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martedì 3 ottobre 2023

LA TIGRE DEL MARE

1368_LA TIGRE DEL MARE (Thunder afloat). Stati Uniti, 1939; Regia di George B. Seitz.

C’è una sorta di sfasamento temporale che si percepisce guardando La tigre del mare di George B. Seitz: il film è ambientato durante la Grande Guerra ma per della vivace dinamicità della storia si potrebbe pensare che siamo nel conflitto mondiale successivo. Per altro la vicenda ha luogo sulla costa orientale degli Stati Uniti e questo fatto, visto che l’anno di realizzazione del film è il 1939, toglie subito ogni eventuale dubbio: a quel tempo gli americani non si erano ancora aggregati alla Seconda Guerra Mondiale e quindi la storia raccontata non poteva farvi riferimento. La vicenda, seppure poi dia i necessari elementi per inquadrarla grosso modo correttamente (ad esempio lo storico affondamento della USS San Diego, un incrociatore americano, avvenuto durante la Grande Guerra) sul momento, come detto, lascia qualche perplessità sull’epoca di ambientazione, soprattutto osservando le caratteristiche comportamentali e d’abbigliamento di una pimpante Virginia Grey (no, non è lei la tigre del mare del titolo italiano, semmai ne è la figlia) nei panni di Susan. Il padre della ragazza è John Thorson (Wallace Beery), vecchio e bizzoso proprietario di un rimorchiatore in una baia del New England, in perenne rivalità con il più giovane e avveduto capitano Rocky Blake (Chester Morris). Tra i due uomini è contrapposizione accesa e non mancano i colpi bassi: Thorson accusa Rocky di avergli sabotato il rimorchiatore e, per vendicarsi, induce il rivale ad arruolarsi in marina. Quando il perfido capitano dell’U Boot (Carl Esmond), sommergibile tedesco che ha l’incarico di perlustrare la cosa orientale americana, gli affonda il rimorchiatore, Thorson si fionda all’ufficio di arruolamento dove gli viene assegnato il grado di guardiamarina alla guida di un cacciatorpediniere della flotta comandata proprio da Blake. Già quest’ultimo fatto fa inalberare non poco il focoso marinaio ma sarà durante le operazioni di caccia all’U-Boot che Thorson darà il meglio di sé: pur essendo l’unico, tra i cacciatorpediniere, ad intuire dove possa essersi rintanato il sommergibile nemico, alla fine si lascia ingannare come un pivello e assiste impotente all’affondamento di una nave-faro da parte del nemico. L’insubordinazione per aver abbandonato la formazione costa il posto a Thorson che viene degradato a ruolo di semplice marinaio. 

A quel punto il vecchio vorrebbe pure disertare ma Blake, anche perché Susan si produce in un’efficace opera di persuasione, lo convince a non ficcarsi in guai anche peggiori di fare il marinaio semplice su una Q-Ship, una nave-esca. Questa è infatti la nuova strategia della marina americana, (che si accoda in questo senso alla Royal Navy britannica): utilizzare piccole e apparentemente innocue imbarcazioni (in genere dotate di un armamento camuffato) per adescare i sommergibili per poter avvisare via radio i cacciatorpediniere alleati e richiederne l’intervento. Gli U-Boot, infatti, non avevano una grossa disponibilità di siluri, molto costosi e quindi tenuti per gli affondamenti più impegnativi, e così, quando la loro preda era di cabotaggio e pericolosità limitata, preferivano emergere e affrontarla con l’armamento disposto sul ponte dello scafo. 

Questo fatto però, e questa era la chiave della trappola insita nelle Q-Ship, rendeva il sommergibile vulnerabile. Questi aspetti, che sembrano argomenti di natura prettamente tecnico-bellica, in realtà sono il piatto forte di produzioni tipo La tigre del mare, dove si possono ammirare le fasi di battaglia navale con chiarezza di particolari come solo Hollywood poteva garantire. Alla fine di un esaltante scontro marino, l’insubordinato Thorson rivela la classe tipicamente americana dell’eroe: il nemico è sconfitto e si può ipotizzare che Susan e Blake convolino a lieto fine sentimentale. Nel complesso, quindi, La tigre del mare è un divertente film bellico con sequenze marine di grande impatto scenico. Tra gli interpreti, la splendida ed elegante Virginia Grey scintilla come una star di primissima grandezza e rimane inspiegabile come non lo sia poi divenuta in concreto nel resto della carriera. Dal canto loro Wallace Beery e Chester Morris erano attori molto quotati, al tempo, e se la cavano in effetti egregiamente. Curioso il tentativo della MGM di non urtare troppo il pubblico tedesco, visto che nel 1939 gli Stati Uniti non erano ancora in guerra contro il nazismo, seppure il film sembri anche un modo per ricominciare a pensare alla Germania come il nemico per antonomasia. C’è anche, nel senso di un film di preparazione al prevedibile e imminente (si fa per dire, visto che avverrà solo nel 1941) intervento americano, un richiamo al gioco di squadra, incarnato nel film dal personaggio di Morris, mentre il turbolento Beery rappresentava il puro spirito yankee. Il film che, come detto, si contraddistingue già per una sorta di cerchiobottismo (questa sì, una delle vere anime americane) nei confronti dei tedeschi, ripete questa formula anche in questo caso: in guerra (e verrebbe da dire come nella vita) la via maestra è la cooperazione e la subordinazione agli ordini anche se poi le castagne dal fuoco le tolgono gli spiriti liberi e indisciplinati come Thorson. Ad Hollywood è sempre piaciuto raccontarla così, resta da capire se la guerra la vinsero con gli scapestrati combattenti o con le infinite risorse prime di cui potevano disporre.   


Virginia Grey 




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