347_BELLISSIMA . Italia, 1951. Regia di Luchino Visconti
Con alle
spalle la debacle commerciale dell’ambizioso e audace La terra trema,
Visconti sembra costretto a fare di necessità virtù, accettando un film con
un’interprete di nome, per un approccio cinematografico più convenzionale che
non disorienti ancora critica e pubblico. In realtà il formidabile regista
lombardo riuscirà, proprio grazie alle caratteristiche del soggetto che il
produttore Salvo D’Angelo gli propone, a proseguire con profitto la sua
evoluzione artistica. Stretto tra le difficoltà sia realizzative che di
diffusione della sua vena più d’avanguardia (il citato La terra trema,
ma a suo modo anche Ossessione) e i limiti mal sopportati
dell’etichetta neorealista, Visconti prende il citato soggetto di Cesare Zavattini,
uno dei massimi esponenti del neorealismo, per trasfigurarlo fino a rovesciarne
il significato. L’impiego di un’attrice professionista come Anna Magnani, che
occupa in modo monumentale tutto il film, è un altro duro colpo alla corrente
neorealista, che degli interpreti presi dalla gente comune si faceva invece
motivo di vanto. Il film è Bellissima, e se non fosse chiaro che
quello di Visconti è anche un discorso metalinguistico (dove il cinema parla di
cinema) ci pensano, tra le altre cose, l’ambientazione della storia a Cinecittà,
e il tema del racconto. Si tratta delle selezioni del casting per Oggi,
domani, mai diretto da Alessandro Blasetti, regista che nel film di
Visconti interpreta se stesso, come del resto altri tecnici tra cui Liliana
Mancini nel delicato passaggio in cui la ragazza racconta, praticamente, la sua
vera storia, triste parabola da attrice ad addetta al montaggio, metafora
papale papale della vacuità delle speranze di gloria riposte nel cinema.
Ma nel
film la ‘presenza del cinema’ è costante: la protagonista, Maddalena (la Magnani ) abita di fianco
ad un cinema all’aperto, e conosce a memoria i nomi degli attori, ad esempio il
Montgomery Clift de Il Fiume Rosso di Howard Hawks che viene
proiettato mentre la donna si trova nel cortile col marito Spartaco (Gastone
Renzelli). Curioso, ma già indicativo, il fatto di come Maddalena ponga tutta
l’attenzione sui personaggi, mentre le risultino al contempo incomprensibili le
scene che osserva: la mandria che attraversa il fiume è interpretata come un
lavaggio delle bestie, carretto (in riferimento al conestoga dei
mandriani) compreso. E’ un passaggio ironico, del resto il film è
fondamentalmente una farsa satirica e la Magnani un’attrice
comica che, come tutti i comici, ha una forte verve tragica più che drammatica.
E in tema di curiosità, lo è anche il fatto che sia sempre stata sfruttata
prevalentemente questa seconda deriva dell’attrice e non quella principale.
Visconti, da parte sua, gestisce invece mirabilmente la Magnani , da maestro di cinema
qual è: all’istrionica attrice sono lasciate “le redini sciolte”, per
usare le parole della stessa interprete, che era infatti soddisfatta del
rapporto col regista. Nel film la Magnani è un fiume in piena e con le sue
urla sguaiate, i suoi dialoghi con gli altri ma anche con se stessa, i suoi
commenti, seppellisce tutti gli altri interpreti, a cui sono concessi solo gli
spazi di contorno.
Ma, in modo diverso eppure concettualmente simile all’idea
con cui Visconti utilizzava gli incomprensibili dialoghi tra i pescatori
siciliani in La terra trema, il flusso delle chiacchere di
Maddalena non ha una grande rilevanza per il senso nel dettaglio del suo
cianciare, ma serve da supporto, sorta d’accompagnamento musicale magari poco
melodico ma che certamente rende con prepotenza realistica l’ambientazione
popolare. Nella storia raccontata dal film, Maddalena conduce la piccolissima
figlia Maria (Tina Apicella) alle selezioni del citato spettacolo e per
Visconti è l’occasione per mettere in scena il rapporto tra cinema e pubblico.
Un aspetto che, in qualità di autore di spicco della nuova corrente
italiana, sente e ha pagato (visto il recente insuccesso)
sulla propria pelle. Il popolo, di cui Maddalena è una sorta di summa
omnicomprensivo, vede nel cinema soprattutto la possibilità di riscatto
sociale, in esso cerca la realizzazione dei propri sogni di gloria e benessere,
in modo quindi assai distante dalla sensibilità di un autore sempre in cerca di
imparare, di migliorare (ma va detto, per dovere di cronaca, che Visconti era
ricco, e quindi agevolato in questo suo approccio culturale alla settima
arte). Ma Visconti non sberleffa questo atteggiamento semplice che il
pubblico ha nei confronti del cinema: c’è semmai una punta di ironia (si veda
la citata scena del film di Hawks), ma soprattutto comprensione e anche
rispetto per la condizione disperata carica di illusioni delle madri che
portano le figlie alle selezioni del ‘film nel film’. Molto più duro Visconti
lo è con gli addetti ai lavori: salvo la citata addetta al montaggio gli altri
personaggi sono tratteggiati in modo spietato.
A partire proprio da Blasetti,
(come detto interpretato dallo stesso regista della realtà) generalmente
dispotico e che si ‘ravvede’ di fronte alla scenata di Maddalena, andando poi a
scegliere proprio Maria lasciando il dubbio sulla sua capacità professionale,
confondendo il piano umano (per cui cerca di rimediare alla figura di persona
meschina che ride alle spalle di una povera bambinetta) con quello artistico. E
male, malissimo anche i vari lacchè, preoccupati unicamente di soddisfare
seduta stante le esigenze del regista e di fare del becero cameratismo durante
la proiezione dei provini. Negativo, ovviamente, anche il ruolo di Annovazzi
(Walter Chiari), uomo senza pudore nello sfruttare le proprie occasioni e che,
addirittura, pare incolpare la madre di questo suo modo di agire, in un
passaggio che Visconti lascia ambiguamente intimo.
Bravissima, in
quel frangente, la
Magnani , che riesce a commuoversi e a commuovere per un
tentativo di seduzione tanto meschino da parte dell’uomo; ed emblematico il
fatto che la stessa donna, sempre pronta a dar battaglia a sproposito quando,
ad esempio, salta a piè pari una coda, si trovi quasi solidale con Annovazzi,
che ne stava tentando opportunisticamente la virtù, praticamente alla presenza
della suocera e dopo averle frodato le ultime 50.000 lire. Tra miserabili ci si
intende, verrebbe da dire; ma non provateci a fare un commento se no la Magnani , ops la Maddalena , ritrova
d’incanto l’orgoglio e vi tira una scarpa (come capita alla suocera). Comunque
è meglio sorvolare sulle qualità morali del personaggio interpretato dalla
Magnani che è davvero imbarazzante per squallore. Meno trancianti le
definizioni per le posizioni dei personaggi di contorno dell’ambito
cinematografico: si va dalla caricatura grottesca dell’insegnante di
recitazione, alla più comica per quella di ballo, fino alla più leggera ironia
per le sarte costumiste, che si concretizza nella sequenza della consegna del
vestito, con la ragazza che cerca di farsi pagare nel mezzo di un furibonda
lite famigliare. Ma il passaggio più drastico Visconti lo riserva alla critica
e comunque ad un modo falsamente intellettuale di intendere in cinema, in primo
luogo proprio alla corrente di cui era uno dei massimi esponenti, il neorealismo.
Il soggetto di Zavattini prevedeva infatti che Maria non fosse selezionata, in
una logica (neo)realistica, visto le scarse possibilità sia statistiche, sia per
la giovane età e sia per la scarsa attitudine della bambina.
Dalla delusione per
il fallimento Maddalena avrebbe dovuto capire la vacuità di questi empirici
sogni; un discorso comune all’esperienza di tanta gente che, nella vita, vede
infrangersi le proprie illusioni sul muro concreto della realtà. L’autore lombardo
ribalta però il finale, restituendo al cinema un ruolo più significativo, più
forte, che non la replica della mera e semplice esperienza quotidiana. Non a
caso il film è introdotto (e chiuso) sulle note di L’elisir d’amore,
di Gaetano Donizzetti, perché secondo Visconti occorre tornare ad una
narrazione forte ed evocativa come quella del melodramma ottocentesco. Allora
ecco che Blasetti sceglie proprio Maria, e manda i suoi emissari a casa di
Maddalena, per far firmare il contratto da 2 milioni di lire, una cifra
notevole. Ma Maddalena, dopo aver visto cosa c’è dietro lo schermo, per una
volta riesce a capire quello che vede. Nel viaggio di ritorno con la bambina in
braccio, stranamente resta zitta e non attacca coi suoi soliti monologhi in
romanesco e, forse, potendo riflettere, compie un significativo salto di
qualità. Arrivata a casa, rifiuta sdegnosamente il contratto e con esso
l’offerta dei 2 milioni, perché ha capito che la vita vera, la sua famiglia, è
più importante del successo nel mondo del cinema. Una lezione neorealista nella
sua più profonda essenza, d’altronde Visconti ne è uno dei veri artefici, ma
che l’autore raggiunge mediante una soluzione melodrammatica e carica di pathos
indignato. In sostanza, oltre alle esplicita critica al mondo del cinema, c’è
anche una vibrante sferzata ai fautori del neorealismo di maniera che
di Visconti criticavano l’irrequietezza artistica. Ma soltanto perché non ne
capivano il genio.
Anna Magnani
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