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mercoledì 3 gennaio 2018

L'ARCANO INCANTATORE

80_L'ARCANO INCANTATORE  Italia, 1996;  Regia di Pupi Avati.

Rosa di rose, fiore di fiore, donna di donne, signora di signore, questi pochi versi di una poesia medioevale di Alfonso X, detto El Sabio, modulati con una flebile voce femminile su una nenia simile ad una cantilena, mettono davvero i brividi e ci introducono degnamente nel clima misterioso e angosciante del film L’arcano Incantatore, di Pupi Avati. Ci troviamo in una residenza oltre un imponente cancello, varcato il quale il protagonista dell’opera, Giacomo Vigetti (uno spaesato Stefano Dionisi) cercherà invano di salvarsi dalla punizione terrena del Tribunale Ecclesiastico, finendo, al contrario, per perdere la propria anima.
Il maligno non si fa mai servitore, se non per essere maestro” sono parole del parroco di Medelana e sono la chiave dell’intrigo che è narrato nel lungometraggio di Avati. Il giovane seminarista Giacomo è in una situazione critica, avendo messo in cinta e poi costretto all’aborto una ragazza; nel suo tentativo di trovare riparo, viene allora in contatto con la misteriosa figura che gli recita la suddetta poesia medioevale, e che gli si presenta dietro un separé con la raffigurazione di un allocco, un uccello simile al gufo. Il paravento (una falsa parete) vuol forse indicare la falsità dell’offerta e il rapace è sinonimo di chi non è troppo accorto e può essere ingannato agevolmente: indizi che lasciano presagire il peggio quando Giacomo stipula un patto di sangue con la donna, della quale vede solo gli occhi e la femminea mano. 


Una mano che, pur se ornata di pizzo nero e con le unghie smaltare, porta i segni dell’età; mentre la mano del seminarista recherà da quel momento in poi la sanguinante ferita a sancire il legame col maligno. Il tema della mano ritornerà anche in seguito, con il sacerdote monco, e sarà proprio il particolare che permetterà di distinguere l’inganno di cui è vittima il giovane. Stipulato questo legame con l’oscura dama, Giacomo prende servizio presso un anziano monsignore spretato, Achille Sanuti (Carlo Cecchi) in sostituzione del precedente bibliotecario, Nerio, recentemente morto. Il monsignore, dedito agli studi demoniaci, è noto come l’Arcano Incantatore e vive in un isolato e tetro castello sugli Appennini. 


Sono quindi grosso modo questi i personaggi in gioco: il giovane protagonista; la misteriosa signora, (una strega?); Nerio, il servitore morto (di cui si dice tutto il peggio possibile); e infine l’Arcano Incantatore, il monsignore ripudiato dalla Chiesa per i suoi studi sull’occulto. In realtà c’è solo Giacomo e un malefico individuo che, presentandosi sotto mentite spoglie, inganna, incanta e, mentre offre una via di salvezza, conduce piuttosto alla perdizione. Pupi Avati dirige questo film con il suo tipico stile ruvido e sinistramente bucolico e riesce a rendere questi elementi poveri un valore positivo nella resa generale dell’opera. 
Le notti nel castello fanno davvero paura e la presenza del monsignore incute profondo disagio anche nello spettatore e non solo nel povero Giacomo. La trama è appena abbozzata e anche non chiarissima, vuoi per il ritmo lento, per la mancanza di un forte traino narrativo e per i dialoghi spesso sussurrati e registrati in presa diretta e quindi non sempre pienamente comprensibili. Ma se questi aspetti possono affliggere un po’ lo spettatore abituato a prodotti di più facile approccio, in compenso aiutano a creare un’atmosfera tetra e angosciante che replica in modo convincente l’ambientazione rurale dell’Italia del XVIII secolo. Pollice alzato, insomma. E poi L’Arcano Incantatore non solo è un bel film: è anche l’occasione di salutare il ritorno all’horror di uno più illustri interpreti italiani del genere.



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