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domenica 17 dicembre 2017

BLADE RUNNER 2049

64_BLADE RUNNER 2049 Stati Uniti, 2017;  Regia di Denis Villeneuve 

Quando dopo 35 anni si decide di scomodare un film che ha fatto epoca come Blade Runner di Ridley Scott, la prima domanda che tendenzialmente può saltare in testa è se fosse il caso. E dunque: era davvero il caso di prendersi il rischio di confrontarsi con il film che ha consacrato sullo schermo tutto un immaginario fantascientifico, e che pare abbia avuto di suo già sette versioni differenti? Stando all’impostazione di questo nuovo Blade Runner 2049, sembrerebbe di si; perché quello che ci fa osservare il regista Dennis Villeneuve, è che la realtà odierna è andata assomigliando un po’ troppo a quello previsto dal film del 1982. E quindi Blade Runner 2049 diventa un’opera che nel suo cuore ci racconta di noi, mentre per certi criteri estetici (ma neanche troppo) riprende gli elementi del film di Ridley Scott; verso il quale ha certamente un rispetto maggiore per i dettagli narrativi. E su questi pochi punti vanno fatte già alcune precisazioni. La prima riguarda il fatto che se nella realtà di oggi ci si sia pericolosamente avvicinati ad alcuni temi di Blade Runner, lo si è fatto in modo opposto a quanto previsto nel film di Scott. Se in quell’opera si supponeva che l’intelligenza artificiale potesse arrivare a competere se non eguagliare quella umana, oggi è successo un po’ il contrario: l’uomo non si relaziona più tanto con altri esseri umani, ma preferisce farlo con forme artificiali. Forse i social network o le chat, hanno particolare appeal perché quelle che vi sono rappresentate sono figure ideali e non coerenti con la realtà. I profili individuali non sono che avatar più o meno indipendenti dalle persone che li gestiscono, e raramente c’è grande attinenza tra realtà e quanto mostrato nella rete.
E in questo modo è più semplice trovarsi d’accordo e non avere contrasti, perché manca la controprova della pratica. In ogni caso, al di là delle motivazioni sociologiche, è un fatto evidente che oggi ci si relazioni molto spesso con figure virtuali, che di fatto non sono persone in carne e ossa. In un certo senso é quindi l’uomo ad essere regredito a livello della macchina, e non tanto il contrario. Questo spunto è colto da Villeneuve che introduce una nuova forma di vita artificiale, quella virtuale, in grado di sostituire in quasi tutto e per tutto la compagnia di una vita umana. Idea per altro non certo originale, visto che anche nella quotidianità di tutti i giorni si hanno già figure virtuali tutto sommato abbastanza simili: la voce del navigatore, l’assistente sul computer o quello sullo smartphone.
L’altro aspetto rilevante nell’opera di Villeneuve è che il suo film ha un approccio molto più narrativo, quando il modello originale a livello di trama era piuttosto scarno e si basava più su alcuni dilemmi etici e su un’iconografia ammaliante che fece davvero scuola.
Anche se è doveroso segnalare il notevole lavoro sulla fotografia di Roger Deakins, in Blade Runner 2049 la componente narrativa è corposa, c’è un bel giallo, e il protagonista, il bravissimo Ryan Golsyn, è l’agente K, un replicante cacciatore di androidi alla ricerca di quei vecchi modelli nexus ancora in circolazione. I nexus sono replicanti a cui troppo spesso viene la tentazione di sentirsi umani; l’agente K invece non ha di queste leggerezze, e compie con grande diligenza il proprio dovere.
E fin qui l’impostazione della vicenda sembra molto simile al film del 1982, pur con i giusti distinguo che poi si sviluppano in modo praticamente speculare: nel vecchio Blade Runner, Deckard (Harrison Ford, sulla scena anche nel film di Villeneuve), il cacciatore di androidi, era umano e il dubbio era che potesse essere un replicante; in questo caso l’agente K è un replicante, e il dubbio è che possa essere nato (proprio dall’unione tra Deckard e Rachael, protagonisti nel primo film) e non creato in laboratorio. In pratica un’opzione simile, ma di senso opposto.
Il momento chiave del film è un ricordo, che è in pratica l’unico ricordo vero, non inventato, della storia; è l’agente K che ne certifica l’autenticità, trovandone il riscontro nella realtà: il cavallino di legno, nel luogo esatto, con la data esatta. Perché nel mare delle finzioni virtuali è difficile capire cosa sia reale e cosa no; anche perché la realtà è trattata allo stesso modo della finzione, e infatti il tenente Joshi (una statuaria Robin Wright) commenta subito con un mi piace quando l’agente K condivide con lei il ricordo in questione.
Ma, anche quando fossero veri, quei pochi ricordi reali, nella collettiva sharemania, potrebbero comunque esserci estranei tanto quanto un ricordo fasullo; potrebbero infatti appartenere a qualcun altro che li ha solo condivisi con noi.
Sempre in una sorta di gioco di specchi tra i due Blade Runner, se Deckard nel confronto con Roy Batty poteva avere qualche dubbio sulla propria natura, l’agente K si illude di avere un’identità aggrappandosi ad un ricordo che non è suo.
Dai timori di un dubbio, alla desolazione lasciata da una vana illusione: è dunque questo il percorso che abbiamo fatto dagli anni 80 ad oggi?



Silvia Hoeks




Robin Wright


Mackenzie Davis



Ana de Armas & Mackenzie Davis


Ana de Armas





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