227_REVENGE . Francia 2017; Regia di Coralie Fargeat.
La regista Coralie Fargeat ha dichiarato, a
proposito di Revenge, che il tema del
suo film non è strettamente legato alla violenza sessuale subita da Jen
(Matilda Lutz) la protagonista della storia. Non sarebbe, quindi, almeno nelle
intenzioni della sua autrice, un rape
& revenge, ovvero un film che racconti di una vendetta in seguito ad
uno stupro che, nel suo piccolo, se non un genere,
ha almeno una nicchia nel panorama
della produzione cinematografica. L’argomento è, sempre stando alla Fargeat,
semplicemente la vendetta: e il tema appunto semplice, primario, è reso
magistralmente da un film che ha un impatto visivo forte, brutale, con
grandissima attenzione ai dettagli ma anche alla composizione formale delle
scene panoramiche. Il tema del contrappasso, coi cacciatori che divengono prede
è altrettanto elementare, ma adeguatamente mostrato con sequenze di purissima
violenza quasi astratta, spesso surreale (il vetro nel piede), ma assai
efficace. E in materia di surrealismo nulla può battere tutto lo sviluppo col
rimando all’Araba Fenice, innestata
con coraggio e spregiudicatezza, con l’eroina che risorge dal fuoco e si trova
addirittura marchiato sul ventre il
simbolo della sua rinascita. Passaggio geniale nel suo essere adeguato ad una
corrente di pellicole estremamente fuori dagli abituali canoni cinematografici:
puro cinema d’exploitation. Ma
torniamo alla questione dello stupro, perché vanno bene le dichiarazioni, ma
quello che conta è ciò che vediamo sullo schermo.
Jen è l’amante di Richard, un
uomo ricco che la conduce nella sua villa nel deserto americano per una
romantica gita d’amore (clandestino, d’accordo). Con un giorno d’anticipo sopraggiungono
Stan e Dimitri, che avevano in programma una battuta di caccia con lo stesso Richard,
quando Jen se ne fosse andata. Ma il loro intempestivo e inopportuno arrivo crea
i presupposti per la tragedia: Jen è molto giovane e molto bella, Richard si
assenta, così Stan approfitta della situazione, mentre Dimitri finge di non
vedere. Se la ragazza gioca con la sua sensualità approfittando di una
indiscutibile avvenenza, come del resto fa per godere dei benefici di essere
l’amante di Richard, i tre uomini non presenteranno mai, nel corso della
storia, alcun aspetto morale o etico.
Lo scollamento tra azione e responsabilità che ne
deriva è il tema profondo, e perciò basilare, primario, del film, e quindi
adeguato ad un film formalmente grezzo, puro, pur nella sua apparente
confezione raffinata delle immagini. E questo scollamento è anche il tema unico
e portante della violenza sessuale: non c’è alcuna attenuante, nel violentare
un’altra persona. Non lo sono le provocazioni, gli atteggiamenti, le
circostanze: il motivo che spinge a violentare è la sicurezza dell’impunità e
la mancanza di ogni forma di scrupolo morale.
E’ la stessa situazione di quando
Stan urina sopra il ragno (che poi è anche quella che motiva la caccia come
attività): il piacere di fare qualcosa di sbagliato e di gratuito, sapendosi
impunito. Quella di Jen non è così tanto o soltanto una vendetta, in realtà, e
quasi spiace che il titolo del film sia appunto Revenge. L’implacabilità con cui la ragazza persegue i tre uomini è
piuttosto una condanna per chi usa in
modo prevaricante la violenza: una condanna etica e morale, che non può e non
deve essere meno inflessibile di quanto simbolicamente mostrato.
Matilda Lutz
Nessun commento:
Posta un commento