351_DRIVER L'IMPRENDIBILE (The Driver). Stati Uniti, 1978. Regia di Walter Hill.
Walter Hill è un vero califfo con le acrobazie visive e il
ritmo narrativo e, quindi, riesce a distrarci e fino all’ultimo, a non farci
pensare alla teoria hitchcockiana del
MacGuffin. Per cui, per un attimo,
quando vediamo la polizia schierata alle spalle del nostro protagonista, il driver (Ryan O’ Neal, perfetto), un
sospetto che possa andare a finire così ci soggiunge. Certo, sarebbe una
sconfitta per il protagonista della nostra storia, il suddetto driver, ma tant’è; in fondo, che non è
un personaggio vincente lo avevamo già capito non avendo il nostro una causa,
una motivazione, per cui rischiare sempre il tutto per tutto. Di fatto driver è un perdente per definizione,
che sublima la sconfitta nell’impeccabile esecuzione con la massima efficienza
delle missioni di cui si fa carico, coronate con l’inevitabile successo.
Successo però senza un fine e senza una via di uscita, e quindi mai realmente
liberatorio, come invece una vittoria dovrebbe soprattutto essere. Ma... può
essere un’ipotesi attendibile che a vincere
sia il detective (un altrettanto
perfetto Bruce Dern)? No, troppo dura da digerire. E allora, mentre il driver si incammina per portare la
valigetta al poliziotto, ci ritornano in mente le parole di Hitchcock: ma
certo, la valigia è solo un Macguffin.
Ma se il Macguffin è abitualmente un
mero pretesto e quindi non è importante in sé, cosa può essere in un film che è
praticamente un pretesto nel suo insieme? Un qualcosa di ancora minore, che sottrae
ulteriormente, che smonta: nel nostro
caso le prove per incastrare il driver,
lasciando così il detective con un
palmo di naso. Geniale Hill, come suo solito: non è successo niente, solo
qualche inseguimento, qualche criminale inevitabilmente morto ammazzato, ma
niente di che.
Tra l’altro, i soldi della rapina organizzata come esca dal
detective, vengono pure recuperati, e quindi sembra proprio che abbia ragione
chi ritiene Driver l’imprendibile un
semplice esercizio di pura azione adrenalinica. Ma se il film lo abbiamo
davvero guardato, sappiamo bene che non è così. Oddio, l’adrenalina c’è tutta,
e le sequenze di inseguimento con le auto sono tra le migliori mai realizzate.
Da ricordare, in modo specifico, sempre in tema di automobili a tutto gas, la caccia (perché non è un semplice
inseguimento) poco prima del finale, quando Driver
con un pesante furgone Chevrolet C-10
gioca a nascondino mentre insegue una Pontiac
Firebird Trans Am, oppure la sequenza in cui il nostro demolisce una povera
Mercedes-Benz 280 S arancione
fiammante, in un parcheggio sotterraneo.
Ma tutto questo rincorrersi, alla fine
si rivela essere niente più che un gioco; non a caso il terzo personaggio è la giocatrice, ovvero Isabelle Adjani,
perfetta pure lei, manco a dirlo. E non si tratta di fare un elogio alla scarsa
capacità espressiva: sia Neal che la
Adjani sono adatti in modo preciso ad una rappresentazione
figurativa per cui la loro minima comunicativa facciale è ideale al tenore
dell’opera. Dern rimane sopra le righe, come suo solito, e serve per
caratterizzare il vero cattivo della
storia che, un po’ clamorosamente anche se siamo negli anni ‘70, è il
poliziotto di turno.
E’ quindi una partita, una gara; del resto, della partita è appunto anche la giocatrice, e il detective, al suo sottoposto, fa un discorso programmatico sulle
competizioni sportive da prendere a modello per dare la caccia ai criminali. E
quindi possiamo dedurre che si tratta di una versione moderna di guardie e ladri, intesa in modo ludico, visto che il driver non vorrebbe nemmeno che ci
fossero in gioco le armi da fuoco. Quello
che va in scena è così un giro dell’oca
d’azzardo, coi personaggi che si conoscono già bene (manca totalmente la fase
di indagine) e passano il tempo inseguendosi continuamente in tondo.
Questi
personaggi sono proprio come i segnalini
dei giochi da tavolo, figure bidimensionali, e non solo perché O’Neal è più che
altro un bel fusto o la Adjani
una bambolina (e per di più nel film non possiedono nomi propri). Sullo schermo
i personaggi si vedono spessissimo attraverso un vetro o segnati da un
riflesso; il driver ad un certo punto
addirittura da due, quello del vetro anteriore a cui si sovrappone quello del
vetro posteriore, schiacciando il nostro
eroe nell’esiguo e inesistente spazio
tra i due riflessi. Questa mancanza di spazio rende sì i nostri personaggi
semplici figurine ma, nello stesso tempo, li lascia anche senza possibilità di
uscita. Non c’è scampo, per i personaggi di questo carosello: da questo gioco
si esce solo morendo, e nel film questo è evidenziato in modo esplicito.
Il galoppino che ritira i soldi della
rapina, finisce morto ammazzato e rotola fuori dal finestrino del treno; Hill
indugia sul cadavere mentre si vede il convoglio continuare la sua corsa. Il
personaggio è uscito dal gioco, ma il gioco continua. I due banditi da
strapazzo, scampati alla caccia tra le auto, escono dalla vettura distrutta
uscendo dai finestrini; uno viene ammazzato, l’altro solo allontano. Non era
uno della gang, ma solo un amico; visto che non fa parte del gioco può salvare
la pelle, ma deve sparire. Il capo di questi banditi è invece freddato in pieno
parcheggio: il driver gli spara
attraverso i vetri della portiera della sua meravigliosa Pontiac Firebird, e quindi il concetto sembra essere simile.
In
questo caso è la morte che passa e si fa strada attraverso il finestrino per
ghermire la sua vittima. L’unica che è libera di andarsene è la giocatrice: nel finale osserva la scena
della valigetta. E’ ripresa in un riquadro delle finestre nella stazione,
proprio come una figurina con tanto di cornice. Osserva e, quando vede che non
ci sono più soldi in ballo, si defila come se niente fosse. Attenzione, quindi,
sembra dirci Hill: non è più tanto importante chi è più bravo nella
competizione, (ossessione del detective),
o chi è più veloce ed efficiente (ossessione del driver). Vince chi è più scaltro, e sa quando è il momento di
rischiare e quando quello di lasciare.
Gli anni settanta si preparavano a diventare gli anni
ottanta.
Isabelle Adjani
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