213_CAVALCARONO INSIEME (Two rode together). Stati Uniti, 1961; Regia di John Ford.
Dopo Sentieri selvaggi
John Ford torna, con il western Cavalcarono
insieme, a trattare il tema dei bianchi rapiti ed allevati dagli indiani: a
prima vista è un fatto curioso, perché il film del 1956 è un capolavoro e sembra
davvero strano che il regista rimetta mano ancora all’argomento. E questa
sensazione permane parzialmente anche durante la visione del film che, per
lunghi tratti, appare troppo leggero,
sia per affrontare il tema che per reggere l’inevitabile paragone con il suo
illustre precedente. Ma naturalmente facciamo bene a fidarci di Ford, che sa
benissimo quello che sta facendo e, opera finita, dimostrerà ampiamente le sue
ragioni. Il titolo Cavalcarono insieme
si riferisce allo sceriffo Guthrie McCabe (James Stewart) e al capitano di
cavalleria Jim Gary (Richard Widmark), che hanno l’incarico di recuperare i
bianchi rapiti e allevati dai Comanche. Anche in questo caso, come in Sentieri selvaggi, i protagonisti sono
due, un vecchio e un giovane. Al posto di John Wayne c’è James Stewart che,
simbolicamente, come attore non ha la granitica certezza di sé propria del duca: Wayne ha sempre interpretato bene
o male lo stesso personaggio, mentre la gamma di opportunità di Jimmy Stewart
va dall’ingenuo dei film di Frank Capra, a figure più tormentate, come nelle
opere di Anthony Mann o Hitchcock. Ford utilizza quindi questa possibile
turbolenza interiore di Stewart per mostrarci un personaggio, quello dello
sceriffo McCabe, in apparenza cinico e unicamente interessato al proprio
tornaconto. Se l’Ethan Edwards interpretato da Wayne aveva in odio gli indiani
ma alla fine arrivava a ravvedersi, McCabe non li odia certo, anzi, quando vi è
costretto (dalle circostanze, ma anche dalla propria coscienza) dimostra di
conoscerli e rispettarli: ma è talmente disilluso che, avendo perso ogni
speranza, si è rifugiato in un comportamento meschino e egoista che gli
consente di tollerare lo sfacelo privo di speranza che è divenuto il west.
Questo degrado generale, in Cavalcarono
insieme, può non saltare subito all’occhio ma, in buona sostanza, nel suo
film, Ford demolisce tutte quelle istituzioni della conquista del west che il
suo stesso cinema aveva contribuito a celebrare. La cittadina di frontiera, tipo
quella di Sfida infernale, dove si
costruivano chiese e scuole, è richiamata all’inizio del film dalla posizione
che assume lo sceriffo McCabe sulla veranda, con Stewart che pare scimmiottare
l’Henry Fonda nei panni di Wyatt Earp. Ma di questa cittadina, in Cavalcarono insieme, vediamo solo un saloon
di dubbia reputazione, gestito da una leggermente attempata maliarda (Annelle
Hayes) che propone il matrimonio a McCabe in termini di percentuali di
guadagno.
Ma andiamo oltre: in men che non si dica arriva sullo schermo la
cavalleria, alla quale Ford dedicò addirittura una trilogia. Il capitano Gary
ha l’aspetto di Richard Widmark: Widmark è un ottimo attore, ma di caratura
certamente inferiore a Stewart o Wayne. Ford lo utilizza comunque al meglio: il
capitano è un uomo di coscienza, giusto, ma non ha la tempra per accettare la
realtà e staccarsi dalla cavalleria, che, a conti fatti, è indegna di una persona
onesta come lui.
La residua simpatia per il corpo militare il regista la
concretizza nella figura del sergente Posey (Andy Devine), a cui concede qualche
simpatico siparietto ma anche qualche presa in giro persino esagerata. Ma sul
tono eccessivamente comico della pellicola torneremo poi, perché bisogna
chiudere il discorso coi militari, che davvero Ford fa a pezzi, a partire dal
comandante, il maggiore Frazer (John McIntire), uomo senza parola d’onore
(viene meno al patto con McCabe e al trattato con gli indiani), scaltro (si
compiace dell’uccisione di Orso di Pietra), e opportunista (incarica Gary di
disertare), ma anche gli ufficiali al ballo (e le rispettive dame) non fanno
certo una figura accettabile.
Lo si era capito sin da subito che la divisa blu
dei cavalleggeri fosse sporca, quando Gary e i suoi arrivano al paese, quello
che si capisce solo in seguito è che quella polvere simboleggiava una sporcizia
ben peggiore. Per finire con le istituzioni dipinte in modo totalmente negativo
in Cavalcarono insieme, è il turno
della comunità di coloni, qui radunata in una carovana da una speranza (che
verrà disillusa ferocemente), e che è descritta in modo impietoso, anche nei
suoi elementi di spicco, come il giudice di pace che celebra, nel terribile
finale, con tutto il sadismo possibile ad un uomo tanto abietto, una condanna a
morte che assomiglia moltissimo ad un linciaggio.
Fatto questo bel quadro d’insieme, possiamo capire quello a
cui si accennava prima, ovvero il tono eccessivamente comico della vicenda,
specialmente nella prima parte. Il clima da commedia maschera opportunamente il
contesto generale e, in effetti, anche il carattere cinico di McCabe che inizialmente sembra davvero fuori luogo, successivamente apparirà, se non
condivisibile, perlomeno ben motivato.
In questo senso forse la questione dei bianchi rapiti è solo
un pretesto e non il fulcro del discorso, un modo cioè per mostrare non solo che
alla base della società americana c’è un’ingiustizia (perpetrata nei confronti
dei nativi) ma che il sistema di vita, sulla carta maggiormente acculturato,
con cui si è sostituita la civiltà
indiana, rappresentava piuttosto un regresso.
Se Ethan Edward riusciva ad accettare il ritorno della
nipote, in Cavalcarono insieme avere
vissuto con gli indiani è una colpa inaccettabile, e ci vuole il cinico McCabe per dire esplicitamente
alla nobiltà americana che lo ascolta (ufficiali e rispettive dame al ballo)
che gli indiani sono migliori di loro perché sono in grado di accettare un
diverso (i bianchi rapiti) meglio di
quanto non facciano i bianchi con i propri simili (Helena, la donna messicana liberata).
La durezza del discorso di Ford è resa poi in modo magistrale
anche dai risvolti drammatici della trama, con un finale tra i più tragici
della storia del cinema. E dire che il passaggio del carillon come elemento per
risvegliare i ricordi del ragazzo Lupo Veloce è telefonato da una scena preventiva che sembra rovinarne l’effetto
in quella cruciale. Invece il tragico e repentino corso degli eventi si
concretizza in una scena terribile, anche perché a quel punto prevedibile
(proprio grazie all’anticipazione di cui si diceva prima), e la rapidità con
cui si può sviluppare l’azione a questo punto, contribuisce a rendere assolutamente
traumatizzante il passaggio narrativo.
Nell’epilogo Ford ha ancora voglia di scherzare, e prova a
dirci che la trama è circolare (sembra di vedere ancora lo sceriffo McCabe
sulla veranda in posa alla Wyatt Earp); ma non è affatto così, non è lo
sceriffo, è solo il grullo del suo vice che ne ha preso il posto.
Meglio levare le tende, allora: in Messico con Helena o
nell’est con Marty.
Il west è davvero finito.
Shirley Jones
Linda Cristal
Nessun commento:
Posta un commento