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mercoledì 9 luglio 2025

IL PRIMO PREMIO SI CHIAMA IRENE

1695_IL PRIMO PIANO SI CHIAMA IRENE , Italia 1969. Regia di Renzo Ragazzi 

Se in Svezia inferno e paradiso Scattini osservava esplicitamente, già nel titolo, come la celebrata Svezia non fosse solo un «paradiso» ma anche un «inferno», Renzo Ragazzi non si discostò poi molto, almeno nella scelta del titolo. Il primo premio si chiama Irene fa riferimento alla protagonista di una sola parte del film: protagonista era Irene Grunschwitz, un’infermiera che aveva accettato da fare «ricompensa» per il vincitore di una particolare lotteria. Per quanto la notizia possa anche essere stata vera e singolare, nell’enfatizzazione dell’evento rispetto ad un documentario che abbraccia tutta quanto la vita sociale danese, si può leggere un po’ del moralismo che, ogni tanto, riecheggia nel commento. In alcuni casi, per la verità, non si può che convenire con le critiche alla freddezza tipicamente nordica che spedisce gli anziani nelle case di riposo senza troppi convenevoli. Anche il tema dell’infanzia nei cosiddetti collettivi famigliari è un argomento su cui le perplessità manifestate dal film di Ragazzi sono condivisibili, e, seppure la «voce over» in quei frangenti possa sembrare bigotta, anche il tema della pornografia lasciata in bella mostra ai minori è un percorso scivoloso. Tuttavia, questi temi, come del resto la vocazione nudista dei danesi e, soprattutto, delle danesi, oppure le unioni omossessuali, seppur occupino uno spazio considerevole nel film di Ragazzi, non scadono mai nel tipico sensazionalismo dei Sexy mondo. Tant’è che se non fosse per la generale impostazione, per un’attenzione un po’ morbosa all’argomento sessuale e per la contingenza con gli altri Mondo movie focalizzati sui paesi culturalmente evoluti, si potrebbe anche lasciare Il primo premio si chiama Irene fuori dal genere in oggetto di questo studio. Alcuni passaggi, come la rievocazione moderna dell’Amleto di William Shakespeare, sono affascinanti, così come le osservazioni su come lo scrittore inglese abbia scelto con grande acume di ambientare proprio a Copenaghen quella sua tragedia. Interessante è anche il passaggio sulla figura triste della Sirenetta, che per incontrare il principe di cui è innamorata perse la voce, e in generale Hans Christian Andersen, citato in un paio di occasioni, offre buoni spunti. Non sono certo analisi approfondite, ma questo non è richiesto ad un documentario generico e divulgativo: tuttavia alcuni dettagli sono segnalati in modo opportuno, ad esempio il mutismo della povera Sirenetta che non potrà dichiarare il suo amore al principe, a rappresentare una certa «chiusura» del popolo danese. Il quadro generale, poi, non è affatto negativo: c’è una certa difficoltà, da parte di un autore latino come Ragazzi, ad accettare alcuni comportamenti tipici dei popoli nordeuropei, e questo è naturale. A questo aspetto va aggiunta l’insistenza sui temi piccanti da parte del regista che va in risonanza con l’eccessiva disinvoltura su argomenti delicati degli scandinavi. Il tutto va poi condito con la spropositata fiducia nel progresso e la solerte attività regolamentatrice del popolo danese. Tutti questi elementi concorrono a creare un clima non troppo entusiastico nei confronti della Danimarca, di cui pure, in numerosi passaggi, vengono ribaditi i meriti civili e sociali. Ma per un italiano di fine anni Sessanta, la famiglia, rimaneva sempre la famiglia e i figli ne erano il cemento: l’interessante chiusa, con protagonista la cicogna, è la conferma di quest’impressione. “Un tempo le cicogne erano il simbolo della Danimarca. L’uccello migratore che veniva dai lontani paesi del sud, simboleggiava l’ansia d’infinito dei danesi, ma è anche l’emblema della fecondità, della quieta serenità di un popolo di agricoltori. Le cicogne venivano chiamate confidenzialmente col nome di Peter, facevano parte della vita quotidiana, del folklore. Andersen le aveva scelte come protagoniste di molte favole. In Danimarca le cicogne si sono fatte ormai molto rare; evidentemente, non è più tempo di favole. Perché in Danimarca le cicogne sono quasi completamente scomparse? abbiamo domandato. E ci hanno risposto: perché le nostre donne, prendono ormai tutte la pillola”.
Una battuta con cui Ragazzi poteva anche chiudere la sua indagine sul paese scandinavo ma, in realtà, lo sguardo del cineasta, pur se rivolto a nord, era più introspettivo di quel che si potrebbe pensare. Il commento continuava così: “Proprio perché le cicogne sono ormai rarissime, con precisione tipicamente danese, il Parlamento, nel 1960 ha votato una legge in base alla quale il nuovo uccello che simboleggia la Danimarca è ora l’allodola, l’uccello solitario, dal canto colmo d’angoscia, l’uccello che annuncia il mattino. Il mattino di un mondo nuovo: la società danese, la società scandinava. Ma sarà il mattino di un mondo nuovo anche per noi, che siamo tanto diversi dagli scandinavi? Forse, le allodole danesi, cantano anche per noi”.    

           

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