324_I DUELLANTI (The duellist). Regno Unito, 1977; Regia di Ridley Scott.
A conti fatti, forse I duellanti
è comunque un film pacifista. E se lo è, lo è in modo curioso, perché nell’opera il
codice d’onore cavalleresco, che è uno dei pilastri della dottrina militare,
non è messo in discussione apertamente. Ci sono due ufficiali Ussari
dell’esercito di Napoleone, Armand D’Hubert (Keith Carradine) più raffinato, e
Gabriel Feraud (Harvey Keitel) più ruspante: per un futile motivo, Feraud sfida
a duello d’Hubert. Nella contesa ha la peggio il primo, che rimane ferito ad
una mano: questo finisce per aggravare l’odio di Feraud per il rivale, e tutto
il film sarà costellato da i loro ripetuti duelli. In sostanza, i due ufficiali
francesi sono le facce della stessa medaglia (d’onore): da una parte il nobile
codice cavalleresco, dall’altra la sete di sangue e il piacere per la sfida,
sebbene sempre nelle regole del suddetto senso dell’onore. Per quanto la prima
faccia della medaglia, a cui corrisponde D’Hubert, ci appaia più nobile e
rispettabile, essa è legata in modo indissolubile alla seconda. E’ il codice
d’onore che le unisce; un uomo d’armi può essere ragionevole fin che si vuole,
ma se viene sfidato non può sottrarsi alla contesa. Questo vincolo è la quintessenza
della follia della guerra; questo ideale che viene spacciato per onore, e che
altro non è che orgoglio mal riposto, è la malta cementizia che permette la
politica guerrafondaia che dai tempi antichi non è mai passata di moda. E’ per
questo motivo, per questa indissolubilità delle due facce della medaglia, che
D’Hubert salva la vita due volte a Feraud, prima evitandogli la condanna a
morte, poi risparmiandogli il colpo di pistola definitivo. D’Hubert spera, nel
commento finale, di controllare Feraud, sempre basandosi sul codice d’onore
cavalleresco.
Qui sta’ un po’ il dubbio: Ridley Scott, il regista, vuole forse
dirci che è possibile tenere imbrigliata la nostra metà oscura, anche in ambito militare? Tutto il film è sembrato
dirci di no, visto che D’Hubert è costretto, suo malgrado ma per dovere
cavalleresco, a duellare per la vita nei continui scontri con Feraud. Ma il
finale un dubbio ce lo lascia.
Non ci lascia dubbi invece l’abilità e la bravura di questo
giovane regista inglese, Ridley Scott, che con il suo primo lungometraggio si
mette subito in luce per un talento fuori dal comune.
L’idea di un film in costume, per un esordiente, è di
notevole ambizione, perché oltre ai problemi strettamente tecnici in senso
cinematografico, questo genere di pellicole presenta ulteriori ostacoli legati
all’ambientazione, alle scenografie, ai costumi.
In risposta a ciò la
confezione dell’opera è superba, con particolare merito per le scene dei duelli
e per le ambientazioni militari. Suggestive, anche se più oniriche che
realistiche, le scene ambientate sul fronte russo danno l’idea della capacità
espressiva molto personale del regista.
Volendo, questa superba abilità estetica di Scott serve a
mascherare alcuni limiti del lungometraggio, forse un po’ troppo ancorato al
solo aspetto simbolico del codice d’onore cavalleresco; l’opera manca infatti
di profondità e i personaggi si muovono eccessivamente solo sui propri binari
fissi nell’estenuante ripetizione dei duelli.
E quindi sufficiente la forza evocativa delle immagini, come
unico complemento alla struttura simbolica del testo? Almeno per questo I duellanti, la risposta è si, la
ricetta ha funzionato alla grande.
Diana Quick
Gay Hamilton
Jenny Runacre
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