230_FRANTIC . Stati Uniti, Francia 1988; Regia di Roman Polanski.
Per prima cosa bisogna dire che Frantic è un buon film, divertente e appassionante; del resto Roman
Polanski è un autore notevole con all’attivo numerosi capolavori. E’ una
premessa d’obbligo, perché poi, quando si approfondisce anche solo un poco, si
è costretti a dire che, in fondo, il film non convince del tutto. Il che non
sarebbe certo un dramma, anche ai migliori capita di fare opere minori, ma in Frantic Polanski sembra quasi ricercare
questa incompiutezza, per cui si rimane un po’ interdetti. Sia come sia, il
film comincia molto bene, si tratta di un thriller e ci troviamo a Parigi,
insieme al dottor Walker (Harrison Ford), in viaggio con la moglie Sondra
(Betty Bucley), vent’anni dopo la luna di miele nella capitale francese, nella
contemporanea occasione di un convegno di medici. Polanski sa come condurre il
gioco, e così la coppia si trova sin da subito alle prese con qualche intoppo
dovuto agli improvvisati e folcloristici tassisti; anche se, dopo qualche
peregrinazione, si giunge al centralissimo hotel. A quel punto arriva la
svolta, con lo scambio di persona che coinvolge la povera Sondra prima, che
subisce un rapimento, e il dottor Walker poi che, prestando fede al proprio
nome, si incammina sulle sue tracce.
Lo spaesamento di Walker, le difficoltà nella ricerca in una città in cui non
si parla inglese, lo scetticismo della polizia e dell’ambasciata, la tensione che
sale man mano: fin qui il film è formalmente impeccabile. Il punto è che il
regista polacco continua a sommare elementi senza compensare con uno sviluppo
adeguato delle psicologie dei personaggi. Già il titolo del film rimandava in
qualche modo a Hitchcock, visto che Frantic
significa frenetico e richiama Frenzy (frenesia) del maestro inglese.
Il modello del cinema di Hitch ritorna poi nella scena della svolta che, come
in Psyco, avviene quando uno dei
protagonisti è nella doccia, e per restare ai rimandi più evidenti, anche nello
sdoppiamento della donna vestita di rosso: La
donna che visse due volte, in questo caso prima Michelle (Michelle Seigner)
e poi la moglie. A questo proposito il tema del doppio attraversa tutto il
film, in modo quasi ossessivo: due sono i tassisti all’arrivo, due sono le
docce (prima la moglie, poi il marito), due le donne (Sondra e Michelle), due
le istituzioni a cui Walker si rivolge (Polizia e Ambasciata), due le valigie,
due le Statue della Libertà, due i club notturni, e via così, in una
frammentazione continua che sottolinea la perdita di orientamento, all’interno
di questo gigantesco puzzle, da parte del povero dottore.
Ma soprattutto
Hitchcock è naturalmente chiamato in causa per il MacGuffin: si sa che il maestro inglese era solito appellare in
tale modo il pretesto narrativo di una storia, che non era importante in sé, ma
serviva per mettere in moto la vicenda. In questo senso la valigia, che viene
erroneamente scambiata al ritiro bagagli da Michelle e Sondra, è un esempio
perfetto. Ma a Polanski non basta: vuole sezionare anche il MacGuffin, e allora
Walker insiste per sapere cosa ci sia di così tanto importante da mettere a
rischio la vita di sua moglie: droga? No,
risponde Michelle, che la valigia incriminata l’aveva portata dall’America.
Walker insiste: Cioè, si è proprio droga ammette
quindi la ragazza.
Colpo di scena, arriva proprio in quel mentre la polizia con
i cani antidroga! No, non c’è droga,
Michelle tranquillizza il dottore, e stavolta dice la verità. E meno male che
almeno qui il regista pare divertirsi, e il pericolo droga c’è, visto che
Walker ne ha comprata una dose per avere informazioni da uno spacciatore. Archiviato
il contrattempo, Polanski insiste sulla questione MacGuffin: alla fin fine è
una miniatura della statua della libertà, l’oggetto realmente importante. Anzi
no, è ovviamente quello che c’è dentro la statuetta, un krytron, una sorta di detonatore per innescare una qualche
esplosione. A fronte di una tale enormità di citazioni, rimandi,
specificazioni, dettagli, la trama di Frantic
è riassumibile in quattordici parole: una
coppia è in vacanza a Parigi, la donna viene rapita e quindi liberata.
Certo, c’è qualche peripezia, qualche morto, tra cui Michelle, ma in fondo, chi
è Michelle? Una poco di buono, coinvolta suo malgrado nello scambio, che paga
con la vita uno slancio di generosità; in fondo poca roba. Perché tra lei e il
dottore non succede niente, assolutamente niente: e dire che passano tutto il
tempo del film fianco a fianco, e lui è un maschio
alfa, almeno per gli standard del cinema anni 80, diamine è Harrison Ford,
e lei è una ragazza bellissima.
C’è una scena esemplare, in questo senso, al
club: lei balla in modo provocante, lui si muove impacciato mentre pensa alla
moglie rapita. In un contesto di vita normale, il comportamento di Walker è
sicuramente encomiabile: ma al cinema, in un film di genere, svilisce il significato della storia. Anche la stessa
fedeltà verso la moglie, ne esce ridotta: Walker non ha tentazioni, quindi la
sua fedeltà non è nemmeno messa alla prova. Quando nel finale, chiama piccola anche la moglie (raddoppiando l’appellativo con cui ha
appena salutato l’ultimo respiro di Michelle), sembra quasi anticipare un
possibile dubbio di Sondra; ribadirle il suo amore è più per tranquillizzare un
eventuale timore della moglie, ma solo in quel momento Walker sembra rendersi
conto che la ragazza era una possibile tentazione.
Se ne accorge solo alla
fine, perché, durante in film, a livello emotivo, in senso sentimentale, non
succede niente, i personaggi rimangono fissi sulle loro posizioni di partenza: Frantic è, di fatto, un film senza
sviluppo psicologico. Ecco, in sostanza tutto il film è un unico grande
MacGuffin, un pretesto per tenere impegnato un paio d’ore lo spettatore: e si
ha la netta impressione non solo che Polanski se ne renda conto, ma che sia
proprio il suo scopo. Sminuzzare, frantumare, destrutturare il film di genere,
per mostrare come, al suo interno, non ci sia praticamente niente.
Che il suo
attacco sia rivolto ai film d’intrattenimento è esplicito sin dai titoli di
testa, che richiamano quelli di Star Wars,
con le parole che si allontano nello spazio in prospettiva; qui c’è la strada,
come sfondo, visto che Frantic è un
thriller urbano (forse anche un noir,
visto il ruolo della povera Michelle). D’altronde la presenza di Harrison Ford
come protagonista della storia è emblematica: da Han Solo ad Indiana Jones,
l’attore rappresenta il tipico eroe degli anni 80; un personaggio diverso e più
positivo degli anti-eroi del decennio precedente ma, con la sua faccia
stralunata di quello che sembra essersi appena svegliato, anche senza la
statura dei classici interpreti della golden
age hollywoodiana.
Frantic è così
un film a cui, rispetto ai prodotti di genere, manca una struttura simbolica,
frantumata dall’opera di Polanski, ma che, in alternativa, non possiede
nemmeno, nei personaggi, uno straccio di carica umana: il difetto maggiore di Frantic è che è un film senza amore per
il cinema. E la prova di questo è l’ultima inquadratura, il retro di un camion
della nettezza urbana: cinema spazzatura. E’ una provocazione, quella finale di
Polanski, e forse lo è tutto Frantic,
un enorme provocazione per vedere se qualcuno ci crede.
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