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martedì 19 dicembre 2017

DUELLO SULLA SIERRA MADRE

66_DUELLO SULLA SIERRA MADRE (Second Chance). Stati Uniti, 1953;  Regia di Rudolph Maté

Esperto direttore della fotografia, (ha lavorato con grandissimi maestri, da Fritz Lang a Hitchcock, a Lubitsch, a Dreyer e a molti altri ancora), il polacco Rudolph Maté una volta emigrato ad Hollywood è divenuto regista. Curiosamente, questo suo Duello sulla Sierra Madre si vanta di avere il sistema di proiezione tridimensionale che, se spettacolarizza alcune sequenze, in generale penalizza un poco la qualità delle immagini. Ma del resto il film è una sorta di noir esotico, sottogenere comunque comune a classici come Casablanca, Acque del Sud o Macao, che però è innegabilmente una definizione che ben caratterizza la contraddizione di fondo di questo lungometraggio. La storia di questo Duello sulla Sierra Madre è ambientata a San Cristobal, una città di un imprecisato paese latinoamericano, che per altro assomiglia moltissimo al Messico; e del resto la più nota Sierra Madre (citata nella edizione italiana anche nel titolo) lì vi si trova. E quella della mancata collocazione geografica è una sorta di incoerenza che fa il paio con i gangster (characters tipicamente metropolitani) che si muovono in un ambientazione tropicale dove la natura è al suo massimo splendore. Ma se quest’ultima contrapposizione funziona benissimo (forse proprio per contrasto), la scarsa precisione nei dettagli geografici un po’ infastidisce, perché viene concesso molto spazio ai luoghi e alle usanze locali, ma poi non è dato sapere se appartengono ad una specifica realtà o se sono unicamente un pastiche narrativo buono per intrattenere il pubblico. 


Nonostante questa premessa, il film è nel complesso valido, ottimamente recitato da tre attori di grido: Robert Mitchum è il buono, Linda Darnell la bella e Jack Palance il cattivo
Maté ci porta un po’ in giro per l’esotico paesino, tra un inseguimento a piedi nel mercato, un incontro di boxe, un altro match ma stavolta galante fino ad una gita in funivia, e sembra in effetti tirarla un po’ per le lunghe. Poi avviene la svolta e, quando i nostri rimangono sospesi nel vuoto con la cabina della funivia in avaria, la tensione sale notevolmente. In questa fase il regista di origine polacca dimostra di conoscere benissimo questo registro narrativo, e riesce sapientemente a dosare la suspense con lievi tocchi di umorismo che rendono tutta la parte finale elettrizzante ma al tempo stesso divertente.
Lieto fine prevedibile ma comunque meritato per la coppia Mitchum/Darnell; Palance vola invece nel baratro, ma rimane comunque un grandissimo.      



 





 Linda Darnell






    

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