315_LA DONNA DEL BANDITO (They live by night). Stati Uniti 1948; Regia di Nicholas Ray.
L’esordio come regista nel mondo del cinema di Nicholas Ray
avviene con questo film che si presenta come lavoro molto personale ed
innovatore. Che l’autore avesse una visione delle cose particolare, lo si
capisce sin dal fatto che al centro della vicenda che racconta, una storia di
gangster, mette una coppia di giovani, con la presenza femminile che non è,
quindi, la classica dark lady del cinema noir. Il titolo
dell’opera originale, They live by night, sottolinea lo sguardo per
il tempo inconsueto previsto dal regista: questi personaggi non vivono di
giorno, come la gente comune, ma di notte. Certo, siamo nel 1948, e anche se il
genere in voga all’epoca (e a cui si ascrive il film) si chiama noir, a ricordare le ombre notturne che
infestavano quelle storie, l’idea che questi personaggi del film vivessero di notte ha comunque una sua
forza originale. Del resto, la didascalia iniziale ci mette sull’avviso: si
tratta di una inconsueta storia di un ragazzo e una ragazza. E per una volta è
pertinente anche il titolo scelto dai distributori italiani: La donna
del bandito mette al centro dell’attenzione la presenza femminile
intesa però come compagna del tipico protagonista. Anzi, la versione italiana
mette meglio in risalto quella sorta di sfasamento focale dell’operazione di
Ray: perché in un film di gangster ci si aspetta di assistere alle gesta dei
criminali o di una avvenente femme fatale, al massimo dei
poliziotti che, pur se avversari di questi personaggi, sono però i paladini
della giustizia. Invece l’attenzione di Ray è posta su una coppia di giovani di
cui l’uomo è un bandito, mentre la donna si barcamena in una condizione di
supporto, più che altro sentimentale, unita a quella di disapprovazione, seppur
un po’ timida, per la condotta criminale dell’amato.
E’ evidente che la
differenza con gli altri crime-movie, anche al netto
dell’esplicitazione del titolo italiano, la fa Keechie (Cathy O’Donnell)
ovvero La donna del bandito, senza la quale Bowie (Farley Granger)
sarebbe un gangster come tanti. E’ quindi un film che ha il centro focale
sfasato rispetto ai canoni classici del genere.
Questo aspetto, lo sfasamento, è la cifra più interessante del film, perché è
inerente proprio alla coppia di personaggi al centro della vicenda ed è la
preoccupazione principale del regista, che sottolinea come per i suoi giovani
protagonisti non ci sia posto nella società americana. Non a caso, i due
momenti critici della storia d’amore dei due ragazzi, sono all’insegna di qualcosa
di possibile, di probabile, ma non incisivamente centrato. Quando si incontrano
per la prima volta, i due si scambiano una serie di può darsi: Bowie_Hai
problemi? Keetchie_Può darsi. B_Chi sei? Sei di queste parti? K._Può darsi. B._ Non è che hai avuto la visita di due amici? K._ Non è che ti sei slogato il piede destro?
B._Può darsi.
Può darsi: letteralmente c’è una possibilità, ma non la certezza;
anche se, ovviamente, nella circostanza narrativa la parola è usata per
verificare l’identità dell’altro, senza scoprirsi. Però la sensazione di
incertezza rimane. Bowie manifesta poi apertamente l’interesse per Keechie con
il regalo dell’orologio (in seguito, in un altro momento cruciale, ricambiato
dalla ragazza) e il tema dell’orario che non è mai preciso, netto, ma manca
sempre qualche minuto allo scoccare dell’ora, è un altro elemento che indica
come i nostri personaggi siano fuori tempo, fuori bersaglio.
Mentre alle
domande su che ora sia, Keetchie risponde sempre in modo impreciso (da E’mezzanotte
meno dieci a Non lo so. Questo [l’orologio]
non cammina ancora), oppure l’orologio
pubblico di Zeldon che Bowie controlla segna che mancano pochi minuti alle
otto, l’autista del pullman si lamenta del tempo che i ragazzi gli fanno
perdere perché lui, a differenza di loro, ha un orario da rispettare. Il tema
della marginalità è poi connesso anche all’attività criminale dei nostri
protagonisti, e Ray lo mostra in modo congruo, con una messa in scena dei
momenti sbagliati della professione dei banditi: le tre
rapine, che sono il momento cruciale dell’attività della banda, non sono mai
riprese sullo schermo. La prima avviene prima dell’inizio del
film, e il regista azzarda un fermo immagine dell’auto dei gangster
lanciata a tutta velocità (ma mostrata immobile sotto i titoli di testa) come a
sottolineare che non ci interessa quello che avviene prima. In effetti, visto
la tempistica di come è imbastita la sequenza, si potevano cominciare i titoli
sulle scene della rapina: invece Ray blocca l’auto dei banditi in fuga,
evitando di mostrarci quello che succede prima. Scelta audace e coraggiosa, per
un esordiente dell’epoca, e che dimostra una forte vocazione figurativa anche
da un punto di vista simbolico. Nella seconda rapina il regista rimane in auto
con Bowie per mostrare il pasticcio con il commerciante che gli aveva venduto
l’orologio il giorno prima; è chiaro che, oltre ad evitare di mostrarci anche
questa rapina, Ray ne approfitti per indicare come sia la maggior importanza data
a Keetchie rispetto al colpo da eseguire con la massima attenzione, a
distinguere il bandito dai suoi complici.
La terza e conclusiva rapina è
saltata a piè pari dal regista che, ormai, non si fa più alcuno scrupolo nei
confronti della consuetudine narrativa di genere, e arriva ad omettere
un’azione tanto importante nella quale addirittura perde la vita T-Dub (Jay C.
Flippen), che della banda era il capoccia. Banda che era composta unicamente dai
citati Bowie e T-Dub, oltre a Chickamaw (Howard da Silva): come salta subito
all’occhio i personaggi principali del film, i tre banditi e la ragazza, usano
tra loro nomignoli curiosi e non veri e propri nomi. Forse questo serve ad
evidenziare che non si tratta di persone comuni; un’anomalia in tal senso che è
rimarcata anche da Bowie che, in un dialogo con Keetchie, non si capacita di
come la gente normale passi il proprio tempo libero con le ordinarie attività.
O anche dalle risposte della giovane che ripete più volte che non ha idea di
cosa facciano le altre ragazze.
Sono quindi
tutti personaggi border-line, ma se
Bowie vuole soltanto vivere in un cantuccio isolato con la sua ragazza, i suoi
colleghi fanno della loro professione quasi un’attività lavorativa normale, e
lo dicono anche al ragazzo, quando questi è riluttante ad unirsi a loro per un’ulteriore
rapina: prima il dovere, poi il piacere. Si potrebbe intuire come i complici,
banditi di professione, non siano fuori
dalla società, ma in antitesi, in alternativa: fanno parte di una società
parallela. E il distorto senso del dovere coniugato ad una insana idea di
amicizia, permettono i ricatti morali con cui i due uomini, certamente più
smaliziati di Bowie, corrompono il ragazzo. Da questo comportamento, mostrato
quando la banda ha bisogno di riunirsi, si può intuire anche come sia stata la
loro nefasta influenza a male istradare il ragazzo ai tempi del carcere, in una
fase antecedente ai fatti narrati dal film.
Anche se le istituzioni, con il racconto del processo sbrigativo ai danni del giovane, non è che ci facciano una grande figura in ogni caso. E non giova certo loro il terribile finale,
dove inducono al tradimento Mattie ( Helen Craig) la cognata di T-Dub, in una
scena moralmente pesantissima. Niente di buono anche dalla stampa, che travisa
la realtà dei fatti alla ricerca di mero sensazionalismo. Comunque, anche se
sul film grava una incombente sensazione di angoscia (del resto si intitola Vivono di notte ad indicare la perenne
necessità di nascondersi), da questo suo primo lungometraggio Ray non sembra un
autore completamente pessimista. E’ molto bello, molto pulito, il sentimento
ingenuo che accomuna i due giovani: nel film, non c’è mai un’allusione, uno
sguardo malizioso. Il sesso non ossessiona Ray che non sente la necessità di
infilarcelo a tutti costi: certo, c’era il codice Hays in vigore, ma sarebbe bastata
un’occhiata languida per farci intendere quello che c’era da intendere.
Invece, nonostante i rapporti sessuali siano implicitamente presenti, visto lo stato di gravidanza di Keetchie nel finale, l’attenzione è posta sull’amore solidale tra i due giovani: che, secondo Ray, è più importante del lavoro, dell’amicizia e anche del denaro, visto che la coppia spende pochissimo della propria parte di bottino e Bowie è disposto a cedere tutto quello che ha pur di non ritornare alla vita di gangster. A rendere ulteriormente l’idea del rapporto naturale e non malizioso, corrotto, tra
i due giovani, è il ripetuto paragone con gli animali domestici, che in genere
nutrono un affetto incondizionato per i loro padroni. Keetchie prima dice esplicitamente
che curerebbe anche un cane con la stessa premura che presta a Bowie, mentre in
seguito si paragona, lei stessa, ad un cane e poi ad un gatto. Il sentimento
istintivo tra i due giovani non deputa quindi alla morale comune una grande
importanza: Bowie si potrebbe definire completamente ignorante in materia, (in
modo un po’ ingenuo), mentre la più oculata la ragazza non ha però alcun dubbio
nell’innamorarsi di quello che è, in definitiva, un criminale. Il regista
sembra consapevole che questo suo ingenuo ottimismo purtroppo non abbia
cittadinanza nella società, e lo struggente finale non ci lascia troppe
speranze. Bowie, in punto di morte che si preoccupa soltanto che il figlio in
arrivo abbia la stoffa di Keetchie, sembra da un lato augurarsi che il figlio
non faccia il criminale ma, e questo è certamente l’aspetto più amaro, non sia
nemmeno tanto ingenuo e sprovveduto quanto lui. Perché, forse, le persone
migliori sono proprio quelle con un candore di fondo, un’ingenuità naturale, ma
sono anche le meno adatte alla società moderna che, sia con le istituzioni che
con la malavita, cerca unicamente di imbrigliarne lo spirito e piegarle alle
proprie necessità.
Nell’immediato dopoguerra
americano, non c’era già più posto per i ribelli
senza una causa di Nicholas Ray.
Cathy O'Donnell
Nessun commento:
Posta un commento