1333_JOE PETROSINO - LO SCENEGGIATO . Italia, 1972; Regia di Daniele D'Anza.
Ci sono due elementi narrativamente spiazzanti ne Joe Petrosino – Lo sceneggiato: il primo, in ordine cronologico, è che il momento della verità del racconto viene svelato sin da subito, sin dalle immagini della sigla introduttiva. Joe Petrosino, interpretato in questa riduzione televisiva dal grande Adolfo Celi, muore sotto i colpi d’arma da fuoco di un misterioso mafioso. Il personaggio è storico ma è difficile pensare che più di qualcuno, in quel 1972 in cui la Rai mandò in onda la miniserie, si ricordasse di questi fatti avvenuti all’inizi del secolo. Più probabile che una certa notorietà potesse essere ereditata dagli anni Trenta, quando la rivista a fumetti L’Avventuroso pubblicò una striscia dedicata al poliziotto italoamericano realizzata da Fernando Vichi. Quelle stesse vignette usate poi come sfondo nella sigla di chiusura, ulteriore testimonianza della cura con cui Daniele D’Anza in regia, e tutti i suoi collaboratori, hanno prestato alla realizzazione di Joe Petrosino – Lo sceneggiato, giustamente considerato ancor oggi uno dei capisaldi della fiction Rai. In questo senso vanno anche citati lo scrupoloso soggetto di Arrigo Petacco, pubblicato anche come romanzo biografico da Arnoldo Mondadori Editore, su cui lavorarono in sede di sceneggiatura lo stesso D’Anza oltre a Lucio Mandarà, Fabio Gualtieri e Luigi Guastalla. Ma non si può tacere lo straordinario supporto musicale dell’opera: sotto la direzione di Romolo Grano, la colonna sonora è puntuale ed evocativa, sfruttando a dovere il motivo della sontuosa sigla introduttiva Black Hand cantata dai New Trolls; giustamente di altro tono la chiusura, affidata alla calda voce di Fred Bongusto con la sua 4 colpi per Petrosino. Ma in apertura si era parlato di due elementi spiazzanti nell’opera e manca ancora da ricordare il secondo di questi. Che è sempre inerente alla morte sotto quattro colpi di arma da fuoco del protagonista: la cosa sorprendente è che questo tragico evento non è utilizzato per una chiusura in grande stile della serie, ma sancisce la fine del penultimo episodio, lasciando tutta la puntata finale, flashback a parte, a Petrosino ormai morto.
E’ una scelta oculata e funzionale, del resto gli autori fanno un gran lavoro di costruzione e l’opera gira come un orologio, primissime fasi di studio a parte dove si devono gettare le coordinate per un’architettura narrativa con un discreto numero di personaggi. Le numerose figure storiche, americane e italiane, hanno tutte un ruolo significativo anche in caso di piccoli parti, proprio come Storia insegna. Ad esempio, nel nefasto esito della fatale missione in Sicilia raccontata nella vicenda, cruciale è la strategia del generale Bingham (Enzo Tarascio). Il capo della Polizia Newyorkese prima organizza in gran segreto il viaggio in Italia del suo miglior agente che agirà in incognito, salvo poi rivelare in conferenza stampa tutti i dettagli della missione vanificando l’effetto sorpresa e mettendo la vita di Petrosino, nel frattempo ancora sulla nave, in evidente pericolo al suo arrivo. Cosa spinse Bingham ad una simile, assurda, scelta? L’urgenza di guadagnare i favori della piazza, come ipotizzato nel film, oppure qualcosa di ben più grave, come eliminare il suo uomo?
Altro dettaglio ben tratteggiato è la melliflua accoglienza del funzionario politico Camillo Peano (Antonio Battistella), che fa buon viso ad un evidente ingerenza americana negli affari interni italiani. Una condotta comune un po’ a tutti i rappresentanti delle istituzioni dello Stivale, ovviamente non intenzionate ad urtarsi con un famoso poliziotto come Petrosino ma neanche troppo felici di vedere quello che, origini a parte, è un funzionario straniero di un paese straniero venire a ficcare il naso nelle italiche faccende.
Non dispiace, in questo senso, il fastidio palesemente mostrato, ma non in presenza di Petrosino, dal Questore Ceola (Mario Feliciani, molto bravo), che perlomeno risulta sincero. Bene grosso modo tutti i cattivi, sebbene manchi il personaggio di spicco: ma forse in questo modo è resa in maniera fedele la struttura ramificata della Mafia. Nel film, per la verità, l’organizzazione criminale in primo piano è quella della Mano Nera, una derivazione americana di Cosa Nostra. Massimo Mollica è bravo nel tratteggiare l’ombroso e sornione don Vito Cascio Ferro, boss americano indicato anche qui come organizzatore dell’omicidio di Petrosino; ma di buon livello anche un giovanissimo Michele Placido nei panni di Carlo Costantino, Pino Ferrara in quelli di Ignazio Lupo e Glauco Onorato in quelli Paolo Palazzotto, tra gli altri.
Il comparto femminile del cast è assai stringato: Maria Fiore è Adelina, la povera moglie del protagonista, mentre un’altera Franca Parisi è la Baronessa Santamà, ma per il gentil sesso lo spazio è davvero risicato. L’attenzione degli autori è incentrata sulla ricostruzione storica dei fatti, almeno per come sono in genere conosciuti. E il lavoro di D’Anza e compagni è di ottima fattura, attento nei dettagli ma lasciando alla personalità degli interpreti – Adolfo Celi su tutti, naturalmente – il compito di dare spessore e credibilità alla vicenda. Se non fosse per le scenografie, apprezzabili nella loro peculiarità ma non eccessivamente credibili da un punto di vista strettamente estetico e visivo, la produzione non sfigurerebbe nemmeno in ambito cinematografico. Ma va detto che gli sceneggiati Rai, al tempo, avevano raggiunto una tale autorevolezza da imporre come credibili i propri stilemi, anche quelli che, a prima vista, potevano sembrare i loro punti deboli. In effetti spesso la televisione di stato si era concentrata su riduzione dalla grande letteratura, dove una certa dose di immaginazione era quasi naturale fosse richiesta allo spettatore. Joe Petrosino – Lo sceneggiato era invece una serie di natura storica, sebbene la matrice giallo-investigativa era una consuetudine della Rai che spesso aveva frequentato il genere con le sue riduzioni. Di cui Joe Petrosino – Lo sceneggiato è, a buon diritto, considerato uno dei fiori all’occhiello.
Maria Fiore
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