1695_IL PRIMO PIANO SI CHIAMA IRENE , Italia 1969. Regia di Renzo Ragazzi
Se in Svezia inferno e paradiso Scattini
osservava esplicitamente, già nel titolo, come la celebrata Svezia non fosse
solo un «paradiso» ma anche un «inferno», Renzo Ragazzi non si discostò poi
molto, almeno nella scelta del titolo. Il primo premio si chiama Irene
fa riferimento alla protagonista di una sola parte del film: protagonista era Irene
Grunschwitz, un’infermiera che aveva accettato da fare «ricompensa»
per il vincitore di una particolare lotteria. Per quanto la notizia possa anche
essere stata vera e singolare, nell’enfatizzazione dell’evento rispetto ad un
documentario che abbraccia tutta quanto la vita sociale danese, si può leggere
un po’ del moralismo che, ogni tanto, riecheggia nel commento. In alcuni casi,
per la verità, non si può che convenire con le critiche alla freddezza
tipicamente nordica che spedisce gli anziani nelle case di riposo senza troppi
convenevoli. Anche il tema dell’infanzia nei cosiddetti collettivi famigliari è
un argomento su cui le perplessità manifestate dal film di Ragazzi sono
condivisibili, e, seppure la «voce over» in quei frangenti possa sembrare
bigotta, anche il tema della pornografia lasciata in bella mostra ai minori è
un percorso scivoloso. Tuttavia, questi temi, come del resto la vocazione
nudista dei danesi e, soprattutto, delle danesi, oppure le unioni omossessuali,
seppur occupino uno spazio considerevole nel film di Ragazzi, non scadono mai
nel tipico sensazionalismo dei Sexy mondo. Tant’è che se non fosse per la
generale impostazione, per un’attenzione un po’ morbosa all’argomento sessuale e
per la contingenza con gli altri Mondo movie focalizzati sui paesi
culturalmente evoluti, si potrebbe anche lasciare Il primo premio si chiama
Irene fuori dal genere in oggetto di questo studio. Alcuni passaggi, come
la rievocazione moderna dell’Amleto di William Shakespeare, sono
affascinanti, così come le osservazioni su come lo scrittore inglese abbia
scelto con grande acume di ambientare proprio a Copenaghen quella sua tragedia.
Interessante è anche il passaggio sulla figura triste della Sirenetta, che per
incontrare il principe di cui è innamorata perse la voce, e in generale Hans
Christian Andersen, citato in un paio di occasioni, offre buoni spunti. Non
sono certo analisi approfondite, ma questo non è richiesto ad un documentario
generico e divulgativo: tuttavia alcuni dettagli sono segnalati in modo
opportuno, ad esempio il mutismo della povera Sirenetta che non potrà
dichiarare il suo amore al principe, a rappresentare una certa «chiusura» del
popolo danese. Il quadro generale, poi, non è affatto negativo: c’è una certa
difficoltà, da parte di un autore latino come Ragazzi, ad accettare alcuni
comportamenti tipici dei popoli nordeuropei, e questo è naturale. A questo
aspetto va aggiunta l’insistenza sui temi piccanti da parte del regista che va
in risonanza con l’eccessiva disinvoltura su argomenti delicati degli
scandinavi. Il tutto va poi condito con la spropositata fiducia nel progresso e
la solerte attività regolamentatrice del popolo danese. Tutti questi elementi
concorrono a creare un clima non troppo entusiastico nei confronti della
Danimarca, di cui pure, in numerosi passaggi, vengono ribaditi i meriti civili
e sociali. Ma per un italiano di fine anni Sessanta, la famiglia, rimaneva
sempre la famiglia e i figli ne erano il cemento: l’interessante chiusa, con
protagonista la cicogna, è la conferma di quest’impressione. “Un tempo le
cicogne erano il simbolo della Danimarca. L’uccello migratore che veniva dai
lontani paesi del sud, simboleggiava l’ansia d’infinito dei danesi, ma è anche
l’emblema della fecondità, della quieta serenità di un popolo di agricoltori.
Le cicogne venivano chiamate confidenzialmente col nome di Peter, facevano
parte della vita quotidiana, del folklore. Andersen le aveva scelte come
protagoniste di molte favole. In Danimarca le cicogne si sono fatte ormai molto
rare; evidentemente, non è più tempo di favole. Perché in Danimarca le cicogne
sono quasi completamente scomparse? abbiamo domandato. E ci hanno risposto:
perché le nostre donne, prendono ormai tutte la pillola”.
Una battuta con cui Ragazzi poteva anche chiudere la sua indagine sul paese
scandinavo ma, in realtà, lo sguardo del cineasta, pur se rivolto a nord, era
più introspettivo di quel che si potrebbe pensare. Il commento continuava così:
“Proprio perché le cicogne sono ormai rarissime, con precisione tipicamente
danese, il Parlamento, nel 1960 ha votato una legge in base alla quale il nuovo
uccello che simboleggia la Danimarca è ora l’allodola, l’uccello solitario, dal
canto colmo d’angoscia, l’uccello che annuncia il mattino. Il mattino di un
mondo nuovo: la società danese, la società scandinava. Ma sarà il mattino di un
mondo nuovo anche per noi, che siamo tanto diversi dagli scandinavi? Forse, le
allodole danesi, cantano anche per noi”.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
Nessun commento:
Posta un commento