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venerdì 14 aprile 2023

TI MANGIO IL CUORE

1257_TI MANGIO IL CUORE Italia, 2022; Regia di Pippo Mezzapesa.

Il timore, guardando la campagna promozionale di Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa, era che il film fosse solo un pretesto per portare sullo schermo l’ultimo – in ordine di tempo, sia chiaro – sogno erotico degli italiani: la cantante Elodie. Niente di più sbagliato. La sensualità dell’artista è certamente un elemento utilizzato da Mezzapesa ma nient’affatto gratuitamente. Serviva una bellezza mozzafiato, una bellezza capace di scavalcare una barriera insormontabile innalzata con il sangue, la morte, il terrore, l’odio e certamente Elodie incarna, in questo momento, un desiderio di tale portata. La storia, seppur molto romanzata, è quella della prima pentita della mafia del Gargano, Rosa di Fiore, anche se il soggetto del film è più precisamente il romanzo d’inchiesta omonimo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini. Su una base quindi solidissima – una drammatica vicenda storica già metabolizzata dalla letteratura – Mezzapesa può concentrarsi sulla confezione formale del suo film. Che appare scintillante in un aggressivo bianco e nero da rivista patinata e descrive uno scenario surreale, sebbene sia l’Italia contemporanea, breve incipit a parte. Ma deve essere la disabitudine a vedere film italiani formalmente ricercati a renderci un po’ scettici, almeno in prima istanza, a fronte del pregevole lavoro del regista pugliese. Che è proprio un bel film, tosto e appassionante, come un film western – e c’è qualche rimando esplicito – o anche un crime-movie americano. Invece la storia è italianissima, purtroppo, visto che l’argomento è appunto la mafia. Tra i tanti i passaggi da rimarcare si prendano a titolo di esempio le processioni, di cui soprattutto la prima, e la scena di sesso tra Marilena Camporeale (Elodie) e Andrea Malatesta (Francesco Patané), con Mezzapesa che stacca la camera dai due e inquadra lo splendido paesaggio delle saline, quasi a ribadire che l’unione della coppia, l’amore, è una cosa bellissima. Di una bellezza folgorante, proprio come lo scenario su cui il regista si sofferma. 


L’amore in questione è davvero fuori dal comune, visto che Marilena è bellissima e Andrea un ragazzo innamorato ed appassionato: peccato che la ragazza sia già sposata e che i due appartengano ai clan mafiosi rivali della zona. Come prevedibile, una vicenda di corna nel mezzogiorno italiano, in seno ad una delle famiglie più importanti, non è cosa che possa passare in cavalleria. Anche perché la pace tra i clan verteva su un equilibrio sottilissimo: nell’incipit, ambientato negli anni 60, i Camporeale avevano sterminato i Malatesta. Michele Malatesta (Tommaso Ragno), all’epoca bambino, era sopravvissuto e, una volta cresciuto, si era ben vendicato, facendo a sua volta strage della famiglia rivale. Ora, grazie alla mediazione di Vincenzo Montanari (uno strepitoso Michele Placido) e del suo clan, si era arrivati ad una situazione di stallo. La contesa riaffiorava giusto per l’onore di portare la madonna in processione o per qualche appalto, ma senza spargimenti di sangue. Almeno finché Marilena e Andrea non vengono scoperti. Nonostante si trovi un accordo per lavare l’offesa, Santo (Luca Popolo) non ci sta e fa secco Michele Malatesta innescando una nuova spirale di violenza. Non è tanto chiaro che rapporto ci sia tra Marilena ed il marito, che sembra spesso assente; tuttavia la ragazza è legatissima ai suoi due figli. Eppure cede alle lusinghe di Andrea e accetta di tradire Santo; qui, nonostante sia mischiato al tradimento, il tema della bellezza è innegabile. Elodie ne è un evidente manifesto, su cui Mezzapesa indugia spesso all’inizio, si veda la citata prima processione. Inoltre il desiderio di Andrea è, seppur indirizzato verso una donna sposata e quindi moralmente condannabile, qualcosa di bello, di puro, perché risponde alle leggi della natura e non a quelle della società, sia essa quella civile o quella mafiosa. 

Il padre Michele intima con fermezza al figlio di lasciar perdere la ragazza, minacciandolo addirittura di morte: Andrea, nonostante sia totalmente soggiogato dall’ammirazione e dalla stima per il genitore, oltre che da uno spiccato timore reverenziale, non può tuttavia resistere alla bellezza di Marilena. In sostanza, anche la bellezza in un contesto malsano può diventare causa del Male. In questo caso la bellezza è incarnata da una donna, che poi si rivelerà anche l’elemento in grado di rompere la spirale di odio e violenza. La donna come soluzione per i mali del mondo? Certo, su questo si può essere d’accordo, anche perché è una tesi ormai consolidata da anni di cinema e non solo. Ti mangio il cuore dice però anche qualcosa di diverso – almeno rispetto alla maggior parte dei testi, in genere allineati sull’opinione comune vigente. 

Ovvero che l’origine del Male è anch’esso da ascrivere alla sponda femminile della comunità umana ma, attenzione, non ad una donna qualunque. Non è, infatti, Marilena come demone tentatore che induce in fallo Andrea ad innescare la tragedia. Non è Marilena il punto cardinale negativo del film ma Teresa (un’intensissima Lidia Vitale) madre di Andrea e moglie di Michele. Che, in fin dei conti, sono solo figure derivate, secondarie. Che il maschio, nella società, sia il braccio armato, questo è fuor di dubbio. Ma chi trasforma Andrea da pavido playboy in spietata macchina da guerra è sua madre Teresa e non suo padre Michele né tantomeno Marilena. In effetti, per la razza umana – che giova ricordarlo appartiene alla classe dei mammiferi, definiti così proprio per l’importanza della madre – la figura più influente per l’individuo è sempre il genitore di sesso femminile. Nel film, questo concetto è ribadito esplicitamente: nonostante Marilena provi a giocarsi le sue carte con un gesto piuttosto esplicito, Andrea, nel momento cruciale, torna a dormire con sua madre. La verità, scomoda secondo l’opinione comune diffusa oggi, è che la violenza della società – paradossalmente anche quella rivolta verso le donne, quella dei femminicidi – ha origine nel rapporto madre/figlio maschio, il rapporto che può più facilmente avere risultati pericolosi. La storia di Ti mangio il cuore non ha la sua svolta tragica quando Marilena tradisce il marito; e nemmeno quando Santo uccide Michele. Il cataclisma arriva perché Teresa non demorde finché non riesce ad aizzare Andrea contro la famiglia rivale trasformando il giovane in quella che è la sua idea di uomo. 

Se tralasciamo un attimo la questione morale e quella giuridica, calandoci nella logica mafiosa, potremmo anche considerate l’uccisione di Michele una sorta di scotto da pagare, perché l’affronto di Andrea andava in qualche modo punito. Probabilmente, considerato la relativa tenerezza dei membri contemporanei delle famiglie – brutta gente, d’accordo, ma assolutamente non paragonabili ai loro spietati genitori – un accordo, seppur precario, si poteva ancora ricostruire. Sempre al netto delle manovre losche di Vincenzo Montanari che mirava ad assumere il controllo della zona agendo sottobanco. Tuttavia la deriva folle che Teresa impone al figlio non concede alcuno spiraglio di pace, armata o meno.


In teoria, si dovrebbe pensare che poi il finale sia in un qualche modo ottimista. E’ certamente una nota lieta che la guerra dei clan si chiuda, specificatamente con l’uccisione di Andrea, a cui nell’omicidio viene risparmiata la faccia, altro dettaglio positivo. C’è però da riflettere se si tratti comunque di un finale ottimistico. Intanto nel Gargano ora comandano i Montanari e Vincenzo non è certo un elemento raccomandabile, al di là dei modi affabili. Per quel che riguarda Marilena, la sua vita da pentita di mafia l’ha condotta altrove, rispetto al suo paese: a vedere l’ambientazione, sembrerebbe una città del Nord Italia. Il che può andare bene come soluzione specifica del caso in sé, ma rappresenta comunque una sconfitta per la comunità. Per poter vivere in santa pace, una donna è costretta ad emigrare lontano da casa sua: non esattamente il massimo. Infine, il piccolo figlio di Andrea ora gioca coi suoi due fratellastri, i figli che Marilena aveva avuto da Santo. Questo è certamente bello ma quando si gira verso la camera, simulando con le dita della mano una pistola rivolta verso di noi, un brivido ci corre lungo la schiena. E’ un gioco che abbiamo fatto tutti, da bambini, una cosa naturale, in sé. La violenza ci appartiene, questo è inutile negarlo, occorre però essere in grado di rinnegarla. E solo una persona al mondo può riuscire ad aiutarci a farlo. Sempre che lo voglia.   








  Elodie 




Lidia Vitale 


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