348_CASABLANCA . Stati Uniti, 1942. Regia di Michael Curtiz.
Dopo che Umberto Eco ne ha tracciato la sua perfetta ma
anche spietata analisi, per Casablanca
di Michael Curtiz è cominciata una nuova e non certo troppo lusinghiera fase
nella considerazione da parte della critica. La recensione di Eco, che si può
riassumere nel suo efficace passaggio “Due
cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono” è inappuntabile, ma anche
perché il film di Curtiz non ne esce affatto male, anzi. L’analisi rivela tutte
le qualità della struttura del film, e non cerca affatto di negarle: l’utilizzo
smodato degli archetipi narrativi è innegabilmente funzionale, così come il
ricorso ai miti eterni, storici e cinematografici. Certamente Casablanca è un film eccessivo: Eco
addirittura lo paragona ad un’orgia, di convenzioni narrative, riferimenti e
citazioni, sia chiaro; ma questo non è un difetto, di per se, quello che conta
è la funzionalità dell’insieme. Il punto è che Eco, pur ammettendo la validità
del film in se stesso, sostiene, motivando in modo difficilmente confutabile,
che sia una sorta di miracolo filmico indipendente dalla capacità o dalla
volontà degli autori, Michael Curtiz in testa. Il che è un fatto anche curioso,
in verità: certo, a volte può infastidire che un onesto autore assurga a mito di
Hollywood per un film indovinato, quando magari, altri, (Raoul Walsh, tanto per
fare un nome rimanendo nella scuderia Warner), più dotati artisticamente,
rimangano sempre conosciuti quasi solo agli addetti ai lavori o ai cinefili più
attenti. Però un po’ infastidisce anche questo atteggiamento: questa premura
nel voler derubricare un riconosciuto capolavoro a opera onesta, (anzi modesta)
o poco più; non senza aver precisato che quello che c’è di buono è preso da,
non uno, ma altri cento film, e comunque è frutto del caso, dell’alchimia
fortuita o chissà cos’altro.
Che poi, che gli autori scrivessero a braccio,
quasi disperati, senza sapere dove andasse a parare la storia, sarà anche vero,
ma la trama di fondo non aveva poi tante alternative: Ilse (una sontuosa Ingrid
Bergman) la bella in salvo con il buono, Victor Laszlo (Paul Henreid),
Rick Blaine (Humphrey Bogart, ovviamente) nella parte dell’eroe che si sacrifica. Gli ingredienti saranno stati anche buttati
dentro un po’ a caso, come sostiene Eco, ma la ricetta-base è da protocollo e
del resto Casablanca non mira certo
ad essere un’opera rivoluzionaria,
con il suo aspetto smaccatamente da film di
genere.
E d’accordo, Curtiz non sarà un genio del cinema, e Casablanca è giusto un film dove la
confezione formale è funzionale per la precisa e oliata collaborazione dei vari
artefici (dalle prestazioni degli attori alle musiche) che, con puntualità che
sarà anche banale, mettono in scena uno spettacolo che mira ad intrattenere e a
divulgare un messaggio propagandistico evidente. Che i personaggi non abbiano
spessore psicologico è certamente un limite; almeno dal punto di vista delle
verosimiglianza, che per altro non è granché ricercata, si veda il buffo
mappamondo ad inizio pellicola. Nel 1942, in piena guerra mondiale, probabilmente
si avvertiva il bisogno anche di questi film, che fossero un efficace strumento
anche per l’intrinseca e connessa propaganda bellica. E se poi la fortunata
concatenazione di eventi ci ha regalato un film che, a differenza degli intenti
legati ad esigenze contingenti, è clamorosamente ancora oggi memorabile, alla
faccia di chi lo considera solo un film modesto e fortunato, buon per noi. E
allora, parafrasando la celeberrima frase di Ilsa che invitava il vecchio Sam
(Dooley Wilson) a suonare ancora la splendida As times goes bye di Herman Hupfeld, chiudiamo il discorso
guardandolo ancora.
Guardiamolo di nuovo, Michael; guardiamo ancora Casablanca.
Ingrid Bergman
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