314_APOLLO 13 . Stati Uniti 1995; Regia di Ron Howard.
Ci sono eventi talmente cinematografici già di loro che, per
essere rappresentati fedelmente al cinema, occorre una predisposizione
particolare da parte del regista. Intendiamoci: un autore con la A
maiuscola, può affrontare qualunque argomento, sia chiaro; però, quando il tema
ha già una buona rilevanza di suo si rischia di rovinala nella trasposizione sullo
schermo, se ci si lascia troppo prendere la mano da pretese autoriali. Rischio che non corre certo
Ron Howard che, nella capacità ‘impersonale’ della messa in scena da manuale
del perfetto regista mainstream, ha
il suo marchio caratteristico. In Apollo
13, fantastica avventura dell’era spaziale, (sebbene, per la stragrande
maggioranza degli spettatori, potrebbe anche essere pura fantascienza), Howard
mette le sue capacità registiche al servizio di una vicenda che ha già nella
cronaca storica i colpi di scena necessari ad appassionare. E poi, la
grandiosità del missile Saturn V, il
fascino della navicella spaziale Apollo
coi vari moduli, la complessità degli studi su tutti gli innumerevoli aspetti e
il caos organizzato nella sala controllo… tutta roba da rimanere a bocca
aperta. La storia è nota: la missione Apollo
13 deve ritornare sulla Luna per la terza volta, dopo le precedenti Apollo 11 e Apollo 12, per continuare l’esplorazione del satellite. Ma, durante
il viaggio, qualcosa va storto (‘Houston,
abbiamo un problema’ ça va sans dire) e l’obiettivo della missione cambia
da allunaggio a ritorno sulla terza con i tre membri dell’equipaggio sani e salvi.
E si tratta di una missione ben più difficile, visto che fa saltare in aria
tutti i precisi e calcolati piani di volo, arrivando, addirittura, a far
navigare a vista gli astronauti.
Howard è bravo, segue con la giusta e obiettivamente legittima enfasi
hollywoodiana le fasi del lancio prima e della gestione del problema poi. Dà il
giusto spazio alla noncuranza con cui veniva recepito il ritorno sulla Luna,
dopo i fasti dei primi due viaggi, e si sofferma un poco, ma senza insistere,
sul ruolo del numero 13, negli Stati Uniti d’America ritenuto sfortunato. Stando
al racconto filmico, gli americani ci scherzarono anche su, impostando alcuni
orari (13:13) quasi a sbeffeggiare la sorte: nel film non è però mostrato se,
visto l’andamento della missione, si pentirono di questi azzardi cabalistici.
Per la riuscita di un’opera che cerca di attenersi a fatti concreti, Howard,
saggiamente, si rivolge ad un cast di tutto rispetto, in grado di interpretare
al meglio le estreme emozioni vissute dai protagonisti. Tom Hanks è Jim Lovell,
comandante della missione; i membri del suo equipaggio sono interpretati da
Kevin Bacon (Jack Swigert) e Bill Paxton (Fred Haise). Importanti ruoli per
Gary Sinise (Ken Mattingly, originariamente componente dell’equipaggio, ma
sostituito all’ultimo per un presunto contagio di morbillo), Ed Harris (Gene
Kranz, direttore delle azioni della Nasa) e Kathleen Quinlan (Marilyn Lovell,
moglie di Jim), ma tutto il cast si rivela all’altezza.
Come dissero al tempo,
la missione Apollo 13 fu un fallimento di successo, perché dimostrò
la capacità degli americani di cavarsela d’impiccio anche in situazioni non
preventivamente studiate. Il film, invece, fu un successo e basta, perché
riuscì ad assolvere pienamente al proprio scopo: divertire, affascinare, e
riportare alla memoria anche gli aspetti apparentemente meno scintillanti della
leadership a stelle e strisce sul
pianeta (e oltre, a quel punto). La bravura di Howard è proprio che scongiura,
con una messa in scena enfatica, dal punto di vista visivo, ma non retorica,
una rilettura degli eventi eccessivamente celebrativa della supremazia yankee. E, visto anche la situazione
politica mondiale del tempo, non era nemmeno un rischio da sottovalutare. Piuttosto,
poco importa se, in un film che si propone scientifico e non fantascientifico, ad
Howard scappi qualche licenza poetica, ad esempio i rumori delle esplosioni o
delle fughe di gas che, nello spazio cosmico, non si sarebbero potuti udire.
Meglio il rumore impossibile degli scoppi nello spazio che quello
insopportabile della propaganda nazionalista.
Kathleen Quinlan
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