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venerdì 27 ottobre 2023

OCCHI SENZA VOLTO

1382_OCCHI SENZA VOLTO (Les yeux sans visage). Francia 1960; Regia di Georges Franju.

Claire Clouzot, nel suo studio sul cinema francese, definì quello di Georges Franju come "un realismo fantastico struggente ereditato dal surrealismo e dal cinema scientifico di Jean Painlevé e influenzato dall'espressionismo di Lang e Murnau". Occhi senza volto è il suo capolavoro, l’opera che meglio di ogni altra riesce ad esprimere il suo stile efficacemente definito dal citato contradditorio realismo fantastico. Lo stesso Franju, per altro, pare abbia specificato questa maniera singolare di vedere le cose, in particolar modo la modernità e il progresso, come necessario, visto che ormai siamo abituati ad accettare come normali cose che invece dovrebbero stranirci. L’atmosfera onirica che pervade Occhi senza volto è quella della nostra vita di tutti i giorni, nella quale i nostri occhi sintetizzano l’assurdità della nostra realtà quotidiana rendendocela sopportabile ma nascondendocene le aberrazioni e le insidie. Non a caso, nel film, la polizia non si rende conto della gravità della situazione, nonostante gli input ricevuti, arrivando incoscientemente a mettere in serio pericolo la vita di Paulette (Béatrice Altariba). In tono forse minore, il surrealismo, corrente che come detto influenzò l’opera di Franju, è presente anche in Occhi senza volto, ad esempio nella composizione di una scena coi forti rumori di un aereo (i successi tecnologici ma al tempo stesso gli orrori della guerra non molto lontana nel tempo) e della campana di una chiesa (il monito della religione), mentre i due protagonisti seppelliscono il cadavere di una giovane vittima dei loro terribili esperimenti scientifici (la medicina, in chiave sinistramente ambivalente). 

L’orrore, infatti, arriva fino a noi da quella realtà medico-scientifica che nel 1960 cominciava ad essere considerata uno dei simboli del progresso: il bisturi, le luci chirurgiche e tutta l’enfasi con cui si mette l’accento su ogni elemento tecnico nella sala operatoria, non ultimo la fredda competenza del dottor Génessier (Pierre Brasseur). In un certo senso Alida Valli quasi quarant’enne che interpreta la sua assistente Louise riesce ad insinuare il dubbio che anche la bellezza considerata classica possa essere inquietante. Alle altre presenze femminili della storia il compito di introdurre il punto di vista dello spettatore: Edna (Juliette Maynel), attirata con l’inganno da Louise e addormentata col cloroformio dal dottore, si risveglierà in un vero e proprio incubo dal quale l’unico modo per uscire sarà gettarsi da una finestra. Chi invece sembra costantemente vivere in una condizione onirica è la figlia del dottor Génessier, Christiane (Edith Schob): sfigurata in seguito ad un incidente automobilistico causato dal padre, viene da questi fatta passare per morta in modo da poterla riportare in vita sotto un’altra identità. L’ambizione di Génessier è infatti quella di trapiantare un intero nuovo volto sulla faccia rovinata della figlia e per far questo non esita a rapire povere ragazze che subiranno l’atroce condanna di donare il viso alla nobile causa della medicina o più propriamente alle folli aspirazioni del dottore. L’aspetto interessante della storia è che viene mostrato come il male non sia estraneo all’umanità ma anzi si annidi spesso nei suoi aspetti considerati più lodevoli. Così come uno stimato chirurgo può essere considerato alla stregua di un volgare scienziato pazzo anche un amorevole padre può rivelarsi il peggiore degli aguzzini. Il finale non può certo definirsi lieto – è anzi particolarmente atroce la fine di Génessier sbranato dai suoi stessi cani cavie dei suoi esperimenti – ma in ogni caso si segnala per il risveglio, una presa di coscienza, da parte di Christiane, che ha il merito di mettere in moto il meccanismo narrativo per chiudere la vicenda.
Che poi era anche un po’ l’auspicio che Franju si augurava producesse il suo film: vanamente, visto che nel 1960 la voglia di fiducia della gente era probabilmente ancora troppa per rendersi conto dei rischi connessi al progresso. Adesso, però, oltre sessant’anni dopo, qualche dubbio dovremmo anche cominciare ad averlo.  
 





Edith Scob 



 Alida Valli 



Juliette Mayniel 


Béatrice Altariba 


 Galleria di manifesti 






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