198_ALL'OVEST NIENTE DI NUOVO (All quiet on the Western Front). Stati Uniti 1930; Regia di Lewis Milestone.
L’importanza di All’ovest
niente di nuovo, capolavoro di Lewis Milestone tratto dal romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale di
Erich Maria Remarque, è soprattutto per lo sguardo antimilitarista che pervade
l’opera. E questo aspetto assume una valenza superiore se consideriamo che il
film venne prodotto nel 1930, quando tutta l’Europa era percorsa da pericolosi
moti nazionalisti che, al contrario, vedevano nella Grande Guerra una possibile
fonte di spinta verso nuove derive bellicose. Non a caso, nel film, è un professore, un
individuo che nella sua professione è incaricato di istruire i giovani, a
spronare i suoi studenti all’arruolamento. L’Europa del tempo era una società
che insegnava la guerra, si potrebbe quindi dire; e la cosa fa rabbrividire
anche oggi. Ma, se è possibile, da un punto di vista strettamente
cinematografico, All’ovest niente di
nuovo, è addirittura un’opera superiore, per le sue scelte innovative (si
tratta di uno dei primi film sonori), per la capacità di orchestrare al meglio le
possibilità offerte dalla macchina da presa, per l’uso sapiente del montaggio. Ad
esempio, prima dell’assalto francese alle linee tedesche, che è uno dei momenti
folgoranti della pellicola, c’è spazio anche per una divertente scenetta dal
sapore simbolico: alcuni ratti vengono infatti scovati nella trincea teutonica,
e si scatena una battaglia corpo a corpo tra i soldati dell’impero e i
roditori.
La scena, oltre a stemperare la tensione della noiosa vita di trincea
condotta sotto il martellante suono dei bombardamenti, serve da un lato a
preparare lo spettatore, quasi a depistarlo, per l’escalation emotiva del susseguente assalto, mentre denuncia
impietosamente lo stato ben poco igienico in cui si trovavano a vivere i soldati.
Oltre al citato valore simbolico, in cui la condizione dei soldati è paragonata
a quella di volgarissimi ratti, quella coi roditori può essere intesa come una
specie di anticipazione; ben più pericoloso sarà lo scontro che di li a poco
vedrà i soldati tedeschi impegnati contro quelli francesi.
Ma questa è solo una
scenetta interlocutoria, perché è con l’assalto francese, e la successiva
controffensiva tedesca, che Milestone sciorina un campionario di alta scuola
cinematografica. Carrelli in avanzamento
sulle truppe tedesche in attesa, stipate nel solco della trincea, carrelli laterali dall’alto sull’attacco francese, soggettive dalla mitragliatrice che falcia vite umane, carrelli in arretramento ad ammortizzare
l’urto degli attaccanti nella postazione germanica, rivelando man mano
un’autentica mattanza. L’utilizzo della macchina da presa asseconda ed
enfatizza, con i suoi movimenti e la sua posizione di ripresa, in modo sontuoso
lo sviluppo delle scene di battaglia mostrato sullo schermo. Esempio lampante,
in questo senso, è la ripresa che si sovrappone all’opera della mitragliatrice,
ma anche il carrello in arretramento, quasi fosse in ritirata, che scopre man mano i soldati sulla difensiva aggrediti
dagli attaccanti.
E poi, con la ritirata francese e il conseguente contrattacco
tedesco, di nuovo le stesse scene, solo con protagonisti invertiti, con il
costante martellamento dell’artiglieria a distribuire esplosioni in ogni dove. Il tutto orchestrato con un sapiente montaggio alternato tra le varie azioni di guerra che non da alcuno scampo: si muore e si uccide in ogni angolo del campo di battaglia. Il gusto
simbolico, tipico dell’epoca, ricompare in altre scene, valga per tutti quella
celebre delle mani rimaste aggrappate al filo spinato: espediente forse un po’
datato, ma certamente ancora d’effetto. L’impatto visivo complessivo è
devastante e lo spettatore rimane atterrito condividendo, almeno un poco, le
sensazione dei soldati; non c’è spazio ne tempo per la retorica classica della
guerra, per l’eroismo, per la propaganda, e nemmeno per le questioni su chi
abbia ragione o torto nella contesa.
Non a caso il punto di vista scelto è
quello tedesco che, nel mondo cosiddetto occidentale, quando ci si riferisce
alle guerre è sostanzialmente quello sbagliato.
Ma a Milestone non interessano questi aspetti, quanto
l’assurdità della guerra nel suo complesso. Quell’assurdità che ti fa sentire
in colpa per aver ucciso un nemico, un uomo che come te condivideva solamente il fatto
di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
E come l’assurdità di morire per mano di un cecchino, per
una piccola distrazione, affascinati per un istante dalla bellezza di una
farfalla. Sembra quasi ironica, la cosa, pensando, ad esempio, a quello che
diceva Dostoevskij, la bellezza salverà
il mondo.
Ma era prima del XX secolo.
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