355_L'ESERCIZIO DEL POTERE (Eminent Domain). Polonia, Canada, Israele, 1990. Regia di John Irvin.
L’esercizio del potere
di John Irvin potrebbe essere un film di fantascienza distopica vintage nemmeno
troppo originale, ambientato in un mondo contemporaneo dove le elite governano con
quasi totale assolutismo, hanno privilegi sconosciuti ai normali cittadini ed
esercitano un oppressivo controllo su tutto quanto, con telecamere e microspie
dappertutto. In pratica una sorta di vecchio reame monarchico ma con strumenti
di esercizio del potere
tecnologicamente avanzati. Ovviamente quella di Irvin non è fantascienza perché
questi luoghi esistevano davvero e prima degli sconvolgimenti degli anni 80 (Solidarnosc, la caduta del muro di
Berlino, il crollo dell’Unione Sovietica ed amenità
simili) erano diffusissimi oltre la cortina
di ferro. L’esercizio del potere è
piuttosto un film drammatico con venature che lo accomunano allo spionaggio più
che alla fantascienza, proprio perché l’assurdità della società polacca del
1979 inscenata nel lungometraggio, è invece maledettamente realistica. Certo,
vedendola oggi può sembrare assai poco credibile, ma del resto se talvolta si
usa dire che la realtà supera la fantasia,
sarà proprio per casi come questo; per la Polonia di fine anni settanta, per esempio. A
provocare una sensazione di straniamento, non è solo l’ambientazione, sia
chiaro; la storia raccontata ha un passaggio cruciale particolare ed insolito,
anche per quella situazione, che destabilizza il quadro generale. Josef Borski
(Donald Sutherland perfetto per una storia di intrighi e sotterfugi politici) è
un alto funzionario del politburo
polacco, il sesto più alto in grado, addirittura. E pare goda della fiducia e
stima del presidente; insomma la sua scalata non sembra affatto finita,
piuttosto si può considerare in rampa di lancio per ulteriori promozioni.
Essere un membro dell’elite, in Polonia, al tempo, significa avere un’auto, non
fare le code nei negozi, avere un bell’appartamento; cose che i normali
cittadini nella maggioranza dei casi se le sognano. Ma, ad un tratto, Borski perde
il posto di lavoro, e con esso i privilegi; così, senza alcuna spiegazione. Il
presidente, i compagni di partito, insomma tutti quanti, famiglia e amico
fidato a parte, gli voltano le spalle, lo ignorano, lo evitano. C’è un evidente
complotto ai suoi danni; è spiato, pedinato, inseguito. Narrativamente la
situazione precipita: in accordo con lui, la moglie (Anne Archer) si allontana, ma poi gli
rimandano a casa la figlia, una ragazza con problemi, che era all’estero a
studiare. La poverina finisce sotto un’auto; la moglie, rientrata a casa, è
straziata dal dolore.
La vita di Borski (e dei suoi famigliari) finisce quindi
in pezzi; ma al di là dell’aspetto emotivo della storia, tenuto per altro
freddo da una messa in scena dimessa, non è solo l’apparente mancanza di logica
in quanto accade a destabilizzare. Lo straniamento è doppio, perché sembra
evidente che i privilegi di Borski non siano legittimi, in quanto quella
mostrata è tutto tranne che una società meritocratica. E allora il giudizio
dello spettatore rimane sospeso: bisogna indignarsi, per quello che capita al
protagonista di L’esercizio del potere?
O, forse, un po’ se lo merita, lui e tutti gli ingiustamente privilegiati come
lui. A difesa di Borski, va detto che, nonostante qualche lieve cedimento
proprio nei confronti della moglie e dell’amico, il nostro si dimostra coerente
e leale. La struttura del film ha un che di circolare, con il varo di una
nave all’inizio, e un traghetto che salpa per la Finlandia alla fine, e
che porta i nostri protagonisti in salvo, fuori dalla cortina di ferro.
Perché poi tutto l’assurdo disguido si ricompone:
si trattava di un semplice test per verificarne affidabilità e fedeltà al
partito, e Borski è reintegrato nei ranghi del Politburo, anzi addirittura
promosso. Ma tra una comoda vita da privilegiato, e la fedeltà alla moglie e
all’amico, Borski sceglie la seconda opzione. E se pensiamo al fatto che spesso
l’attaccamento a qualcosa (che sia una poltrona politica o un impiego
prestigioso) è tanto maggiore quanto meno questo ruolo sia stato guadagnato con
merito, allora Borski, che rinuncia ai privilegi di cui godeva, è da ammirare
due volte. E se questi privilegi sono volutamente lampanti nella situazione
mostrata, non sono del tutto assenti anche nelle odierne società. Siamo sicuri,
nel nostro piccolo, di non avere alcuna indebita agevolazione? E nel caso,
saremmo pronti a rinunciarvi?
Chissà che la
Polonia del 1979 non sia poi così distante.
Anne Archer
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