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sabato 25 agosto 2018

ALL'OVEST NIENTE DI NUOVO

198_ALL'OVEST NIENTE DI NUOVO (All quiet on the Western Front). Stati Uniti 1930;  Regia di Lewis Milestone.

L’importanza di All’ovest niente di nuovo, capolavoro di Lewis Milestone tratto dal romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque, è soprattutto per lo sguardo antimilitarista che pervade l’opera. E questo aspetto assume una valenza superiore se consideriamo che il film venne prodotto nel 1930, quando tutta l’Europa era percorsa da pericolosi moti nazionalisti che, al contrario, vedevano nella Grande Guerra una possibile fonte di spinta verso nuove derive bellicose. Non a caso, nel film, è un professore, un individuo che nella sua professione è incaricato di istruire i giovani, a spronare i suoi studenti all’arruolamento. L’Europa del tempo era una società che insegnava la guerra, si potrebbe quindi dire; e la cosa fa rabbrividire anche oggi. Ma, se è possibile, da un punto di vista strettamente cinematografico, All’ovest niente di nuovo, è addirittura un’opera superiore, per le sue scelte innovative (si tratta di uno dei primi film sonori), per la capacità di orchestrare al meglio le possibilità offerte dalla macchina da presa, per l’uso sapiente del montaggio. Ad esempio, prima dell’assalto francese alle linee tedesche, che è uno dei momenti folgoranti della pellicola, c’è spazio anche per una divertente scenetta dal sapore simbolico: alcuni ratti vengono infatti scovati nella trincea teutonica, e si scatena una battaglia corpo a corpo tra i soldati dell’impero e i roditori.

La scena, oltre a stemperare la tensione della noiosa vita di trincea condotta sotto il martellante suono dei bombardamenti, serve da un lato a preparare lo spettatore, quasi a depistarlo, per l’escalation emotiva del susseguente assalto, mentre denuncia impietosamente lo stato ben poco igienico in cui si trovavano a vivere i soldati. Oltre al citato valore simbolico, in cui la condizione dei soldati è paragonata a quella di volgarissimi ratti, quella coi roditori può essere intesa come una specie di anticipazione; ben più pericoloso sarà lo scontro che di li a poco vedrà i soldati tedeschi impegnati contro quelli francesi.

Ma questa è solo una scenetta interlocutoria, perché è con l’assalto francese, e la successiva controffensiva tedesca, che Milestone sciorina un campionario di alta scuola cinematografica. Carrelli in avanzamento sulle truppe tedesche in attesa, stipate nel solco della trincea, carrelli laterali dall’alto sull’attacco francese, soggettive dalla mitragliatrice che falcia vite umane, carrelli in arretramento ad ammortizzare l’urto degli attaccanti nella postazione germanica, rivelando man mano un’autentica mattanza. L’utilizzo della macchina da presa asseconda ed enfatizza, con i suoi movimenti e la sua posizione di ripresa, in modo sontuoso lo sviluppo delle scene di battaglia mostrato sullo schermo. Esempio lampante, in questo senso, è la ripresa che si sovrappone all’opera della mitragliatrice, ma anche il carrello in arretramento, quasi fosse in ritirata, che scopre man mano i soldati sulla difensiva aggrediti dagli attaccanti.

E poi, con la ritirata francese e il conseguente contrattacco tedesco, di nuovo le stesse scene, solo con protagonisti invertiti, con il costante martellamento dell’artiglieria a distribuire esplosioni in ogni dove. Il tutto orchestrato con un sapiente montaggio alternato tra le varie azioni di guerra che non da alcuno scampo: si muore e si uccide in ogni angolo del campo di battaglia. Il gusto simbolico, tipico dell’epoca, ricompare in altre scene, valga per tutti quella celebre delle mani rimaste aggrappate al filo spinato: espediente forse un po’ datato, ma certamente ancora d’effetto. L’impatto visivo complessivo è devastante e lo spettatore rimane atterrito condividendo, almeno un poco, le sensazione dei soldati; non c’è spazio ne tempo per la retorica classica della guerra, per l’eroismo, per la propaganda, e nemmeno per le questioni su chi abbia ragione o torto nella contesa.

Non a caso il punto di vista scelto è quello tedesco che, nel mondo cosiddetto occidentale, quando ci si riferisce alle guerre è sostanzialmente quello sbagliato.
Ma a Milestone non interessano questi aspetti, quanto l’assurdità della guerra nel suo complesso. Quell’assurdità che ti fa sentire in colpa per aver ucciso un nemico, un uomo che come te condivideva solamente il fatto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
E come l’assurdità di morire per mano di un cecchino, per una piccola distrazione, affascinati per un istante dalla bellezza di una farfalla. Sembra quasi ironica, la cosa, pensando, ad esempio, a quello che diceva Dostoevskij, la bellezza salverà il mondo.
Ma era prima del XX secolo.



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