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lunedì 13 maggio 2019

CASABLANCA

348_CASABLANCA . Stati Uniti, 1942. Regia di Michael Curtiz.

Dopo che Umberto Eco ne ha tracciato la sua perfetta ma anche spietata analisi, per Casablanca di Michael Curtiz è cominciata una nuova e non certo troppo lusinghiera fase nella considerazione da parte della critica. La recensione di Eco, che si può riassumere nel suo efficace passaggio “Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono” è inappuntabile, ma anche perché il film di Curtiz non ne esce affatto male, anzi. L’analisi rivela tutte le qualità della struttura del film, e non cerca affatto di negarle: l’utilizzo smodato degli archetipi narrativi è innegabilmente funzionale, così come il ricorso ai miti eterni, storici e cinematografici. Certamente Casablanca è un film eccessivo: Eco addirittura lo paragona ad un’orgia, di convenzioni narrative, riferimenti e citazioni, sia chiaro; ma questo non è un difetto, di per se, quello che conta è la funzionalità dell’insieme. Il punto è che Eco, pur ammettendo la validità del film in se stesso, sostiene, motivando in modo difficilmente confutabile, che sia una sorta di miracolo filmico indipendente dalla capacità o dalla volontà degli autori, Michael Curtiz in testa. Il che è un fatto anche curioso, in verità: certo, a volte può infastidire che un onesto autore assurga a mito di Hollywood per un film indovinato, quando magari, altri, (Raoul Walsh, tanto per fare un nome rimanendo nella scuderia Warner), più dotati artisticamente, rimangano sempre conosciuti quasi solo agli addetti ai lavori o ai cinefili più attenti. Però un po’ infastidisce anche questo atteggiamento: questa premura nel voler derubricare un riconosciuto capolavoro a opera onesta, (anzi modesta) o poco più; non senza aver precisato che quello che c’è di buono è preso da, non uno, ma altri cento film, e comunque è frutto del caso, dell’alchimia fortuita o chissà cos’altro. 

Che poi, che gli autori scrivessero a braccio, quasi disperati, senza sapere dove andasse a parare la storia, sarà anche vero, ma la trama di fondo non aveva poi tante alternative: Ilse (una sontuosa Ingrid Bergman) la bella in salvo con il buono, Victor Laszlo (Paul Henreid), Rick Blaine (Humphrey Bogart, ovviamente) nella parte dell’eroe che si sacrifica. Gli ingredienti saranno stati anche buttati dentro un po’ a caso, come sostiene Eco, ma la ricetta-base è da protocollo e del resto Casablanca non mira certo ad essere un’opera rivoluzionaria, con il suo aspetto smaccatamente da film di genere. 

E d’accordo, Curtiz non sarà un genio del cinema, e Casablanca è giusto un film dove la confezione formale è funzionale per la precisa e oliata collaborazione dei vari artefici (dalle prestazioni degli attori alle musiche) che, con puntualità che sarà anche banale, mettono in scena uno spettacolo che mira ad intrattenere e a divulgare un messaggio propagandistico evidente. Che i personaggi non abbiano spessore psicologico è certamente un limite; almeno dal punto di vista delle verosimiglianza, che per altro non è granché ricercata, si veda il buffo mappamondo ad inizio pellicola. Nel 1942, in piena guerra mondiale, probabilmente si avvertiva il bisogno anche di questi film, che fossero un efficace strumento anche per l’intrinseca e connessa propaganda bellica. E se poi la fortunata concatenazione di eventi ci ha regalato un film che, a differenza degli intenti legati ad esigenze contingenti, è clamorosamente ancora oggi memorabile, alla faccia di chi lo considera solo un film modesto e fortunato, buon per noi. E allora, parafrasando la celeberrima frase di Ilsa che invitava il vecchio Sam (Dooley Wilson) a suonare ancora la splendida As times goes bye di Herman Hupfeld, chiudiamo il discorso guardandolo ancora.
Guardiamolo di nuovo, Michael; guardiamo ancora Casablanca.  





Ingrid Bergman







      

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