196_LA RESA DEI CONTI Italia, Spagna 1966; Regia di Sergio Sollima.
Primo western di Sergio Sollima, La resa dei conti dà modo al regista romano di mostrare subito
un’ottima padronanza del tema e, soprattutto, di avere qualcosa di personale da
dire nel merito di una categoria particolarmente in fermento negli anni ’60.
Sergio Leone ha già impresso la svolta italiana al genere, quella che, per via
dell’eccezionale qualità dell’opera, si meriterà una
definizione specifica, gli spaghetti-western;
Sollima è lesto a coglierne le caratteristiche salienti, introducendo però
alcune novità. Rispetto alla trilogia del
dollaro di Leone, in pratica è come se Sollima rinunciasse al protagonista
principale, Clint Eastwood, che in definitiva, pur se con i dovuti distinguo,
interpretava comunque la parte del buono
tipica del western. Per il suo La resa
dei conti eleva poi l’attore Lee Van Cleef a personaggio principale,
cogliendo lo spunto offerto dal secondo film della trilogia leoniana, dove l’attore americano era il
colonnello Douglas Mortimer, un cacciatore di taglie e non il classico cattivo
che aveva invece praticamente sempre interpretato nei western classici, a
partire dal suo esordio in Mezzogiorno di
fuoco. Il rimando al film di Leone, per il personaggio di Jonathan Corbett di La resa dei conti,
è legato sia al ruolo di cacciatore di uomini che ai particolari della rinuncia
alle taglie e alla motivazione dell’inseguimento del rivale messicano: c’è di
mezzo sempre una ragazza stuprata e uccisa, nel film di Leone era la sorella di
Mortimer, in La resa dei conti è solo
una giovinetta al quale Corbett vuole rendere giustizia.
Sollima ridefinisce così
il ruolo di Van Cleef a protagonista principale del western; per capire l’aria
che tira, si consideri che quello che nei western classici era il cattivo, in
questi western dal sapore più realistico (almeno in apparenza) diventa un
personaggio se non positivo, almeno di riferimento. In effetti Corbett, non può
definirsi buono, visto che gli manca
quel physique du role che invece
Clint Eastwood aveva, riuscendo ad essere, in modo naturale, sia nuovo modello
di eroe che anti-eroe.
Ma un lavoro
più personale, Sollima lo compie sul personaggio messicano, che nei film della trilogia che sancisce la nascita
degli spaghetti-western era sempre brutto, sporco e cattivo. Se, sulla
questione igienica, anche Sollima deve fare le sue concessioni, visto che il
western all’italiana è sporco per definizione (e per contrasto alla pulizia del
western classico), sugli altri due aspetti cambia completamente le carte in
tavola. Innanzitutto il suo messicano, Manuel Chucillo Sanchez non è affatto brutto ma ha anzi il bell’aspetto di
Tomàs Miliàn; (certo molto più gradevole dei messicani leoniani, dal Gian Maria Volontè trasandato a Eli Wallace e persino di quel Chucillo già personaggio di Per qualche
dollaro in più, dove ad interpretarlo era Aldo Sambrell).
E, sebbene la
prospettiva iniziale ce lo presenti come un criminale (e in ogni caso ladro e
un po’ farabutto Chucillo lo è) la
storia da’ modo al messicano di mettere in mostra aspetti positivi del
carattere che superano di gran lunga quelli negativi, oltre che alle
giustificazioni politico sociali che lo hanno indotto sulla cattiva strada.
Quest’ultimo aspetto di La resa dei conti
è universalmente riconosciuto come lo sguardo politico e attento alle tematiche
sociali di Sergio Sollima, in questo senso autore di spicco, per originalità e
portata del proprio contributo, al filone degli spaghetti. Tornando al lavoro più prettamente cinematografico, se
Leone aveva tolto l’eroe classico dal cinema western, per sostituirlo con un
anti-eroe e dare così, nel complesso, un’ottica più crepuscolare al genere,
Sollima elimina quindi anche l’anti-eroe dall’aspetto affascinante, lasciando
la ribalta ai presunti cattivi: Van
Cleef è il cattivo del cinema classico, il ‘messicano’
Milian sembra poter incarnare già il cattivo per antonomasia degli spaghetti
western. Ma entrambi vengono rivalutati nel corso del film, per cui, se il
quadro generale rimane fosco, non è certo colpa loro ma dei personaggi come
Brokston, politicante che rappresenta appunto il mondo politico e istituzionale
corrotto. Al netto di queste impostazioni di base, la storia è divertente e ben
condotta, e si lascia seguire come un valido film di intrattenimento.
Sollima
rivela peraltro una solida mano narrativa, attenta ai dettagli e allo sviluppo
complessivo dell’intreccio raccontato. Ed è anche un narratore divertito nel fare il suo lavoro, ad esempio, quando vuol lasciare la posizione di Chucillo ancora equivoca. Il messicano è
sì ricercato per stupro e uccisione di una ragazzina, ma è presto evidente che
gode della luce favorevole del regista; in ogni caso ad un certo punto si apparta
per prendere l’acqua ad un fiume con una giovinetta appartenente ad una
carovana di mormoni di cui si è improvvisato guida. Visto l’accusa che pende
sul suo capo, la situazione sembra un’ulteriore conferma della sua
colpevolezza. Il tono della scena è però stranamente leggero, con Chucillo che si getta nelle acque del
fiume ed invita a fare altrettanto la giovine con frasi tipo “vieni a vedere i pesciolini” oppure “vieni, qui si tocca”, plausibili nel
contesto ma chiaramente interpretabili come adescamenti simpaticamente volgari.
Lo sviluppo della storia spiegherà poi anche a livello narrativo il passaggio,
non essendo il messicano colpevole del reato in questione.
Insomma, il film può essere visto come un piacevole
divertimento, anche se già i titoli di testa fortemente stilizzati, lasciano
intendere la volontà, da parte dell’autore, di utilizzare gli scenari e
l’ambientazione western in modo simbolico: la rappresentazione orchestrata da
Sollima, con le rivendicazioni finali di Chucillo,
può quindi essere un fedele specchio della situazione dei disadattati della
società contemporanea e segna un nuovo passaggio nella storia del genere.
La politica militante, intesa
come lotta sociale, ha fatto il suo ingresso nel west.
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