza da Maurizio Merli: si tratta del classico
sbirro del cinema poliziesco all’italiana,
che va per le spicce con metodi spesso brutali. In effetti la sua figura,
emblematica del filone cinematografico, è sempre stata etichettata come fascista; il che, da un certo punto di
vista, è difficilmente contestabile. Il pestaggio nell’autobus, a danno di un
presunto rapinatore omicida, è inaccettabile perché il commissario non può
ancora essere certo della colpevolezza del criminale (peraltro vera). Se si
prende l’opera come realistica, questi passaggi possono sicuramente infastidire
quando nemmeno essere tollerabili, a seconda della sensibilità di chi vede la
pellicola. Bisogna però mettere sul tavolo tutti gli elementi, prima di trarre
le conclusioni: e va detto che nel finale, Biondi, (l’infiltrato ben
interpretato da Ray Lovelock), che è finito sulla sedia rotelle per colpa di
alcuni rapinatori e quindi sarebbe, in un certo senso, legittimato a nutrire
sentimenti di vendetta, sconsiglia Betti di proseguire coi suoi metodi da giustizia privata. E’ evidente che
queste parole, anche per via della condizione di Biondi (come detto, in
precedenza già reso disabile dai criminali, in quel momento ulteriormente pestato
a sangue), assumano perciò un significato pesante,
importante, che può essere inteso come il messaggio
definitivo dell’opera di Girolami.
Quanto alla violenza diffusa nella storia, eccessiva,
d’accordo, ma può essere fatto un parallelo con il far west o l’epoca dei gangster: gli anni di piombo si meritarono il nome (per altro divenuto d’uso
corrente solo dal 1981, grazie all’omonimo film di Margarethe von Trotta) in
modo più che giustificato, e l’enfatizzazione della violenza nei poliziotteschi può essere analoga a
quanto già fatto dal cinema coi precedenti turbolenti periodi citati. Forse, le
critiche mosse dal poliziesco all’italiana al sistema, al suo garantismo ad oltranza, non erano del tutto campate
in aria; e in questo film Girolami si ferma allo scoglio burocratico di un’interpretazione
forse eccessivamente ligia al codice da parte dei magistrati, senza addentrarsi
in altri aspetti.
Perché quando si vede comparire Richard Conte (nei panni
dell’avvocato Sartori) al comando di un’associazione privata per la sicurezza,
si pensa subito a Milano trema: la
polizia vuole giustizia (1973, regia di Sergio Martino) e alle
organizzazioni eversive: ma questo tasto è lasciato perdere da Girolami, che si
concentra solo sulla legittimità dell’uso della violenza per combattere altra
violenza. Naturalmente come di prassi gli inseguimenti mozzafiato, il più
rilevante qui è tra una splendida Alfa
Romeo Giulia Super 1600 e una BMW
2000, mentre, sempre rispettando gli stilemi abituali, piuttosto povero il
comparto femminile del cast. Insomma, un film che fila come un inseguimento,
con i suoi eccessi a fare il paio con quale lungaggine di troppo, ma tutto
sommato l’adrenalina richiesta dallo spettatore abituale
di queste pellicole è garantita. Per gli approfondimenti, rivolgersi altrove;
ma le coordinate di base dell’opera, hanno una loro attendibilità e meritano
rispetto.
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