209_NEFERTITE, REGINA DEL NILO. Italia 1961; Regia di Fernando Cerchio.
Si potrebbe dire che lo spunto per questo peplum italiano sia il celebre busto di
Nefertiti, una scultura autentica che riporta, in modo a dir poco sorprendente, la bellezza modernissima della regina egizia. In fondo, la scultura, (come la
pittura e forse più di ogni altra forma d’arte l’architettura) ha svolto, nel corso della Storia, le
funzioni che oggi sono maggiormente delegate al cinema. Se la rappresentazione
dell’epoca era probabilmente un sacro tributo all’origine divina della
regina egizia, il film ha uno scopo più venale, cercando cioè di sfruttare il
fascino esotico dell’Antico Egitto per meri fini commerciali. Ma non è che la
cosa debba suonare necessariamente negativa; la settima è un’arte di massa, è chiaro, ma permette comunque ampi
spazi di manovra, anche all’interno del cinema
di cassetta, per fare per bene il proprio lavoro. La direzione della
pellicola è affidata al solido Fernando Cerchio, regista già avvezzo alle opere
in costume e autore, solo l’anno precedente, de Il sepolcro dei re, anch’esso legato alle vicende storiche (seppur
sempre molto romanzate) egiziane. A dar corpo all’eterna bellezza di Nefertiti
(che nel film è invece detta Nefertite) è chiamata Jeanne Crain, attrice non di
primissimo livello che però se la cava egregiamente, in un ruolo in cui, a dir
la verità, le basta attingere alla sua personale avvenenza. Nel cast sono anche
da ricordare: Vincente Price, nei panni del perfido Benakon, il Gran Sacerdote;
Amedeo Nazzari, in quelli di uno smarrito Amenophis IV, il faraone che sta
perdendo il senno; Edmund Purdom, è invece Tumos l’eroe di turno forse poco
incisivo;
infine c’è anche Liana Orfei nelle leggere vesti di Merit e mostra,
oltre alle procaci grazie, l’abilità circense, tipica di famiglia, nei tiri con
l’arco, per altro cruciali per lo sviluppo narrativo della trama. Trama che
Cerchio imbastisce con solido mestiere, intessendo una storia d’amore degna di
un melò: Nefertite è innamorata di Tumos ma è costretta dal sacerdote, che
scopre essere suo padre, a sposare il faraone che, guarda caso, è il migliore
amico proprio dell’amato Tumos. Tra gli snodi di questo intrigo ci si infila
Merit: la poveretta, oltre a patire d’amore vedendo Tumos (di cui è innamorata)
struggersi per Nefertite, salva la vita proprio a quest’ultima sfoderando la
sua citata abilità nell’uso dell’arco.
Al di là degli eccessi melodrammatici,
che si innestano in modo congruo alla sfarzosa rappresentazione cinematografica
dell’antichità tipica dei peplum,
rimane sorprendente, soprattutto pensando che si tratta di una produzione
italiana, il senso del dovere che pervade l’opera. Se questo aspetto è visto,
in chiave negativa, come antagonista all’amore (Nefertite è destinata per dovere a sposare il faraone e non
l’uomo che ama), i personaggi non si sottraggono però ad esso nei momenti
cruciali. La regina rinuncia alla fuga con l’amato Tumos perché si rende conto
che il faraone ha bisogno di aiuto per fronteggiare la rivolta e,
successivamente, Merit interviene nella battaglia salvando la vita proprio a
Nefertite, ben sapendo che facendo questo perderà le sue possibilità sentimentali
con Tumos.
Un film italiano di Cinecittà
che celebra il senso del dovere: solo per questo fatto, Nefertite, regina del Nilo, merita un plauso.
Jeanne Crain
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