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giovedì 9 maggio 2019

8 1/2

346_8 1/2 . Italia, Francia 1963. Regia di Federico Fellini.

Federico Fellini, prima che regista, era stato un valente sceneggiatore: tra gli altri, per Roberto Rossellini, certo; ma anche per Pietro Germi che, pur appartenendo al neorealismo, aveva diretto storie con una solida impalcatura narrativa, ad esempio In nome della legge o Il brigante di Tacca del Lupo. Per cui la capacità ma soprattutto la predisposizione di Fellini, che questi film li aveva sceneggiati, ad intessere trame di forte spessore narrativo, non può essere messa in discussione. Certo, la crisi creativa può essere sempre dietro l’angolo e, in fondo, 8 ½ verte proprio su questo pretesto. Dopo il successo di La dolce vita, era anche lecito attendersi un po’ di vertigine da foglio bianco, per l’autore riminese. Perché è così che, in effetti, si presenta l’ottavo (e mezzo) film di Fellini, come un non-film: del resto non ha nemmeno un titolo ma il semplice numero progressivo preso dalla filmografia di Fellini, naturalmente con la proverbiale ironia. L’otto e mezzo, infattiarriva come conseguenza aritmetica ai sei film completi e alle tre collaborazioni, (a cui assegna mezzo punto). In realtà il film c’è e ha per tema la crisi di un regista, Guido Anselmi (Marcello Mastroianni, Ça va sans dire) che, poco prima dell’inizio delle riprese del suo nuovo film, sprofonda in una mancanza di ispirazione artistica nella quale non sa più che pesci pigliare. E qui i classici riferimenti all’universo dell’autore abbondano, come è ovvio in Fellini, e sono bene o male facilmente leggibili: d’altra parte Mastroianni è, in questo film ancora più del solito, l’alter ego del regista.
Però, forse, la storia della crisi creativa è solo un pretesto; un po’ come se Fellini, dopo il successo clamoroso di La dolce vita, avendo legittimato la possibilità di avere un passaggio a vuoto, se lo prendesse di proposito, per svincolarsi ulteriormente dai legami con la narrazione e la sceneggiatura che abitualmente sostengono un film. Forse, non a caso, nel finale, lo scheletro dell’enorme impalcatura di tubi in metallo, che avrebbe dovuto sostenere le proiezioni per l’improbabile film di fantascienza a cui Guido stava lavorando, vengono demolite, smontate. Fellini non vuole più una struttura portante, quello che in un film è la sceneggiatura; decostruisce quindi il cinema, e ci fornisce quelli che per lui sono gli ingredienti primari fondamentali: i riferimenti all’infanzia, al passato, alla fantasia più sfrenata, al mondo onirico. E, ironicamente, le parole più sentite il regista le mette in bocca ai personaggi più improbabili: a Clara (una Sandra Milo fantastica) e al produttore (Guido Alberti); ma anche al bistrattato e sbeffeggiato intellettuale (Jean Rougeul) concede qualche passaggio non del tutto campato in aria. Ma naturalmente il piatto forte sono le immagini, la luce, il bianco e nero. E poi una fascinosa Claudia Cardinale, le borghesi Anouk Aimée e Rossella Falk, la magnetica Barbara Steele. E che dire della Saraghina (Eddra Gale) e del suo spettacolo?  Fellini è la capacità di rendere tutto questo magma, se non una possibile realtà, perlomeno un film. Che si può dire? Dieci! Se non fosse che è 8 ½ .






Sandra Milo








Barbara Steele





Claudia Cardinale







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