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martedì 7 agosto 2018

THE POST

189_THE POST   Stati Uniti 2017;  Regia di Steven Spielberg.

L’importanza di The Post, il film di Steven Spielberg, può essere facilmente individuata tenendo in considerazione la portata dell’autore, l’argomento dell’opera e la presenza nel cast di due assi come Meryl Streep e Tom Hanks. Ed è perfino superfluo rimarcare la capacità di Spielberg dietro la macchina da presa, la sua sopraffina maestria nel raccontare storie in immagini è infatti testimoniata dai tanti capolavori al suo attivo. Vale forse la pena ricordare la polivalenza del suo cinema, e basti citare l’ormai lontano 1993 dove, nello stesso anno, diresse Schindler’s List e Jurassic Park, riuscendo, quindi, ad affrontare, praticamente nello stesso momento e con la stessa perizia, temi seri e delicati e l’avventura più pura. E che dire di Meryl Streep e Tom Hanks: due mostri sacri che in questo The Post sfoderano, si potrebbe quasi dire ovviamente, due prestazioni monstre. Rimane, almeno per un primo sguardo sommario, il tema trattato dal film: che è, com’era prevedibile, assolutamente d’eccezione. Intanto per il suo sapore contemporaneo, la sua attualità: perché l’amministrazione Nixon, che nel film di Spielberg è sostanzialmente l’avversario del Washington Post (il giornale a cui fa appunto riferimento il titolo The Post), ricorda tremendamente quella odierna di Trump, che ha la stessa insofferenza per la stampa e per libertà di opinione. E poi perché, in modo un po’ sornione, il regista cavalca anche la protesta dei movimenti come il Me Too, sovrapponendo al ruolo della Streep (Kay Graham, proprietaria del Washington Post) una matrice femminista che tuttavia, per non snaturare troppo il suo cinema, delega essenzialmente ad alcune scene più che altro simboliche (come l’uscita della donna dal tribunale della Corte Suprema).

Perché Spielberg, nella figura della Graham, più che una portavoce delle istanze femministe, probabilmente ci vede maggiormente quelle più tipiche della sua poetica, ovvero dell’individuo candido e talmente in buona fede da apparire ingenuo che, a discapito delle logiche opportunistiche dei faccendieri di turno, opera in base al suo semplice senso di giustizia. Per questo la donna decide di pubblicare i rapporti confidenziali sul Vietnam, semplicemente perché è giusto farlo, con buona pace dei rischi che correranno lei stessa (il giornale è appena stato quotato in borsa e potrebbe subire conseguenze drammatiche), i suoi collaboratori (che nel giornale lavorano e che perderebbero il posto), e i suoi amici, come quel McNamara, Segretario della Difesa responsabile proprio di quei dossier top secret.

Quest’innocenza d’animo è propria dell’eroe americano secondo Spielberg ed è supportata anche dalla stessa Costituzione a stelle e strisce; la quale, in questo film è citata esplicitamente ma è sostanzialmente un tema ricorrente nella filmografia di Spielberg, sia essa richiamata in modo dichiarato o meno nella pellicola di turno. E si fa riferimento all’eroe americano, già. Perché Katharine “Kay” Graham, con la sua andatura goffa, le sue incertezze, i tentennamenti, i suoi tentativi di restare anche un po’ fuori dal gioco (interpretazione magistrale della Streep, vale la pena sottolinearlo una volta di più) è un vero eroe americano, (o una vera eroina americana, fate voi), pur svolgendo un’attività che non sembra prevedere nulla di eroico nelle mansioni previste. 
Ma l’importanza di considerare questi protagonisti della vita reale, come la Graham o Ben Bradlee (il caporedattore interpretato da Tom Hanks) che furono, tra l’altro, davvero persone in carne e ossa del nostro tempo, alla stregua di quegli eroi del cinema d’avventura più pura, come quello di fantascienza o dei comics-book, è il vero colpo di genio del regista nato a Cincinnati. Lui conosce bene tutti i codici del cinema, lo abbiamo visto, è il regista di Munich, di Lincoln, ma anche di Indiana Jones e Le avventure di Tintin, e quindi si intende sia di personaggi storici che di eroi della fantasia. 
Nel finale di The Post, dopo la suggestiva veduta sulle finestre della Casa Bianca, mentre risuonano le parole minacciose di Richard Nixon, il Presidente degli Stati Uniti, improvvisamente vediamo una guardia giurata di colore scoprire del nastro adesivo sulla serratura di una porta, e ci troviamo di colpo in un altro film. Lo sviluppo successivo della scena continua ad essere folgorante, e allora non è una suggestione, siamo davvero nel Watergate Hotel in Tutti gli uomini del presidente, il film del 1976 di Alan J. Pakula! Quindi, quello che abbiamo visto in The Post è una sorta di prequel della storia che vide l’impeachment di Nixon, che perciò si può intendere come una rivincita tra il Washington Post e il Presidente malvagio. 
Che, pensando che ci sono anche personaggi in comune tra le due pellicole, come Ben Bradlee che c’era anche nel film di Pakula (interpretato da Jason Robards), fa pensare ad una sorta di saga come Guerre Stellari dei nostri giorni, con Nixon nei panni del Signore Nero e i giornalisti in quelli dei ribelli che combattono per la libertà (di stampa).
Insomma, sembra dirci Spielberg, il cinema ci ha insegnato, con i suoi eroi della finzione, a distinguere il bene e il male.
Ora è tempo di applicare questi concetti alla nostra realtà quotidiana.
E scusate se è poco.


Meryl Streep


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