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sabato 11 maggio 2019

BELLISSIMA

347_BELLISSIMA . Italia, 1951. Regia di Luchino Visconti

Con alle spalle la debacle commerciale dell’ambizioso e audace La terra trema, Visconti sembra costretto a fare di necessità virtù, accettando un film con un’interprete di nome, per un approccio cinematografico più convenzionale che non disorienti ancora critica e pubblico. In realtà il formidabile regista lombardo riuscirà, proprio grazie alle caratteristiche del soggetto che il produttore Salvo D’Angelo gli propone, a proseguire con profitto la sua evoluzione artistica. Stretto tra le difficoltà sia realizzative che di diffusione della sua vena più d’avanguardia (il citato La terra trema, ma a suo modo anche Ossessione) e i limiti mal sopportati dell’etichetta neorealista, Visconti prende il citato soggetto di Cesare Zavattini, uno dei massimi esponenti del neorealismo, per trasfigurarlo fino a rovesciarne il significato. L’impiego di un’attrice professionista come Anna Magnani, che occupa in modo monumentale tutto il film, è un altro duro colpo alla corrente neorealista, che degli interpreti presi dalla gente comune si faceva invece motivo di vanto. Il film è Bellissima, e se non fosse chiaro che quello di Visconti è anche un discorso metalinguistico (dove il cinema parla di cinema) ci pensano, tra le altre cose, l’ambientazione della storia a Cinecittà, e il tema del racconto. Si tratta delle selezioni del casting per Oggi, domani, mai diretto da Alessandro Blasetti, regista che nel film di Visconti interpreta se stesso, come del resto altri tecnici tra cui Liliana Mancini nel delicato passaggio in cui la ragazza racconta, praticamente, la sua vera storia, triste parabola da attrice ad addetta al montaggio, metafora papale papale della vacuità delle speranze di gloria riposte nel cinema. 

Ma nel film la ‘presenza del cinema’ è costante: la protagonista, Maddalena (la Magnani) abita di fianco ad un cinema all’aperto, e conosce a memoria i nomi degli attori, ad esempio il Montgomery Clift de Il Fiume Rosso di Howard Hawks che viene proiettato mentre la donna si trova nel cortile col marito Spartaco (Gastone Renzelli). Curioso, ma già indicativo, il fatto di come Maddalena ponga tutta l’attenzione sui personaggi, mentre le risultino al contempo incomprensibili le scene che osserva: la mandria che attraversa il fiume è interpretata come un lavaggio delle bestie, carretto (in riferimento al conestoga dei mandriani) compreso. E’ un passaggio ironico, del resto il film è fondamentalmente una farsa satirica e la Magnani un’attrice comica che, come tutti i comici, ha una forte verve tragica più che drammatica. E in tema di curiosità, lo è anche il fatto che sia sempre stata sfruttata prevalentemente questa seconda deriva dell’attrice e non quella principale. Visconti, da parte sua, gestisce invece mirabilmente la Magnani, da maestro di cinema qual è: all’istrionica attrice sono lasciate “le redini sciolte”, per usare le parole della stessa interprete, che era infatti soddisfatta del rapporto col regista. Nel film la Magnani è un fiume in piena e con le sue urla sguaiate, i suoi dialoghi con gli altri ma anche con se stessa, i suoi commenti, seppellisce tutti gli altri interpreti, a cui sono concessi solo gli spazi di contorno. 


Ma, in modo diverso eppure concettualmente simile all’idea con cui Visconti utilizzava gli incomprensibili dialoghi tra i pescatori siciliani in La terra trema, il flusso delle chiacchere di Maddalena non ha una grande rilevanza per il senso nel dettaglio del suo cianciare, ma serve da supporto, sorta d’accompagnamento musicale magari poco melodico ma che certamente rende con prepotenza realistica l’ambientazione popolare. Nella storia raccontata dal film, Maddalena conduce la piccolissima figlia Maria (Tina Apicella) alle selezioni del citato spettacolo e per Visconti è l’occasione per mettere in scena il rapporto tra cinema e pubblico. Un aspetto che, in qualità di autore di spicco della nuova corrente italiana, sente e ha pagato (visto il recente insuccesso) sulla propria pelle. Il popolo, di cui Maddalena è una sorta di summa omnicomprensivo, vede nel cinema soprattutto la possibilità di riscatto sociale, in esso cerca la realizzazione dei propri sogni di gloria e benessere, in modo quindi assai distante dalla sensibilità di un autore sempre in cerca di imparare, di migliorare (ma va detto, per dovere di cronaca, che Visconti era ricco, e quindi agevolato in questo suo approccio culturale alla settima arte). Ma Visconti non sberleffa questo atteggiamento semplice che il pubblico ha nei confronti del cinema: c’è semmai una punta di ironia (si veda la citata scena del film di Hawks), ma soprattutto comprensione e anche rispetto per la condizione disperata carica di illusioni delle madri che portano le figlie alle selezioni del ‘film nel film’. Molto più duro Visconti lo è con gli addetti ai lavori: salvo la citata addetta al montaggio gli altri personaggi sono tratteggiati in modo spietato. 
A partire proprio da Blasetti, (come detto interpretato dallo stesso regista della realtà) generalmente dispotico e che si ‘ravvede’ di fronte alla scenata di Maddalena, andando poi a scegliere proprio Maria lasciando il dubbio sulla sua capacità professionale, confondendo il piano umano (per cui cerca di rimediare alla figura di persona meschina che ride alle spalle di una povera bambinetta) con quello artistico. E male, malissimo anche i vari lacchè, preoccupati unicamente di soddisfare seduta stante le esigenze del regista e di fare del becero cameratismo durante la proiezione dei provini. Negativo, ovviamente, anche il ruolo di Annovazzi (Walter Chiari), uomo senza pudore nello sfruttare le proprie occasioni e che, addirittura, pare incolpare la madre di questo suo modo di agire, in un passaggio che Visconti lascia ambiguamente intimo

Bravissima, in quel frangente, la Magnani, che riesce a commuoversi e a commuovere per un tentativo di seduzione tanto meschino da parte dell’uomo; ed emblematico il fatto che la stessa donna, sempre pronta a dar battaglia a sproposito quando, ad esempio, salta a piè pari una coda, si trovi quasi solidale con Annovazzi, che ne stava tentando opportunisticamente la virtù, praticamente alla presenza della suocera e dopo averle frodato le ultime 50.000 lire. Tra miserabili ci si intende, verrebbe da dire; ma non provateci a fare un commento se no la Magnani, ops la Maddalena, ritrova d’incanto l’orgoglio e vi tira una scarpa (come capita alla suocera). Comunque è meglio sorvolare sulle qualità morali del personaggio interpretato dalla Magnani che è davvero imbarazzante per squallore. Meno trancianti le definizioni  per le posizioni dei personaggi di contorno dell’ambito cinematografico: si va dalla caricatura grottesca dell’insegnante di recitazione, alla più comica per quella di ballo, fino alla più leggera ironia per le sarte costumiste, che si concretizza nella sequenza della consegna del vestito, con la ragazza che cerca di farsi pagare nel mezzo di un furibonda lite famigliare. Ma il passaggio più drastico Visconti lo riserva alla critica e comunque ad un modo falsamente intellettuale di intendere in cinema, in primo luogo proprio alla corrente di cui era uno dei massimi esponenti, il neorealismo. Il soggetto di Zavattini prevedeva infatti che Maria non fosse selezionata, in una logica (neo)realistica, visto le scarse possibilità sia statistiche, sia per la giovane età e sia per la scarsa attitudine della bambina. 

Dalla delusione per il fallimento Maddalena avrebbe dovuto capire la vacuità di questi empirici sogni; un discorso comune all’esperienza di tanta gente che, nella vita, vede infrangersi le proprie illusioni sul muro concreto della realtà. L’autore lombardo ribalta però il finale, restituendo al cinema un ruolo più significativo, più forte, che non la replica della mera e semplice esperienza quotidiana. Non a caso il film è introdotto (e chiuso) sulle note di L’elisir d’amore, di Gaetano Donizzetti, perché secondo Visconti occorre tornare ad una narrazione forte ed evocativa come quella del melodramma ottocentesco. Allora ecco che Blasetti sceglie proprio Maria, e manda i suoi emissari a casa di Maddalena, per far firmare il contratto da 2 milioni di lire, una cifra notevole. Ma Maddalena, dopo aver visto cosa c’è dietro lo schermo, per una volta riesce a capire quello che vede. Nel viaggio di ritorno con la bambina in braccio, stranamente resta zitta e non attacca coi suoi soliti monologhi in romanesco e, forse, potendo riflettere, compie un significativo salto di qualità. Arrivata a casa, rifiuta sdegnosamente il contratto e con esso l’offerta dei 2 milioni, perché ha capito che la vita vera, la sua famiglia, è più importante del successo nel mondo del cinema. Una lezione neorealista nella sua più profonda essenza, d’altronde Visconti ne è uno dei veri artefici, ma che l’autore raggiunge mediante una soluzione melodrammatica e carica di pathos indignato. In sostanza, oltre alle esplicita critica al mondo del cinema, c’è anche una vibrante sferzata ai fautori del neorealismo di maniera che di Visconti criticavano l’irrequietezza artistica. Ma soltanto perché non ne capivano il genio.    

Anna Magnani



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