208_MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO (The death of Stalin). Regno Unito, Francia, Stati Uniti 2017; Regia di Armando Iannone.
Tratto dal capolavoro a fumetti La morte di Stalin dei francesi Fabien Nury e Thierry Robin, Morto Stalin se ne fa un altro è uno di
quei casi (non frequenti, per la verità) in cui la trasposizione sul grande
schermo arricchisce addirittura il già formidabile testo originale. I paragoni
in genere sono poco utili, soprattutto passando da una forma artistica ad un’altra ma, in questo caso, è una considerazione che viene spontanea: la bande dessinée è infatti frutto del
lavoro di due artisti che dovettero dar vita ad una numerosa schiera di
personaggi, ovvero i vari membri del Comitato Centrale del Partito Comunista; gente
del calibro storico di Nikita Kruscèv o Lavrentij Berija, per capirci. Il
lavoro fatto dai due fumettisti francesi è notevole, ma basta già vedere Steve
Buscemi nella parte di Kruscev per capire quanto possa essere importante
l’apporto degli attori in un’operazione come questa. Oltre a Buscemi,
strepitoso e assolutamente al suo meglio, meritano una citazione almeno: Simon
Russell Beale nella parte del temibile e subdolo Berija; Jeffrey Tambor, un
Georgij Malenkov che, nonostante il busto indossato, appare prono al prepotente
di turno; Michael Palin scorazzante per lo schermo come ai tempi di Monty Python nel ruolo, in realtà spesso
scomodo, di Vjaceslav Molotov; e per restare ai personaggi principali, un
ferreo Jason Isaacs è il brutale generale dell’Armata Rossa Georgij Zucov. La
prova d’attori generale è notevole e messa in particolare risalto dal tono
grottesco dell’opera, che permette agli interpreti di giocare (come dal termine inglese player) con i propri ruoli, contribuendo a discostare efficacemente
l’atmosfera generale del racconto da una asettica rievocazione storica dei
fatti.
Non si tratta certo di una novità, quella di raccontare in tono leggero
eventi o momenti storici tragici: basti citare Il grande dittatore di Charlie Chaplin del 1940. Però l’operazione
del regista scozzese Armando Iannucci alla base di Morto Stalin se ne fa un altro (per dovere di cronaca, già presente
nel soggetto a fumetti), è comunque geniale: in questo caso, non si tratta di
una parodia, o perlomeno, il film funziona in ottica grottesca, ma può reggere,
e purtroppo è anche più credibile, come resoconto storico fin troppo
attendibile.
L’intuizione degli autori è quindi che non è necessario introdurre
una chiave di lettura umoristica per parlare di un momento tanto tragico; con
buona pace dei perbenisti che si indignano per la satira (quando magari non
l’han fatto per le malefatte oggetto della satira stessa), lo humor nero è infatti uno dei modi per
affrontare temi altrimenti troppo spinosi. Ma il vero dramma, purtroppo
concretamente reale (e che calza spaventosamente per il nostro paese) e che
questa operazione linguistica non è
nemmeno necessaria: non serve, insomma, fare la parodia degli eventi storici e
se gli interpreti giocano con i loro
ruoli un po’ sopra le righe, è perché devono recitare i panni di giullari,
guitti e comici che si trovano proiettati in situazioni decisive per la
collettività. Ed è per questo gli attori diventano cruciali nel rendere questo
testo ancora più efficace, perché sono chiamati ad interpretare personaggi
reali e decisivi nella storia dell’umanità, ma verso i quali il rischio maggiore
è quello di farli scadere in macchiette
senza spessore. E’ questo il vero pregio di Morto
Stalin se ne fa un altro: riuscire a far comprendere che quello mostrato
non è la parodia della storia dell’Unione Sovietica ai tempi della morte di
Stalin.
Piuttosto, è la
Storia ad essere ormai una parodia di se stessa.
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