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mercoledì 13 dicembre 2017

GIORNO MALEDETTO

60_GIORNO MALEDETTO (Bad day at Black Rock) Stati Uniti, 1955;  Regia di John Sturges.

Un moderno treno procede a tutta velocità nelle steppe desertiche del sudovest americano: già questi pochissimi fotogrammi che precedono e accompagnano i titoli di testa, ci forniscono gli elementi chiave della storia narrata nel magnifico Giorno maledetto del grande regista John Sturges. Il treno sfreccia velocissimo, è un espresso, un convoglio che non si concede abitualmente molte soste. Nella prima inquadratura lo si vede di lato, per intero, un lungo missile che corre sui binari, ma poi la mdp si piazza davanti alla locomotrice, e si alza appena prima dell’ipotetico scontro; a questo punto compare il nome dell’attore protagonista, a lettere cubitali: Spencer Tracy. Sarà lui, o meglio il suo personaggio, John Macreedy, a far deflagrare al pari dell’arrivo di un treno in corsa, l’intera comunità di Black Rock, la pidocchiosa pseudocittadina luogo della storia che va ad incominciare. Ma le immagini di questo incipit, con il treno espresso e il paesaggio del southwest, sono significative anche perché mettono insieme elementi dei due generi del cinema classico per eccellenza, che raramente vengono mischiati. Quando l’uomo elegantemente vestito di scuro e col cappello, scende dal moderno treno, sembra infatti uscire da un noir; ma si ritrova in uno sparuto villaggio rimasto all’epoca del far west. La sequenza dei titoli di testa è inoltre sostenuta da una musica incalzante, ed è un altro indizio di quello che sarà il ritmo della vicenda: sebbene a livello di intreccio narrativo in realtà accada ben poco, l’unità di tempo e di luogo conferiscono alla storia un clima che non permette distrazioni.


Il tempo della narrazione è compresso in sole 24 ore, e Black Rock è costituito da una manciata di baracche: non ci sono chissà quali intrighi, solo il classico ottuso paesucolo redneck, casualmente situato più a ovest del solito, che smentisce con la propria indole la mitologia western.
Se l’epopea del far west, aveva infatti rappresentato l’inaugurazione di una nuova frontiera, una ricerca della terra promessa e quindi un moto, almeno concettualmente, di apertura verso nuovi orizzonti, gli abitanti di Black Rock sono chiusi su se stessi e vanno in agitazione al solo fatto che eccezionalmente il treno si fermi alla loro stazione. Il male seppellito ma non per questo eliminato regna nella misera comunità che, in questo senso, può ricordare i quartieri malfamati di una metropoli, dove tutti sono succubi del rispettabile boss malavitoso locale, in questo caso lo straordinario Robert Ryan nei panni di Mister Smith. Alle sue dipendenze un parterre de roi di attori tra i quali spiccano Ernest Borgnine e Lee Marvin, mentre Walter Brennan interpreta  Doc Velie, l’unico personaggio che ha mantenuto un minimo di vena critica nei confronti di Smith.
C’è anche la componente femminile, e da un punto di vista estetico di sicuro effetto, affidata alla bellissima Anne Francis, che però nel film non incide affatto, risultando una, per quanto piacevole a vedersi, mera comparsa. Ma, del resto, la donna al cinema, in genere, rappresenta la vita, la speranza; in questo senso funzionava anche la femme fatale tipica dei noir, che raffigurava, per contrasto, la mancanza di fiducia nel futuro. Giorno Maledetto non è un noir degli anni 40: il film è del 1955, e la vicenda è ambientata un paio di mesi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo scopo dell’arrivo di Macreedy a Black Rock è la visita a Komoko, il cui figlio gli aveva salvato la vita durante la campagna d’Italia. E’ un dovere morale, visto che il suo compagno d’armi, un nisei (americano figlio di giapponesi), ha ricevuto una medaglia al valore proprio perdendo la vita salvandola allo stesso Macreedy: quella medaglia che adesso andava consegnata a Komoko in ricordo del figlio, segno di gratitudine da parte dello stesso Macreedy e dell’intera America.


Non c’è quindi una prospettiva verso il futuro già nel senso originale che da’ il via alla vicenda: in effetti Macreedy si presenta vestito con un completo nero, come andasse ad un funerale. Ma, con un andamento della vicenda tipicamente noir, le cose volgono rapidamente al peggio, e la celebrazione morale dell’eroismo di uno dei suoi valorosi figli caduto in battaglia, si trasforma nello scoperchiamento delle peggiori indoli dell’America. Dopo Pearl Harbour, Komoko era stato ucciso per una sorta di rappresaglia, da Smith e dai suoi scagnozzi in quanto di origine giapponese, ed era stato poi vergognosamente sotterrato senza nemmeno una lapide o un segno che lo ricordasse; nascosto, seppellito, insieme alla coscienza nera dell’intera Black Rock e forse non solo.
 Ecco, nell’economia del racconto, il motivo per cui è passato poco tempo dalla fine della guerra: questa storia serve a far tornare l’intera America indietro nel tempo, perché troppo spesso i Komoko sparsi per il paese, sono stati ingiustamente perseguitati e, in seguito, si è preferito, trovandolo opportunisticamente più comodo, ignorare la cosa.
Nel finale, Doc Velie reclama a nome della collettività la medaglia al valore del figlio di Komoko, che in effetti è al tempo stesso uno dei figli della comunità di Black Rock, e quindi è anche legittimo che l’onorificenza  rimanga nel paesino; sarebbe un primo passo per ricominciare.
Più che comprensibilmente, Macreedy non è mica tanto convinto che quel paese di debosciati meriti quella medaglia, ma Velie insiste, può essere l’ultima possibilità di riscatto per Black Rock.
Per quanto vana, giusto concedergliela.



Anne Francis



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