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lunedì 22 ottobre 2018

PER UN PUGNO DI DOLLARI

228_PER UN PUGNO DI DOLLARI. Italia, Spagna, Germania Ovest; 1964;  Regia di Sergio Leone.

I titoli di testa di Per un pugno di dollari di Sergio Leone scorrono su siluette di personaggi western, cowboy e pistoleri, che si sparano e muoiono: le tipiche attività che si dice fossero in uso nel far west e che venivano riprese nei giochi dei bambini. In sostanza, quello che vediamo, durante i credits, è un cartone animato fortemente stilizzato; e gioco e ricorso alle figure astratte sono due delle chiavi di lettura del film che andremo a vedere poi sullo schermo. Per un pugno di dollari è un western, per la precisione la pietra angolare per il filone italiano, quello dei cosiddetti spaghetti, che da quel 1964 imperverserà per più di un decennio sugli schermi; ma i suoi riferimenti non si limitano a quelli del genere specifico, visto che la trama è ricalcata fedelmente sul film giapponese La sfida del samurai di Akira Kurosawa, a sua volta ispirato al romanzo hard boiled, (una variante della narrativa gialla), Piombo e sangue di Dashiel Hammett. Ma si possono anche leggere, nell’architettura generale dell’opera di Leone, rimandi alla commedia dell’arte italiana o a Shakespeare. Quello che il regista romano mette in scena è un mondo dominato dal caso, o forse dovremmo dire in modo più poetico dal Destino, efficacemente impersonato dall’eroe, anzi, dall’antieroe della sua storia, quel Clint Eastwood che nel film qualcuno chiama Joe ma di cui non è dato per certo sapere nulla, nemmeno il nome. L’ambientazione scelta è il west americano (il film fu però girato in Europa) ma semplicemente perché l’epopea western ha sancito la nuova mitologia epica di quella società, quella americana, verso cui, grosso modo, tutto il cosiddetto mondo occidentale si orienta. 

Le sagome umane stilizzate dei titoli di testa ricordano molto le figure dei protagonisti del film, lo straniero Joe (interpretato da Eastwood) compreso: Piperito, il becchino, Silvanito, il barman, ma anche i cattivi, soprattutto i Rojo, sono stereotipi bidimensionali. Tra questi ultimi, anche Ramòn, pur con la forte caratterizzazione estetica conferitagli dalla recitazione di Gian Maria Volontè, non sfugge a questa stilizzazione. Manca un personaggio tridimensionale, manca l’eroe: un mondo senza eroi, senza legge, senza buoni e cattivi, (qui il confronto è tra cattivi e cattivi, Rojo contro Baxter), è quindi la rappresentazione di un mondo senza morale, senza Dio.

Ma un mondo reso dannatamente credibile da un’impostazione generale debitrice alla scuola neorealistica di cui naturalmente Sergio Leone era rimasto influenzato: la violenza è mostrata per quella che è, senza sconti, anzi, in qualche passaggio con un pizzico di sadico compiacimento. Dal punto di vista tecnico il regista romano compie alcune scelte spiazzanti, rispetto alle consuetudini del genere: primi e primissimi piani non si usavano nel western; il montaggio alternato o freneticamente puntato su particolari e dettagli, dilatava il tempo in modo innaturale, facendo vivere in modo più emotivo e quindi più credibile le scene di azione, con uno stile decisamente personale. 

Alcune innovazioni furono favorite dal muoversi al di fuori delle regole del cinema americano e quindi del famigerato codice Hays, come ad esempio il divieto di mostrare sparatore e colpito nella stessa inquadratura: c’è da credere che proprio la freschezza e la riuscita dei film di Leone contribuirono a mandare in archivio certi dogmi da sempre limitanti ma divenuti, al tempo, ben più che inaccettabili.
Tutto questo, e molto altro ancora, visto che  Per un pugno di dollari è un film molto curato e in cui i dettagli hanno spesso un preciso significato, ci fornisce quindi un quadro fortemente negativo: del resto lo straniero arriva nel paesino (quello che lo stesso definisce “Mai visto un paese più cadavere di questo”) passando sotto una forca e, quando se ne va, dalla parte opposta, sempre a dorso di mulo, la macchina da presa manco si spreca a seguirlo. 


Il west è già morto, sembra dire Leone.
Ma la frase più famosa del film è, naturalmente, il presunto proverbio messicano: “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto.” Il che sembrerebbe un’altra conferma in tal senso; se non fosse che venga poi smentita nel film. E quindi, in realtà, emerge, in un modo o nell’altro, l’aspetto eroico dello straniero (che in fin della fiera porta un po’ di giustizia nel paesino) e anche temi come quello politico o sociale, che fanno capolino qua e là, rivelano una matrice non del tutto pessimista dell’opera di Leone. 
Lo straniero infatti si muove fra le due bande di fuorilegge per interesse personale ma non esita a dare i soldi ricavati dal suo trafficare a Marisol (Marianne Koch) per poterla mettere in salvo insieme al figlio e al marito. E lo fa con una motivazione; sebbene, a suo dire, troppo lunga da spiegare: rimane comunque un gesto motivato e non dettato dal caso o da un capriccio momentaneo. Del resto lo stesso straniero, pur in un sostanziale muto riserbo, si lascia andare ad alcune dichiarazioni interessanti come la costatazione che non esistano posti dove non ci siano padroni (termine fortemente politico), o la confessione che a casa sua stava malissimo (critica sociale). E, a conti fatti, questi due temi sono quelli risolti in Per un pugno di dollari: infatti se è solo il caso a mettere il paesino sulla strada dello straniero, l’arrivo di questi elimina i padroni e permette un miglioramento della vita delle famiglie, simbolicamente prima fa tutte quella di Marisol a cui il nostro regala i frutti del suo lavoro.
Insomma, il film di Leone vuol sembrare realistico (quando non pessimista) ma è fondamentalmente educativo. Non a caso, al tempo, inaugurò la stagione degli spaghetti western che furono il piatto forte delle sale cinematografiche degli oratori tra i sessanta e i settanta.
Mitica e indimenticabile la colonna sonora di Ennio Morricone.   



Marianne Kotch



     

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