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venerdì 14 settembre 2018

MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO

208_MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO (The death of Stalin). Regno Unito, Francia, Stati Uniti 2017;  Regia di Armando Iannone.

Tratto dal capolavoro a fumetti La morte di Stalin dei francesi Fabien Nury e Thierry Robin, Morto Stalin se ne fa un altro è uno di quei casi (non frequenti, per la verità) in cui la trasposizione sul grande schermo arricchisce addirittura il già formidabile testo originale. I paragoni in genere sono poco utili, soprattutto passando da una forma artistica ad un’altra ma, in questo caso, è una considerazione che viene spontanea: la bande dessinée è infatti frutto del lavoro di due artisti che dovettero dar vita ad una numerosa schiera di personaggi, ovvero i vari membri del Comitato Centrale del Partito Comunista; gente del calibro storico di Nikita Kruscèv o Lavrentij Berija, per capirci. Il lavoro fatto dai due fumettisti francesi è notevole, ma basta già vedere Steve Buscemi nella parte di Kruscev per capire quanto possa essere importante l’apporto degli attori in un’operazione come questa. Oltre a Buscemi, strepitoso e assolutamente al suo meglio, meritano una citazione almeno: Simon Russell Beale nella parte del temibile e subdolo Berija; Jeffrey Tambor, un Georgij Malenkov che, nonostante il busto indossato, appare prono al prepotente di turno; Michael Palin scorazzante per lo schermo come ai tempi di Monty Python nel ruolo, in realtà spesso scomodo, di Vjaceslav Molotov; e per restare ai personaggi principali, un ferreo Jason Isaacs è il brutale generale dell’Armata Rossa Georgij Zucov. La prova d’attori generale è notevole e messa in particolare risalto dal tono grottesco dell’opera, che permette agli interpreti di giocare (come dal termine inglese player) con i propri ruoli, contribuendo a discostare efficacemente l’atmosfera generale del racconto da una asettica rievocazione storica dei fatti.

Non si tratta certo di una novità, quella di raccontare in tono leggero eventi o momenti storici tragici: basti citare Il grande dittatore di Charlie Chaplin del 1940. Però l’operazione del regista scozzese Armando Iannucci alla base di Morto Stalin se ne fa un altro (per dovere di cronaca, già presente nel soggetto a fumetti), è comunque geniale: in questo caso, non si tratta di una parodia, o perlomeno, il film funziona in ottica grottesca, ma può reggere, e purtroppo è anche più credibile, come resoconto storico fin troppo attendibile.

L’intuizione degli autori è quindi che non è necessario introdurre una chiave di lettura umoristica per parlare di un momento tanto tragico; con buona pace dei perbenisti che si indignano per la satira (quando magari non l’han fatto per le malefatte oggetto della satira stessa), lo humor nero è infatti uno dei modi per affrontare temi altrimenti troppo spinosi. Ma il vero dramma, purtroppo concretamente reale (e che calza spaventosamente per il nostro paese) e che questa operazione linguistica non è nemmeno necessaria: non serve, insomma, fare la parodia degli eventi storici e se gli interpreti giocano con i loro ruoli un po’ sopra le righe, è perché devono recitare i panni di giullari, guitti e comici che si trovano proiettati in situazioni decisive per la collettività. Ed è per questo gli attori diventano cruciali nel rendere questo testo ancora più efficace, perché sono chiamati ad interpretare personaggi reali e decisivi nella storia dell’umanità, ma verso i quali il rischio maggiore è quello di farli scadere in macchiette senza spessore. E’ questo il vero pregio di Morto Stalin se ne fa un altro: riuscire a far comprendere che quello mostrato non è la parodia della storia dell’Unione Sovietica ai tempi della morte di Stalin.
Piuttosto, è la Storia ad essere ormai una parodia di se stessa.





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