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lunedì 25 dicembre 2017

STAR WARS: GLI ULTIMI JEDI

72_STAR WARS: GLI ULTIMI JEDI (Star Wars: The Last Jedi) Stati Uniti  2017;  Regia di Rian Johnson.

Se nell’episodio VII di Star Wars se ne erano già intuite le potenzialità (per altro seppellite da una marea di critiche da parte del pubblico), in questo nuovo capitolo della saga, Kylo Ren (Adam Driver) si prende giustamente la ribalta. E’ un nemico e un personaggio sopraffino, il cattivo della trilogia-sequel di Guerre Stellari. Non è il classico personaggio negativo che si usa vedere, ahimè, troppo spesso al cinema oggi: non è cattivo per definizione, per nascita o per dinastia. No, Kylo Ren al suo status ci arriva con un travaglio doloroso, faticoso, forse più duro di quello necessario a quegli eroi che compiono il classico percorso di formazione. Kylo Ren è il cattivo che ci ricorda quanto è sottile il confine tra una scelta giusta e una sbagliata, ma soprattutto che ci mostra come anche i cattivi abbiano dubbi, tentennamenti, insomma, siano esattamente come noi. Cosa differenza Kylo Ren dalla anch’essa valida nuova eroina di Star Wars, Rey (Daisy Ridley)? Il paragone è esplicitamente indotto nella scena del confronto/scontro tra i due, e la loro somiglianza è rimarcata insistentemente dalla lacrima sulla guancia di Rey, che va a replicare la cicatrice di Ren. Ma seppur simili, poi, per un qualche motivo uno volge al male e l’altra al bene, e cosa c’è quindi all’origine di questa differente evoluzione? Superficialmente potremmo dire la bellezza, che salta subito all’occhio, e seppur sarebbe una risposta banale (ma comunque suggerita nel film), va riconosciuto che non deve essere facile andare in giro con una faccia come quella del ragazzo. Ma forse l’essere tradito dal proprio maestro potrebbe essere una buona e più seria motivazione; o magari è solo questione di indole.

In ogni caso, lodevole la scelta di lasciare un po’ indefinita la motivazione che spinge il nostro a compiere la sua scelta. Così come è eccellente l’idea di rivelare, al contrario, l’origine umile e fuori dalle dinastie classiche della saga (i Solo o gli Skywalker) di Rey, almeno fino a future smentite. Finalmente un’eroina che non è nobile ma viene dal volgo: e già solo questa scelta democratica degli autori, rende Rey una dei personaggi più interessanti dell’intera saga; in ogni caso Daisy Ridley in questo suo secondo episodio tiene botta in modo egregio. Detto dei due validissimi protagonisti, possiamo volgere l’attenzione a Stars Wars:Gli ultimi Jedi in ottica generale: pur se forse eccessivamente lungo (critica che per definizione è illegittima, è vero, ma qui si poteva sforbiciare qualche battaglia), il film è un buono spettacolo, divertente e costruito ad arte.

Se Il risveglio della Forza era una sorta di riedizione del primo storico episodio, Gli ultimi Jedi rifà così un po’ il verso a L’Impero colpisce ancora, con Kylo Ren che, appunto, assurge, alla sua maniera, al ruolo che fu di Darth Vader. Dal punto di vista estetico il film è di livello sopraffino, sia nelle scelte che fanno ricorso alla tecnologia dei più recenti effetti speciali, sia per alcune intuizioni di pura genialità, come la minimalista sala del trono del Leader Supremo Snoke (un irriconoscibile Andy Serkis), completamente immersa in un fondale di luce rossa.

Il film è dominato da un’estrema attenzione a particolari di differente natura: certo, si cerca di accontentare sia i nuovi che soprattutto i vecchi fan, con omaggi nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi. Ma si usa anche un eccessivo rispetto del politicamente corretto: se i riferimenti allo sfruttamento degli animali o alle lobby delle armi sono prevedibilmente di matrice Disney, più inconsueti sono quelli ai sentimenti populisti e qualunquisti incarnati nel film da DJ (Benicio del Toro).


Un altro dei punti deboli dell’operazione è il continuo ricorso alla ironia o alle soluzioni farsesche, perché rischiano di far crollare l’intera architettura della vicenda. Di base una certa instabilità nella struttura di tutti i Guerre Stellari esiste già: com’è possibile che l’Impero o il Primo Ordine fatichino a spazzare via quei quattro scalcinati ribelli? 
Già la distruzione della prima mitica Morte Nera nel film del 1977 avrebbe dovuto far sorridere, ma George Lucas fu molto bravo a convincerci prima che una Stazione Spaziale da Combattimento potesse distruggere un pianeta; e poi, pur essendo a sua volta grande come un satellite, potesse essa stessa venir distrutta da un semplice Caccia Spaziale. Potenza della forza narrativa del cinema, certo. Ma l’inghippo di base rimane comunque, ed è comune a tutti gli episodi di Star Wars: il mostrare contemporaneamente la potenza del Primo Ordine e la sua goffa incapacità di chiudere il conto, è un terreno scivoloso e se poi si propone come eroe quasi risolutivo il pur simpatico BB-8 (il piccolo droide che sembra una palla) e si eccede nelle scenette comiche (che sono certamente utili a stemperare l’adrenalina delle battaglie), il risultato finale può anche essere che la simpatia dello spettatore passi per i cattivi, che sembrano la versione spaziale di Wile E. Coyote o Dick Dastardly.
E allora, lunga vita al Primo Ordine! (lol)












Daisy Ridley







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