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domenica 30 settembre 2018

UNSANE

216_UNSANE. Stati Uniti, 2018;  Regia di Steven Soderbergh.

Unsane di Steven Soderbergh è famoso innanzitutto per essere stato girato con un iPhone; si può credere che si tratti di una manovra commerciale, nel qual caso ben pensata, e certamente non si può negare che questo aspetto abbia una sua incidenza. Ma Soderbergh, anche se non sempre del tutto convincente, è però cineasta capace oltre che polivalente (suoi anche fotografia e montaggio), e sfrutta lo strumento smartphone in modo pertinente. Quello che la lente grandangolare dell’Iphone ci mostra è un mondo leggermente distorto perché, anche se ormai ci siamo abituati, non si può pensare che le superdefinite immagini prodotte da questi efficientissimi strumenti siano paragonabili alla poesia realistica di apparecchi realizzati più specificatamente per la ripresa video. In definitiva, l’aspetto formale del film non ci è affatto alieno, tanto siamo abituati a questo genere di filmati; certo un film girato con la macchina da presa è un’altra cosa, ma la bravura di Soderbergh è proprio quella di mostrarci la nostra realtà con lo strumento principe che la definisce abitualmente. E la realtà che ci mostra è proprio la nostra. La protagonista è una ragazza, Sawyer Valentini (Claire Foy), che potrebbe davvero essere la nostra vicina di casa: chiusa in se stessa e incapace di avere rapporti umani, attività nella quale fatica pure con la madre; di contro è bravissima dal punto di vista professionale, bei risultati in banca e, apprenderemo, in grado di svolgere con diligenza anche mansioni in ambito sociale. Ma solo se la cosa è vista come un compito, un'operazione specifica: assistere un malato, dargli conforto; alla fine, un lavoro come un altro.
Un piccolo automa, capace, d’incanto, di passare dalla faccia già tremendamente scocciata e sull’orlo di una crisi di nervi, all’espressione dolce e comprensiva, nella speranza di ottenere il risultato che si è preposto. Questa è la protagonista del film di Soderbergh; in una parola, una stronza. Esattamente come quelle che si trovano abitualmente in giro; a pacchi. Il suo problema è che di lei si è innamorato un perfetto idiota (figlio di un malato da lei assistito) ancora più scollegato dalla realtà di quanto non sia la nostra eroina; Sawyer è infatti una stronza consapevole, David (Joshua Leonard) un idiota ovviamente inconsapevole (se no che idiota sarebbe), che si innamora della ragazza unicamente in base alle proprie ingenue, strampalatamente romantiche, fantasie.

Il che non sarebbe ancora il problema di cui si accennava: la situazione degenera in problema nel momento in cui il sentimento non corrisposto trasforma David in uno stalker, e di quelli cattivi. L’obiettivo dell’iPhone diventa così quasi congegnale per raccontarci una storia tanto superficiale, tanto deformata, con una ragazza che tutto è tranne che attraente, nella sua freddezza quasi frigida, e che diventa oggetto di un desiderio tanto banalmente infantile come quello di David. Il racconto di questo rapporto raggiunge il suo apice, in quello che è sostanzialmente il corpo filmico di Unsane, nella struttura ospedaliera che ricovera a forza Sawyer, con una sorta di truffa per sfruttarne l’assicurazione sanitaria.

La situazione è davvero paradossale perché la donna, ricoverata perché si ritiene possa essere pericolosa, viene esasperata e praticamente indotta a comportamenti violenti proprio dalla struttura stessa che avrebbe dovuto curarla. Un completo rovesciamento del ruolo della clinica privata, probabilmente nemmeno troppo distante dal vero, e che, nel film, rimarca il ribaltamento che subiscono i normali rapporti umani: Sawyer che teme ogni avance ma, all’inizio del lungometraggio, si organizza un appuntamento tramite internet (e quindi rischiosissimo) e David, che ama la ragazza al punto di seviziarla, rovesciando appunto il verso della sua folle passione.

La contesa si inasprisce, trasformando Unsane in un puro horror: tra gli altri, a farne le spese è Violet, una disturbata mentale ospite della struttura sanitaria, sacrificata senza alcuno scrupolo da Sawyer, persona davvero senza alcuna reticenza o remora morale (si veda anche la promessa sessuale fatta a Jay e poi, una volta ottenuto lo scopo, non mantenuta).
Si risolve tutto in ossequio al proverbio dog eat dog, e il cane più cattivo uccide quello meno cattivo, potendo tornare così alla vita di sempre: ad esempio al lavoro, in banca, a trattare sadicamente la collega.
Sempre in guardia, smartphone in una mano, un arma (anche un banale coltello da tavola) a portata dell’altra: la vita nel 2018.
Mettete ‘mi piace’ se vi riesce.   



Claire Foy


  

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