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domenica 3 dicembre 2017

IL SETTIMO SIGILLO

50_IL SETTIMO SIGILLO. (Der sjunde inseglet) Svezia, 1957;  Regia di Ingmar Bergman.

 Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman è giustamente ritenuto un film immortale. Ma non certo perché nella celebre partita a scacchi che vi è rappresentata, la Morte possa venire, se non battuta, almeno temporaneamente distratta dal cavaliere Antonius Block (nell’opera, un Max von Sydow impeccabile). No, la Morte, che nel film ha le sembianze dell’attore Bengt Elkerot, non si può ne’ sconfiggere e purtroppo nemmeno ingannare e Bergman naturalmente lo sa bene; anche se la famiglia di saltimbanchi alla fine è risparmiata e forse la loro salvezza è simbolicamente il punto messo a segno dal cavaliere nella partita. In sostanza Il Settimo Sigillo mette in scena riflessioni che accompagnano da sempre la condizione umana, (il senso della vita, l’esistenza di Dio) e che diventano stringenti nel momento in cui ci si trovi faccia a faccia con l’oscura mietitrice. E il riferimento del titolo vuole generalizzare il problema a tutta l’umanità, visto che quando fosse rotto anche l’ultimo sigillo, il settimo appunto, ci si troverebbe di fronte all'Apocalisse. Ecco, tanta importanza, tanta solennità è certamente resa nel film di Bergman dalle scene iniziali, ad esempio quelle dell’aquila che volteggia immobile in un accecante cielo, o in alcuni momenti che illustrano tipici scenari medioevali attraversati dal cavaliere e dal fido scudiero Jons (Gunnar Bjorstrand), come il passaggio dei penitenti.
 Ma nel complesso, Il Settimo Sigillo è un film formalmente semplice, povero, e, a dirla tutta, anche leggero. Ma da questa povertà della messa in scena, Bergman riesce a trarne il senso non solo del film, ma anche delle esistenziali domande su cui l’opera stessa si poggia. Già, perché il regista svedese è autore ed artista di rango troppo elevato per pretendere di conoscere simili risposte; la sua grandezza sta’ piuttosto nel trovare gli spunti giusti di riflessione quando ci si accosta a simili tematiche. E allora un film spoglio, semplice, in un bianco e nero scintillante come una scacchiera, trova uno dei suoi momenti topici, ad esempio, nell’intimità della scena del latte e delle fragole, offerte al cavaliere dai viandanti.
 E proprio la leggerezza della vita della famiglia di saltimbanchi, Jof (Nils Poppe), la moglie Mia (Bibi Andersson) e il figlioletto, apre gli occhi al cavaliere Block che, paradossalmente, trova in questi scampoli di vita (il tempo di una partita a scacchi con la Morte) e in un breve viaggio nella campagna svedese, quelle risposte che non aveva trovato nella lunghissima e drammatica Crociata in Terra Santa.
Forse, alla fine del suo viaggio, il cavaliere non ha trovato Dio; 
in compenso, ha trovato l’uomo.    








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