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sabato 19 agosto 2023

LE FRONTIERE DELL'ODIO

1332_LE FRONTIERE DELL'ODIO (Copper Canyon). Stati Uniti, 1950; Regia di John Farrow.

Nel noir o nel poliziesco, l’australiano John Farrow aveva già dimostrato il suo valore quando provò a prendere dimestichezza anche con il genere principe del cinema americano degli anni Cinquanta, il western. Frontiere dell’odio non è il suo esordio, nel cinema dei cowboy, tuttavia si avverte un’aria un po’ insolita, in questo godibile film ambientato appena conclusa la Guerra Civile americana. Probabilmente è un tema, quello delle conseguenze dello spaventoso conflitto intestino agli Stati Uniti noto nei nostri lidi come guerra di secessione, più canonico nei western degli anni Quaranta, mentre nel decennio successivo il tema portante fu lo scontro con gli indiani. In effetti il film uscì un po’ a cavallo tra i due periodi e, se l’argomento riprende temi del decennio appena trascorso, la regia consapevole di Farrow, la fotografia dai colori caldi di Charles Lang e la musica di Daniele Amfitheatrof, fanno pensare già alla golden age del genere, quella dei classici. Anche il cast ripresenta questa atipica atmosfera: i nomi degli attori sono altisonanti, tuttavia nessuno di loro è una specialista dei western. Ray Milland è Johnny Carter, il protagonista, e non era certo un habitué del genere, e forse anche per questo si presenta nei panni di una sorta di artista della pistola, ruolo altrettanto insolito. Dal canto suo Hedi Lamarr è addirittura all’esordio, nel western, per quanto se la cavi grazie all’insuperabile bellezza per dar corpo a Lisa Roselle, una specie di femme fatale che non sembra mai cattiva come la descrivono. 

Più vissuto è l’apporto di Macdonald Carey che si assume la parte del villain Lane Trevis e, nel suo caso, è il fatto che sia il vicesceriffo del paese a metterci un’altra pulce nell’orecchio. Ma che razza di western è, Le frontiere dell’odio? I nordisti sembrano quelli dalla parte del torto, l’eroe è una specie di gambler, il cattivo un vicesceriffo, la ragazza bellissima, quella destinata al protagonista, è una poco di buono, o almeno ce la vendono come tale. Va ricordato che siamo nel 1950 e non in uno spaghetti-western o in un western-crepuscolare, dove il ribaltamento dei temi e dei cliché era ormai la norma. In effetti, al momento cruciale, grosso modo tutto rientra nei canoni generali del genere: Carter si rivela essere effettivamente il colonnello Desmond, un glorioso ufficiale confederato, e guida i buoni alla riscossa contro il vicesceriffo e i suoi sgherri, che gettano infine la maschera. Il tenente Ord (Harry Carey Jr), con la sua tenera storiella sentimentale con la dolce Caroline (Mona Freeman), riscatta l’onorabilità dei nordisti e via di questo passo per un quadro complessivo meno insolito, almeno rispetto alle premesse. Il film non è un capolavoro ma un solido western lo è di sicuro e si fa ricordare, comunque, proprio per queste note fuori dal consueto. L’eroe che viaggia in incognito e si nasconde facendo l’artista da baraccone, la splendida dark lady che non è cattiva e non prova nemmeno simpatia per il suo losco complice – il vicesceriffo – e la situazione storica in cui, tra i vincitori, ci fu chi approfittò oltre il lecito delle condizioni favorevoli a guerra conclusa. Non certo gli ingredienti ideali da assimilare tra loro in un western del tipo classico ma Farrow ha abbastanza manico per riuscirci. E senza mai farci venire neanche un dubbio in merito.  


Hedy Lamarr 





 Galleria di manifesti 











2 commenti:

  1. In questo caso mi piace l'ultima locandina in basso, che fa apparire la Donna come una gigantessa, in confronto alle altre figure che la circondano... il rosso dà anche una certa inquietudine, forse un buttar fumo negli occhi in un film che poi, a conti fatti, resta sul classico...🙋🏻‍♂️

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  2. E', in effetti, una Lobby Card, questo il nome specifico della loro versione della nostra fotobusta, è intrigante. Deve essere quella che apre la serie perchè ha il titolo in grande e poi c'è il motivo stilizzato, mentre manca la foto di scena. Se, vedi, quella sopra, ha la scritta nello stesso stile che incornicia una foto. In genere facevano un set di una dozzina di lobby cards, di cui la prima era una sorta di copertina, senza foto, che invece erano stampate sulle altre. Forse per questo motivo la lobby di copertina è più stilizzato e, di conseguenza, a volte più intrigante. Ovviamente le foto in genere sono belle già di loro. Nella galleria, più in alto ancora c'è appunto l'italiana fotobusta, in genere più grande della lobby card, come dimensioni.

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