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domenica 29 ottobre 2023

IL DELITTO DI THERESE DESQUEYROUS

1383_IL SEGRETO DI THERESE DESQUEYROUS (Thérèse Desqueyrous). Francia 1962; Regia di Georges Franju.

Dopo i cortometraggi nei quali coesistevano immagini crudamente realistiche ad altre di matrice surrealista e i primi tre veri e propri film, nei quali si era anche confrontato con il cinema di genere come l’horror e il giallo, Georges Franju si prende lo spinoso compito di portare sul grande schermo un soggetto più intimistico. La fonte d’ispirazione non è un testo qualunque: Thérèse Desqueyroux di François Mauriac era un romanzo per niente semplice da approcciare perché l’avversione alla borghesia, accusata dall’autore duramente per il suo essere superficiale e tesa ad evitare ogni forma di scandalo per restare al potere, arrivava chiara e lampante al lettore ma solo attraverso lo scrutare in profondità dell’animo della protagonista a cui era dedicato il titolo dell’opera. Non era, quindi, un soggetto con una trama avvincente o un canovaccio forte a cui ancorarsi in modo agevole, il romanzo di Mauriac; quella che andava colta era la sensibilità di Thérèse, un personaggio complesso e in parte sfuggente. “Non ho mai saputo dove sarei stata condotta... da questo potere squilibrato dentro di me... e fuori di me” riflette in principio del film la protagonista, ammettendo lei stessa di non essere certo un soggetto di facile decifrazione. In aiuto al lavoro di Franju, che darà un risultato clamoroso, arriva la superba interpretazione di Emmanuelle Riva che per il ruolo di Thérèse vinse una strameritata Coppa Volpi a Venezia. Ma tutto il film è calibrato con maestria: dalla prestazione assai più prosaica di Philippe Noiret nel ruolo del marito Bernard, alla splendida fotografia in rigoroso bianco e nero di Raymond Heil e Christian Matras, alle musiche di Michael Jarre. 

Concentrato sull’adesione al soggetto, Franju tiene sotto controllo la sua vena surrealista, che si intravvede comunque in più d’un passaggio. Dagli uccelli intrappolati nella rete, al volto di Thérèse incorniciato – imprigionato – dalla lussureggiante vegetazione delle Landes, alla resa docilmente inquietante degli altissimi pini della tenuta. L’eterea Édith Scob – nel ruolo di Anne con la sua infantile infatuazione per Azevedo (Sami Frey) – contribuisce a sfumare la storia, a renderla ambigua. Cosa lega le due ragazze della vicenda, Thérèse e Anne? Attrazione? Amicizia? Rivalità? Invidia? Ben presente in avvio, Anne scivola poi fuori dalla trama che, come detto, verte sulla personalità della vera protagonista e la distribuzione italiana nell’intitolare l’opera Il delitto di Thérèse Desqueyroux è un po’ fuorviante perché, almeno al cinema, il delitto lascia intendere qualcosa di grave, generalmente un omicidio. 

Che è poi quello che Thérèse prova a mettere in pratica avvelenando il marito, ad essere onesti, ma senza riuscirci. E sarà la testimonianza dello stesso Bernard in tribunale a scagionare definitivamente la donna ma certo non perché l’uomo non avesse capito le reali intenzioni della moglie. Il punto è che una famiglia rispettabile come i Desqueyroux non può permettersi uno scandalo; la critica alla borghesia del testo di Mauriac è condivisa da Franju che in pratica riprende il discorso del suo precedente La fossa dei disperati che, sotto questo aspetto, ha più di un’attinenza con questo Il delitto di Thérèse Desqueyroux. Ma formalmente quest’ultimo lavoro è superiore oltre a raffinare ulteriormente la tipica vena critica di Franju. Nel precedente Piena luce sull’assassino il regista aveva mostrato come nel mondo borghese l’individuo potesse arrivare ad uccidere pur di affermarsi ma Il delitto di Thérèse Desqueyroux rivela in modo assai più sottile la spietata filosofia della classe sociale dominante del XX secolo. Come il libro, il film è vissuto tramite la sensibilità della protagonista e un efficace flashback permette di impostare tutta la vicenda attraverso la voce narrante di Thérèse; Franju, che ha particolare predisposizione alle fasi meno dirette del racconto – sogni, visioni, ricordi – orchestra magistralmente il testo in modo assai funzionale. La vena intima del romanzo è quindi pienamente rispettata; da una parte l’abilità del regista in questo tipo di racconto, dall’altra la straordinaria capacità espressiva di Emmanuelle Riva, muovono sempre l’emotività della narrazione anche in quelle fasi in cui di azione ce n’è davvero poca. Nonostante l’esiguità della trama, Il delitto di Thérèse Desqueyroux è quindi un film appassionante: un crime-movie con venature noir depotenziato sul piano dell’azione ma che compensa queste lacune con il vissuto interiore della protagonista. 

L’aspetto forse più interessante ne Il delitto di Thérèse Desqueyroux è che Thérèse racchiude in sé stessa i ruoli di colpevole e vittima: scherzando, si potrebbe ipotizzare una sorta di parallelo con la Jeanne Fontaine de Il sospetto (1941, di Alfred Hitchcock) con qualche sprazzo del Cary Grant dello stesso film. Ma ciò che Thérèse non è mai è carnefice, ruolo in cui ben si presta Bernard nonostante l’aspetto pacioso in principio e quello accomodante alla fine. In mezzo, l’uomo è il classico tipo comune – borghese, verrebbe da dire – per il quale il matrimonio è unicamente un passaggio obbligato della vita. Per tutta la parte prima dell’avvelenamento, secondo Bernard Thérèse è unicamente una moglie: buona per presenziare alle ricorrenze, mettere al mondo i figli, parlare del più e del meno, farci del sesso la notte. Quest’ultimo aspetto è interessante perché chiarisce meglio le cose: sin dalla prima notte di nozze Bernard non cerca minimamente di trovare una qualche sintonia con Thérèse, limitandosi a trarre il proprio piacere dal rapporto sessuale. Figurativamente la scena è resa in tutto il suo squallore da Franju; la donna, ripensandoci, si lascia scappare l’aggettivo orribile, per quella sua prima esperienza col marito e, in effetti, sembra una valutazione condivisibile. Poi, però, riflette meglio: non così orribile si corregge. Perché, in fondo, il Bernard ottuso ed egoista, quello che amaramente Thérèse scopre di aver sposato, non è il peggior Bernard della storia. Almeno ha un’ombra di sincerità, nel suo agire. Già quello successivo, freddo e scostante, indispettito dall’essere stato mezzo avvelenato eppure tutto proteso ad evitare lo scandalo al punto di testimoniare a processo a suo favore, è più ipocrita. E davvero orribile: un uomo che arriverà a recludere la moglie nella casa di campagna, senza poter avere contatti con il mondo. Ma ancora più orrendo sarà quello falsamente conciliante del finale, quello che lascia libera Thérèse a Parigi, arrivando a pagarle vitto e alloggio. E’ qui che il discorso di Franju si fa più interessante: pur di conservare al meglio l’immagine famigliare, Bernard arriva a perdonare la moglie, a ridarle la libertà, a pagarne le spese per vivere nella capitale, tutto purché non appaia patita o sofferente nelle occasioni in cui sarà chiamata a presenziare. Il borghese è disposto a tutto, pur di salvare l’apparenza: anche a comportarsi da gentiluomo. Per un po’ di umanità, quella che l’uomo mai riuscirà a mostrare per la povera Thérèse, rivolgersi altrove. 



Emanuelle Riva 




Edith Scob



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