228_PER UN PUGNO DI DOLLARI. Italia, Spagna, Germania Ovest; 1964; Regia di Sergio Leone.
I titoli di testa di Per
un pugno di dollari di Sergio Leone scorrono su siluette di personaggi western, cowboy e pistoleri, che si sparano
e muoiono: le tipiche attività che si dice fossero in uso nel far west e che
venivano riprese nei giochi dei bambini. In sostanza, quello che vediamo,
durante i credits, è un cartone
animato fortemente stilizzato; e gioco e ricorso alle figure astratte sono due
delle chiavi di lettura del film che andremo a vedere poi sullo schermo. Per un pugno di dollari è un western,
per la precisione la pietra angolare per il filone italiano, quello dei
cosiddetti spaghetti, che da quel
1964 imperverserà per più di un decennio sugli schermi; ma i suoi riferimenti
non si limitano a quelli del genere specifico, visto che la trama è ricalcata
fedelmente sul film giapponese La sfida
del samurai di Akira Kurosawa, a sua volta ispirato al romanzo hard boiled, (una variante della
narrativa gialla), Piombo e sangue di
Dashiel Hammett. Ma si possono anche leggere, nell’architettura generale
dell’opera di Leone, rimandi alla commedia dell’arte italiana o a Shakespeare.
Quello che il regista romano mette in scena è un mondo dominato dal caso, o forse dovremmo dire in modo più
poetico dal Destino, efficacemente
impersonato dall’eroe, anzi, dall’antieroe
della sua storia, quel Clint Eastwood che nel film qualcuno chiama Joe ma di
cui non è dato per certo sapere nulla, nemmeno il nome. L’ambientazione scelta
è il west americano (il film fu però girato in Europa) ma semplicemente perché
l’epopea western ha sancito la nuova mitologia epica di quella società, quella
americana, verso cui, grosso modo, tutto il cosiddetto mondo occidentale
si orienta.
Le sagome umane stilizzate dei titoli di testa ricordano molto le
figure dei protagonisti del film, lo straniero Joe (interpretato da Eastwood) compreso: Piperito, il becchino,
Silvanito, il barman, ma anche i cattivi, soprattutto i Rojo, sono stereotipi
bidimensionali. Tra questi ultimi, anche Ramòn, pur con la forte caratterizzazione
estetica conferitagli dalla recitazione di Gian Maria Volontè, non sfugge a
questa stilizzazione. Manca un personaggio tridimensionale, manca l’eroe: un mondo senza eroi, senza legge,
senza buoni e cattivi, (qui il
confronto è tra cattivi e cattivi, Rojo contro Baxter), è quindi la
rappresentazione di un mondo senza morale, senza Dio.
Ma un mondo reso dannatamente credibile da un’impostazione
generale debitrice alla scuola neorealistica
di cui naturalmente Sergio Leone era rimasto influenzato: la violenza è
mostrata per quella che è, senza sconti, anzi, in qualche passaggio con un
pizzico di sadico compiacimento. Dal punto di vista tecnico il regista romano
compie alcune scelte spiazzanti, rispetto alle consuetudini del genere: primi e
primissimi piani non si usavano nel western; il montaggio alternato o
freneticamente puntato su particolari e dettagli, dilatava il tempo in modo
innaturale, facendo vivere in modo più emotivo e quindi più credibile le
scene di azione, con uno stile decisamente personale.
Alcune innovazioni furono favorite dal muoversi al di fuori
delle regole del cinema americano e quindi del famigerato codice Hays, come ad esempio il divieto di mostrare sparatore e
colpito nella stessa inquadratura: c’è da credere che proprio la freschezza e
la riuscita dei film di Leone contribuirono a mandare in archivio certi dogmi
da sempre limitanti ma divenuti, al tempo, ben più che inaccettabili.
Tutto questo, e molto altro ancora, visto che Per un
pugno di dollari è un film molto curato e in cui i dettagli hanno spesso un
preciso significato, ci fornisce quindi un quadro fortemente negativo: del
resto lo straniero arriva nel paesino (quello che lo stesso definisce “Mai visto un paese più cadavere di questo”)
passando sotto una forca e, quando se ne va, dalla parte opposta, sempre a
dorso di mulo, la macchina da presa
manco si spreca a seguirlo.
Il west è già morto, sembra dire Leone.
Ma la frase più famosa del film è, naturalmente, il presunto
proverbio messicano: “Quando un uomo con
la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto.”
Il che sembrerebbe un’altra conferma in tal senso; se non fosse che venga poi
smentita nel film. E quindi, in realtà, emerge, in un modo o nell’altro,
l’aspetto eroico dello straniero (che
in fin della fiera porta un po’ di giustizia nel paesino) e anche temi come
quello politico o sociale, che fanno capolino qua e là, rivelano una matrice
non del tutto pessimista dell’opera di Leone.
Lo straniero infatti si muove fra le due bande di fuorilegge per
interesse personale ma non esita a dare i soldi ricavati dal suo trafficare a
Marisol (Marianne Koch) per poterla mettere in salvo insieme al figlio e al
marito. E lo fa con una motivazione; sebbene, a suo dire, troppo lunga da
spiegare: rimane comunque un gesto motivato e non dettato dal caso o da un
capriccio momentaneo. Del resto lo stesso straniero,
pur in un sostanziale muto riserbo, si lascia andare ad alcune dichiarazioni
interessanti come la costatazione che non esistano posti dove non ci siano padroni (termine fortemente politico), o
la confessione che a casa sua stava malissimo
(critica sociale). E, a conti fatti, questi due temi sono quelli risolti in Per un pugno di dollari: infatti se è
solo il caso a mettere il paesino sulla strada dello straniero, l’arrivo di questi elimina i padroni e permette un
miglioramento della vita delle famiglie, simbolicamente prima fa tutte quella
di Marisol a cui il nostro regala i frutti del suo lavoro.
Insomma, il film di Leone vuol
sembrare realistico (quando non pessimista) ma è fondamentalmente educativo.
Non a caso, al tempo, inaugurò la stagione degli spaghetti western che furono il piatto forte delle sale
cinematografiche degli oratori tra i sessanta e i settanta.
Mitica
e indimenticabile la colonna sonora di Ennio Morricone.
Marianne Kotch
Nessun commento:
Posta un commento