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lunedì 16 ottobre 2023

GRISBI'

1376_GRISBI' (Touchez pas au grisbi). Francia, Italia 1954; Regia di Jacques Becker.

Il cinema francese fu indiscutibilmente quello che meglio riuscì a fare propria la lezione dei noir americani e quest’attenzione ai film di questo particolare genere d’oltreoceano la vediamo manifesta, ad esempio, ne Le jene del quarto potere (1959) di Jean Pierre Melville. Ma il poliziesco transalpino in chiave oscura affondava le sue radici nelle opere che furono realizzate in patria già a partire dagli anni 30, tra gli altri, da Jean Renoir, Marcel Carné, Julien Duvivier, insomma, un corpus filmico mica da scherzare. Spesso con il termine Polar si intende un po’ tutto il poliziesco francese ma, perché la definizione abbia maggior utilità – e ci permetta di comprendere meglio i film – è forse più opportuno ritenere che questa particolare corrente si affermò leggermente più tardi. Forte della lezione dei classici francesi citati e ispirato dal modello americano – il noir – il polar prese corpo nel corso degli anni Cinquanta. Nel 1954, Jacques Becker dirige Grisbi, capolavoro assoluto che diviene una delle coordinate fondamentali per questa eccellente corrente cinematografica. Il protagonista è Jean Gabin, nel ruolo di Max; o meglio, Jean Gabin interpreta il suo personaggio-tipo, il modello di riferimento per tutti i polizieschi francesi che arriveranno. Max è un criminale, ma la combinazione tra disillusione, consapevolezza di essere fuori tempo, ed estremo senso del dovere – inteso in ottica generale – lo rende il personaggio perfetto – eventualmente, anche nei panni di poliziotto – per i successivi vent’anni. Una specie di dolente anti-eroe in anticipo sui tempi. Nessuno riuscirà a cristallizzare in uno sguardo, in una battuta tagliente, questa filosofia di resistenza alla vita come e quanto lui, ma la strada è segnata. 

Max, come detto, è un criminale dichiarato; tanto, nel film, le forze dell’ordine latitano completamente. Eppure è rispettoso nei confronti delle donne che frequenta – seppure si tratti di ragazze di piccola virtù, come si usava dire – ed è fedele all’amico Riton (René Dary), nonostante questi gli combini un bel pasticcio, rivelando alla bella Josy (Jeanne Moreau) che sono stati proprio loro, gli autori del clamoroso furto del grisbi. Il grisbi in questione, quello a cui si riferisce il titolo, sono otto mattoni d’oro massiccio, per un totale di 50 milioni di franchi, una vera fortuna. Josy oltre a flirtare con Riton, se la intende con il temibile Angelo (Lino Ventura, al suo esordio cinematografico) che, una volta informato, mette in moto una manovra per sottrarre l’oro ai legittimi – si scherza, eh! – proprietari. Che andranno poi eliminati, evidentemente. La partita è, quindi, tra Angelo e i suoi uomini e Max, costretto a chiedere aiuto a Pierrot (Paul Frankeur) dal momento che Riton, vero pasticcione, dopo aver spifferato del grisbi s’è fatto anche catturare. Come si vede, la polizia non è contemplata dal soggetto di Albert Simonin, tratto direttamente da un suo romanzo, e Becker si concentra sul mondo della malavita di Parigi, come recita la didascalia introduttiva. Il film è girato con sobria maestria e scorre liscio come una palla sul bigliardo, sorretto dalle superbe interpretazioni, naturalmente quella di Gabin in testa. Le battute di Max sono eccezionali, per efficacia, ironia, tempismo e, nel doppiaggio italiano, Emilio Cigoli fa con esse un lavoro sontuoso. 

Tra gli esempi che si possono fare, è gustoso lo scambio tra Max e Riton con quest’ultimo che non sa che fare con la ragazza che li ha traditi. “Max, per Josie, cosa faresti al mio posto?” chiede mortificato il povero Riton prima di addormentarsi. “E come faccio a saperlo?” Risponde Max, lasciando una mezza speranza di comprensione all’amico. Se nemmeno un tipo come Max sa cosa fare… “non mi ci troverò mai al tuo posto, babbeo” lo stronca però subito dopo con severità il personaggio di Gabin. Max non abbandona l’amico, ma un minimo di disappunto se lo concede eccome.
Sono altresì particolarmente interessanti alcuni elementi, diciamo così, secondari del film, in primo luogo perché nulla è lasciato al caso, nel film di Becker, in secondo perché, nel tempo, è da questi aspetti che verranno attinti i cliché abituali dei polar

Dell’ambientazione malavitosa si è detto, ma è fondamentale notare come vi sia comunque un quadro morale, del personaggio protagonista e anche di alcuni suoi amici, indipendente dal comune senso di giustizia. Max è un criminale, dai modi educati ma disposto anche ad uccidere, alla bisogna; eppure si comporta secondo un suo rigoroso codice d’onore, secondo il quale, ad esempio, non si abbandona un amico nemmeno se questi se lo meriterebbe. Jean Gabin, al tempo, aveva cinquant’anni, portati con il suo peso sebbene ficcati con cura dentro gli eleganti completi che il suo personaggio sfoggia durante il film. Ma, cosa più importante, Max sembra sentirsene addosso dieci o venti di più, come si evince degli espliciti dialoghi del film. Non a caso, un film che detterà le coordinate per una nuova corrente cinematografica, è imbastito su un personaggio che vorrebbe andare in pensione, dal momento che quello del grisbi doveva essere l’ultimo colpo. Anche da un punto di vista sentimentale, Max non sembra affatto progettare qualcosa insieme ad una delle ragazze che frequenta, se il denaro che mette via come assicurazione lo affida non ad una di loro ma a madame Bouche (Denise Claire), la proprietaria del ristorante dove è solito ritrovarsi. Nel Restaurant Bouche si intrecciano due temi importanti dell’opera: la musica melanconica, che Max ripete essere la sua canzone, e alcune delle ragazze frequentate dal bandito. Se la musica è tipicamente francese, e funge da collante all’intero film, i flirt sentimentali che il personaggio di Gabin intesse possono in qualche modo intendere le varie influenza cinematografiche sull’opera. A cominciare da Lola, presentata – ad una cena da madame Bouche, ovviamente – come una sorta di fidanzata di Max, è interpretata da Dora Doll, attrice francese che era, però, nata a Berlino, in Germania. In effetti, come del resto anche il noir americano, l’espressionismo tedesco è una delle radici del polar francese. Una bellissima e pimpante Delia Scala, negli attillati panni di Hughette, testimonia la parentela con il cinema del Belpaese, e va ricordato che l’Italia è paese produttore, insieme alla Francia, dello stesso Grisbi. Ci sarebbe Josy, come detto interpretata da Jeanne Moreau, all’epoca attrice francese in forte ascesa, ma la pupa se la intende con Riton e Angelo, oltre ad essere l’elemento che tradisce. Il film si chiude con Max che conduce al ristorante di madame Bouche la splendida Betty, che deve le sue eleganti grazie all’interprete americana Marilyn Buferd, non un grande curriculum come attrice alle spalle ma già Miss California e perfino Miss America. La bellezza del cinema americano, proseguendo nell’ipotetica metafora, è innegabile e ineludibile, insomma, ma se il film si chiude sul vinile della solita melanconica canzone nel juke box, piuttosto che sulla ragazza sola o con Jean Gabin, qualcosa vorrà pur dire.  






   Jeanne Moreau 



Delia Scala 



Dora Doll 



Galleria di manifesti 







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