316_ECHI MORTALI (Stir of echoes). Stati Uniti 1999; Regia di David Koepp.
Chissà, forse è stata l’angoscia di fine millennio, con
l’anno 2000 che incombeva col suo carico di incertezze, (dalle profezie di
Nostradamus, al famoso detto mille e non
più mille fino al millennium bug),
ma qualcosa deve aver indotto il bravissimo sceneggiatore David Koepp (suoi gli
scritti, tra gli altri, di Carlito’s Way,
Jurassic Park, Mission: impossibile, Omicidio
in diretta) ad andare a ripescare, come spunto, il capolavoro Io sono Helen Driscoll del maestro dei
maestri horror della letteratura contemporanea, Richard Matheson. Il romanzo
dello scrittore americano è una storia di una casa infestata dal fantasma di
una donna, condotto con la solita maestria; e lo stile visivo di Matheson ben
si presta ad una trasposizione cinematografica, del resto questa cifra
stilistica dell’autore gli permise di lavorare moltissimo come sceneggiatore ad
Hollywood. Il tipo di inquietudine ispirato da Matheson nel suo romanzo è molto
intimo e praticamente universale e, quindi, funzionale ad ogni epoca o
latitudine; però era assolutamente calzante all’America degli anni ’50, quando
l’euforia per il boom economico del dopoguerra inoltrato era contesa dalla
paura dell’altro, il nemico (più o meno dichiarato)
d’oltrecortina. Questa angoscia sottile, che se si faceva strada nell’animo
dell’uomo comune lo faceva rimanendo celata dall’apparente soddisfazione per il
benessere sociale raggiunto, era la linfa che nutriva il lettore di Matheson,
dal canto suo abile come nessuno nel portarla in superficie nei suoi racconti
come, in questo caso, Io sono Helen
Driscoll. Koepp, che abbiamo visto essere abile alla macchina da scrivere a
sua volta, adegua la storia all’America di fine millennio, mette in primo piano
un attore validissimo come Kevin Bacon nel ruolo di Tom, il protagonista, e dà
il via alle danze.
L’ambientazione è quella quotidiana e, in apparenza, il
quartiere residenziale della Chicago di fine millennio in cui vive il Tom di Echi mortali vale, grosso modo, la
provincia californiana degli anni ’50 del romanzo d’ispirazione: come altre
volte, in Matheson è un elemento sovrannaturale, apparentemente innocuo, ad
aprire il Vaso di Pandora. La strana
nube in cui finisce con la sua barca Scott Carey in Tre millimetri al giorno (romanzo del 1956 di Matheson, da cui il
film Radiazioni BX: distruzione uomo,
1957, di Jack Arnold), libro che nel film viene letto dalla babysitter, non
sembra, a prima vista, più preoccupante dell’improvvisata seduta ipnotica a cui
la cognata Lisa (Illeana Douglas) sottopone Tom.
Ma questo perché, in effetti,
non è il punto centrale del discorso: così come Scott si scopriva alieno nel
suo mondo, in modo superficiale perché stava rimpicciolendo, ma in sostanza per
motivazioni più esistenziali perfettamente condivisibili dall’uomo comune,
l’apertura mentale che si ritrova Tom diventa un problema non tanto per la
questione in sé, ma perché ora diventa possibile, anzi inevitabile, percepire
il marcio che lo circonda. E il quartiere residenziale con il simpatico
vicinato che si diverte alle feste o alle partite di football, diventa assai
simile a quello in cui si barricava Robert Neville, il protagonista di un altro
celebre romanzo di Matheson, Io sono
leggenda.
Solo che il male va ricercato dentro la villetta del protagonista;
anzi no, lì, il povero Tom, troverà solo il frutto di quel male che, proprio
come nel quartiere del citato Neville di Io
sono leggenda, è tutto intorno. La trance folle in cui precipita lentamente
Tom (molto mathesoniana) è resa
mirabilmente da Bacon, che sciorina un’eccellente prova d’attore: la sua
eccitazione corre sul filo sospeso tra la lucidità di chi è l’unico a vedere la
verità, e un’irrazionale ossessione. Questo contrasto interiore,
questa turbolenza, crea delle dissonanze con la placida tranquillità iniziale con
cui il figlioletto Jake (Zachary David Cope) accetta le presenze soprannaturali
per casa.
Tranquillità che, per altro, viene
via via sostituita da un timore crescente percepito anche dallo stesso bambino
man mano che la tensione generale si accumula. Mentre, ad alimentare il primo
fronte nella discrepanza tra normalità e anomalie, permane l’assoluta
estraneità della moglie Maggie (Kathryn Erbe) a tutto questo. In questa
situazione tesa si innestano le trovate ad effetto tipiche delle storie di
fantasmi, gestite in modo funzionale da Koepp, per un film in cui lo spavento o
la pelle d’oca per certi passaggi solo immaginati dallo spettatore, si sommano
alla sottile inquietudine di fondo. Al di là delle differenze della trama tra
film e romanzo, è proprio la commistione tra i generi, che lo scrittore
americano cercava sempre, in questo caso l’innesto di una storia di fantasmi su
una trama gialla, ad essere il punto di forza narrativo di Echi mortali,
tanto quanto di Io sono Helen Driscoll. Nel finale la soluzione
drammatica dell’intrigo investigativo, scioglie anche i rimandi soprannaturali:
ma il dubbio che rimane è se facciano più paura i fantasmi dei morti, o i
sorridenti vicini di casa.
Illeana Douglas
Jennifer Morrison
Kathryn Erbe
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