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mercoledì 4 ottobre 2023

DAS LIED DER MATROSEN [t.l. LA CANZONE DEL MARINAIO]

1369_DAS LIED DER MATROSEN [La canzone del marinaio]. Germania dell'Est, 1958; Regia di Kurt Maetzig e Gunter Reisch.

Spesso, la vena propagandistica di un’opera, che in effetti è un evidente limite, finisce per danneggiarla oltremisura. Ad esempio, Das lied der matrosen [traduzione letterale, La canzone del marinaio], è un film interessantissimo ed è un peccato che sia così scarsamente considerato. Certo, in questo momento storico risulta proprio inadeguato, con il suo mix nostalgico particolarmente inattuale: eppure, proprio questi suoi discutibili riferimenti sono preziosi per comprendere un periodo opaco della Storia nemmeno troppo lontano. Il film venne infatti prodotto nel 1958 nella Germania dell’Est, paese che, ormai, sembra dimenticato, ma che per oltre quarant’anni è stato, a suo modo, uno dei luoghi simbolo dell’Europa e del mondo. Più che la storia raccontata in Das lied der matrosen, che ha comunque degli aspetti rilevanti, quello che interessa è il tentativo di amalgamare le due anime che coesistevano nella Germania Democratica: da una parte lo spirito germanico, dall’altra l’influenza russo sovietica. La Germania Est nel dopoguerra era controllata da Mosca in modo, diciamo così, “scrupoloso”, anche per via dello storico sentimento patriottico tipico dei tedeschi, che manteneva i sovietici all’erta. La crisi di rigetto per il nazismo –che tanta miseria aveva creato nella popolazione del paese– e la capillare diffusione delle idee comuniste –in fondo la dottrina cara a Marx si era perfezionata proprio da quelle parti– facilitarono il compito ai sovietici, ma la DDR rimaneva pur sempre Germania. Non così incline ad essere governata da altri, come i sovietici pretendevano, probabilmente. 

In ogni caso, in occasione del Cinquantesimo anniversario della Rivolta di Kiel, il governo commissionò alla DEFA –lo studio di produzione cinematografico della DDR– un film celebrativo. Lo sforzo dello studio fu enorme: due registi, Kurt Maetzig e Gunter Reisch, si misero all’opera, il primo girò le sequenze ambientate nell’ammiragliato e con gli ufficiali, mentre il secondo si dedicò alle scene di massa, con i marinai e i rivoltosi. In breve, considerato anche le difficoltà a gestire scene con un totale di oltre 12.000 comparse, i tempi di realizzazione divennero un problema e il partito si fece sempre più pressante per avere il film completato in tempo per la ricorrenza. Forse, il risultato di questa urgenza è avvertibile in una mancanza di scorrevolezza del testo, soprattutto nella prima parte; o forse questa pesantezza è solo uno degli effetti collaterali che affligge molti film monumentali. Fatto sta che la prima parte del film è meno coinvolgente, mentre quando scoppia la rivolta nelle caldaie a bordo della SMS Federico il Grande, una corazzata classe Kaiser, il racconto svolta, diventando assolutamente avvincente. Non molto attendibile, dal punto di vista storico, ma va considerato che Das Lied der Matrosen è un film di propaganda e non un documentario. Quello che interessa non è, quindi, la cronologia degli avvenimenti, ma comprendere la strategia narrativa che è alla base della ricostruzione degli eventi operata dagli autori. Il film di Maetzig e Reisch mette l’accento sull’ammutinamento di Kiel, interpretato come la miccia che inneschi la rivoluzione di novembre in Germania, mentre, nei movimenti rivoltosi, è sottolineato il ruolo degli Spartachisti, una delle correnti dei comunisti che infiammarono i disordini nell’autunno tedesco del 1918. 

In pratica, si cerca di affermare una sorta di autoctonia tedesca nell’ambito dell’orientamento social-comunista che caratterizzò la Germania Orientale, sebbene nel film i russi siano visti come compagni e non certo come nemici o avversari. L’amicizia tra Henne (Ulrich Thein), uno dei marinai tedeschi protagonisti della storia, e Grisha (Vladimir Gulyayev), suo corrispettivo russo, può essere presa a simbolo dell’unione internazionale tra i popoli di Germania e Russia. Il film segue le gesta di un gruppo di marinai dell’Impero tedesco, con uno schema tipico di questi racconti corali: ognuno ha il suo percorso, nella storia, intervallato dagli opportuni incroci delle tracce che servono ad amalgamare il tutto. Batuschek (Hilmar Thate), è un addetto alla radio a bordo della SMS Federico il Grande e attende il segnale per dare il via alla rivolta e, come Erich (Günther Simon), è uno dei leader della rivoluzione; quest’ultimo è uno dei macchinisti a bordo della corazzata. Proprio le scene nella sala macchine della nave, non solo quelle della rivolta ma soprattutto quelle delle abituali giornate di lavoro, sono uno dei punti di forza di Das Lied der Matrosen che, da un punto di vista scenico, è un’opera con passaggi notevoli. Tra i marinai impiegati nelle caldaie della corazzata troviamo anche August Lenz (Raimon Schelcher), uomo valoroso e responsabile, che ha una storia sentimentale con la vedova Bertha (Elfriede Née), madre di Jupp (Stefan Lisewski). Questi non è del tutto convinto dalle idee comuniste dei suoi camerati ma si presta comunque a fare la talpa avendo un impiego nell’ammiragliato. Spassosa la scena in cui, dopo essersi convinto a partecipare attivamente alla rivoluzione, viene colto dal Pincipe Heinrich (Kurt Wenkhaus) a ciclostilare volantini sovversivi usando la stampante a mano dell’ufficio. 

Il vegliardo non solo non si era accorto, fin lì, che Jupp era sempre “troppo attento” a carpire questa o quella informazione, soprattutto quando gli alti ufficiali parlavano tra loro; ma non si rende conto nemmeno adesso che il suo sottoposto svolge attività di propaganda rivoluzionaria proprio sotto il suo naso. Anzi, compiaciuto dell’indole laboriosa del militare, lo aiuta girando personalmente la manovella del ciclostile, sotto lo sguardo allibito di Jupp: una vena ironica è, in effetti, presente nel film, sebbene fatichi a farsi strada tra la coltre di trame che infarciscono il canovaccio. Tornando alla figura del principe Heinrich, va detto che non c’è una totale mancanza di rispetto per l’anziano ufficiale, considerato che, quando vede la partita perduta, salva almeno il proprio onore con il classico colpo di pistola suicida. Tra i protagonisti principali, manca da citare almeno Kasten (Horst Kube), il primo a fraternizzare con Grisha, e assai attivo nel curioso ammutinamento che i marinai tedeschi compiono sul mercantile russo, in precedenza sequestrato dalla marina del Kaiser. 

L’imbarcazione è carica di grano ed è assai appetibile per la Germania stremata dalla guerra, ma Kasten, Henne e gli altri marinai non intendono per questo affamare la popolazione russa: si ribellano agli ordini e conducono il mercantile a San Pietroburgo, in Russia. Quando Kasten ed Henne rientrano in patria, si spacciano per fuggiaschi dalla prigionia russa: il principe Heinrich, in effetti un po’ ironicamente preso di mira dagli autori, li premia come eroi. Ad Henne la sorte sembra davvero sorridere, considerato che trova il tempo per una storia d’amore con Anna (Rita Godikmeier), vicenda sentimentale che si pone in una sorta di contrappunto con l’altra presente nel film, quella citata tra August e Bertha. Il macchinista è un uomo maturo e Bertha una vedova con tre figli: in un certo senso, pur essendo personaggi positivi, rappresentano il passato della Germania e, non a caso, Bertha viene falciata dalle mitragliatrici dei soldati nel concitato finale, durante le fasi della rivoluzione. Proprio mentre la donna muore, quasi in montaggio alternato, assistiamo al parto di Anna, aiutata da Jupp, personaggio a suo modo ambiguo in ogni circostanza. Il militare, infatti, conosce bene l’Ammiragliato e trova il modo di far partorire la donna in un luogo sicuro, fornendo anche un’improvvisata assistenza. Cosa che permette al figlio di Anna ed Henne di nascere sano e salvo: il futuro della coppia potrebbe essere preso a simbolo di quello del paese, in un’ottica ottimistica. Se non che Henne viene ucciso vigliaccamente dai suoi stessi camerati: se il solo August era sopravvissuto nella coppia di persone più anziane della storia, è Anna a rimanere sola, con il figlioletto, in quella dei giovani. Ma, allora, che razza di futuro rappresenta questa coppia? Un futuro lacerato, diviso –dalla morte– che, considerato che il film è ambientato nel passato, ben incarna il triste presente della Germania negli anni del secondo dopoguerra e che si concretizzerà in modo ancora più esemplare pochissimi anni dopo il 1958 di uscita di Das lied der matrosen, con la costruzione del Muro di Berlino. Ma questi aspetti del film sono leggibili sottotraccia, mentre nel finale gli autori esaltano l’appartenenza comunista dei protagonisti al nascente del KPD, il Partito Comunista della Germania Est. Insomma, se si riesce a guardare oltre alla retorica che gronda copiosa da alcuni passaggi, in particolare quelli accompagnati dalle note della canzone che dà il titolo all’opera, si riesce a intuire il disagio di un popolo –o meglio, di mezzo popolo– che, liberato dal nazismo, era finito sotto un’altra dittatura. 


Rita Godikmeier


Elfriede Née


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